Corriere della Sera - La Lettura
Ugm Umanità geneticamente modificata
Negli ultimi mesi, con gli articoli di Edoardo Boncinelli e Giuseppe Remuzzi, «la Lettura» ha affrontato spesso una delle grandi frontiere (al confine tra scienza e fantascienza) della ricerca: quella legata alla «correzione» di sequenze del Dna per arginare malattie ereditarie o addirittura comportamenti devianti. Ora, lo sviluppo impetuoso di questa rivoluzione, il dibattito etico che la accompagna (affrontato in Italia per esempio in un testo che sta elaborando la Fondazione Umberto Veronesi), le sue suggestioni narrative, sono al centro di queste pagine. Intervengono biologi, filosofi e un romanziere
L’ultima, per ora, delle grandi rivoluzioni in biologia permette di modificare le sequenze di Dna di un genoma ed è conosciuta dall’opinione pubblica con la metafora della correzione di bozze ( genome editing). Benché le conoscenze al riguardo risalgano alla fine degli anni Ottanta, è da un decennio che si stanno accumulando, su modelli animali e cellulari, evidenze della fattibilità del suo impiego in vari contesti biologici, da quelli industriali a quelli di terapia medica. Quest’ultimo è l’aspetto che più interessa il grande pubblico, anche se l’uso di queste tecniche in vari tipi di biotecnologie è già molto avanzato senza che ciò abbia suscitato grandi allarmi o dibattiti. Si pensi alle applicazioni in biotecnologie bianche (industriali) in campo energetico per la produzione su larga scala di carburanti ecologici sfruttando il metabolismo di microbi ingegnerizzati per la fermentazione di risorse rinnovabili; la produzione di solventi per la degradazione della cellulosa alterando il genoma di Clostridium cellulolyticum; la produzione di molecole di interesse per la chimica alimentare o per la cosmetica, per non dire della produzione di nuovi antibiotici alterando il genoma di Streptomyces albus; o biotecnologie verdi (in agricoltura) o blu (organismi acquatici) o grigie (ambientali, rimozione di inquinanti, conservazione di ecosistemi).
Dunque deve essere ben chiaro che il genome editing è già in uso per attivare o reprimere la trascrizione di geni di interesse, per la produzione su larga scala di nuove molecole ad azione antivirale, antimicrobica, per localizzare sonde fluorescenti capaci di marcare specifiche regioni del Dna ritenute di interesse nello sviluppo dei tumori. Anche la creazione di circuiterie geniche capaci di controllare caratteri genetici complessi è già iniziata su modelli cellulari e animali. Certamente questo è il più ambizioso degli obiettivi del genome editing e non appena avremo risultati solidi al riguardo si spalancheranno le porte dell’Accademia svedese delle scienze per il premio Nobel per la fisiologia o la medicina alle due vestali della tecnica, Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier.
Queste sono le informazioni utili a definire correttamente il contorno dell’impiego della tecnica Crispr-Cas (Crispr-Cas9 è la variante del sistema più famosa), ove Crispr sta per Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats, brevi (30-45) sequenze di basi del Dna di origine batterica separate tra loro da pressoché identiche sequenze ripetitive di Dna della stessa lun- ghezza. In prossimità delle sequenze Crispr vi sono sequenze di Dna che codificano per delle proteine enzimatiche chiamate Cas (Crispr-associated) capaci di tagliare il Dna. Il sistema Crispr-Cas taglia in modo specifico una determinata sequenza di Dna a partire da una molecola di Rna che fa da guida: in natura il sistema è una affascinante difesa immunitaria adattativa dei batteri per difendersi dall’attacco dei virus. È un sistema «semplice» e «non costoso» (alla portata di ogni laboratorio) per modificare, come sopra ricordato, in maniera sito-specifica il Dna di qualsivoglia cellula, vegetale e animale, così da eliminare, aggiungere o sostituire sequenze di Dna (nel caso più semplice un gene) legate alla espressione di tratti di interesse genetico (economico), in agricoltura come in produzioni biotecnologiche, in medicina veterinaria (crescere organi umani in maiali, ad esempio) come in quella umana.
È bene precisare che, al di là delle dichiarazioni, in particolare di gruppi cinesi, su applicazioni in embrioni umani (come quella di Yong Fan, della Università medica di Guangzhou, che dice di aver mutato dei geni in embrioni così da renderli resistenti alla infezione da Hiv), ciò che è noto sono applicazioni tutte limitate a modelli animali, o cellulari, di patologie umane quali emofilia, adenocarcinoma polmonare, sarcoma di Ewing, rabdomiosarcoma alveolare, distrofia miotonica, leucemia mieloide acuta, morbo di Huntington, atassia di Friedreich, per ricordarne alcune. Unica sperimentazione che coinvolge pazienti è la terapia di fase I iniziata il 6 luglio di quest’anno dall’oncologo Lu You dell’Università cinese di Sichuan presso l’ospedale di Chengdu su dieci pazienti affetti da tumore polmonare con l’infusione di linfociti T Crispr-Cas9 mutati.
Se oggi la tecnica è impiegata per studi del genoma legati all’azione di farmaci o per generare modelli animali di patologie umane utili in ricerca o per lo studio della progressione dei tumori, nell’immaginario collettivo prevale una informazione che alimenta l’idea di interventi sul genoma umano per aumentare la longevità, migliorare le prestazioni fisiche e intellettive, magari anche ridurre gli istinti di sopraffazione e i comportamenti moralmente negativi della nostra specie: tutto ciò è fantascienza o materia per dibattiti sul post-umano.
Un esempio virtuoso su come dovremmo procedere viene ancora una volta dalla Gran Bretagna per dirci come una vera democrazia debba muoversi nell’era delle scienze della vita: dapprima informare i propri cittadini con campagne di alfabetizzazione capillare sulle possibilità offerte dalla nuova tecnica, chiedere quali siano i
loro convincimenti e poi elaborare norme rispettose chiamando filosofi, giuristi, psicologi, economisti a dare il proprio contributo. È quanto è stato fatto dall’autorità britannica, Hfea (Human Fertilisation and Embryology Authority), che è quindi stata in grado di rispondere positivamente a una richiesta specifica di modificazione di geni legati allo sviluppo embrionale precoce (preimpianto, sino ai 14 giorni di sviluppo nell’uomo) avanzata da una ricercatrice dell’istituto Francis Crick di Londra, Kathy Niakan, per sviluppare ricerche capaci di chiarire le ragioni delle perdite preimpianto degli embrioni umani, che sono la stragrande maggioranza degli embrioni concepiti (circa il 60%). Tutto ciò impiegando la tecnica Crispr-Cas9 su embrioni umani donati alla ricerca da genitori con senso di responsabilità sulla loro sorte: non abbandonati nelle cliniche del freddo e destinati a essere distrutti.
Per raffreddare l’immaginazione collettiva bisogna precisare che ad oggi la tecnica si è rivelata per le sue potenzialità, anche se ancora non la controlliamo con la necessaria sicurezza del bisturi genetico: per migliorare l’identificazione dei siti bersaglio (i geni coinvolti nelle malattie, ad esempio) e l’efficienza delle modificazioni indotte sul Dna (ad oggi bassissima) dovremo attendere i risultati promessi dalla medicina di precisione e dai progetti di sequenziamento di centinaia di migliaia di individui. Inoltre, la quasi totalità delle caratteristiche genetiche (le malattie, per non dire dei comportamenti) sono determinate da una moltitudine di geni (molti ancora non noti) che si dovrebbero simultaneamente correggere per ottenere modificazioni, guarigioni. È doveroso contribuire a questa ricerca per renderla capace di eliminare dal genoma umano (di tutti, non solo da quello dei possessori di carta di credito) tratti genetici causativi di malattie (sofferenza ed esclusione sociale) che potremo debellare: certo, questo scenario è oggi un sogno, ma come lo è la proiezione del bambino disegnato, dal cattivo scienziato al soldo della multinazionale, con caratteristiche meravigliose a volontà dei genitori.
La ricerca sta muovendosi a passi da gigante per trovare il modo di minimizzare i taglia-e-cuci fuori bersaglio (le interazioni non specifiche con la catena del Dna) da parte degli enzimi Cas e per massimizzarne la precisione di riconoscimento del bersaglio (un fiorire di brevetti, e battaglie legali, per la biobased economy). Come tutte le rivoluzioni porta con sé paure (dei cittadini non informati correttamente), battaglie legali (sui brevetti), investimenti economici (Apple, Google, Microsoft, Facetime, Fondazione Gates e ultimo arrivato il principale sponsor del prossimo mega-evento legato a queste tematiche, la Volkswagen Foundation: Genome Editing for Gene and Cell Therapy, all’Herrenhausen Symposium di Hannover il 3 e 4 novembre; la città dove Emmanuelle Charpentier ha ottenuto nel 2013 la posizione di professore) e applicazioni innovative. Applicazioni doverose da parte del governo pubblico della scienza, anche se i possibili futuri sviluppi nelle biotecnologie rosse (mediche) vedono l’accettazione dell’opinione pubblica farsi guardinga.
È evidente che il potenziale uso per l’editing del genoma umano o per quello di genomi cruciali al mantenimento di interi ecosistemi costituisce una grande sfida intellettuale per i dubbi e le preoccupazioni di natura etica, tutti aspetti che debbono essere valutati per tempo, ben prima che sia possibile la loro applicazione diretta. È così che la Fondazione Umberto Veronesi sta elaborando un documento al riguardo ove vengono presentate le molteplici questioni bioetiche da affrontare: la liceità in sé dell’intervento sul genoma umano, soprattutto se i risultati fossero ereditabili dalle generazioni successive; il grado di sicurezza da ritenere accettabile a fronte di potenziali benefici; la tipologia di caratteri genetici su cui sarebbe lecito intervenire, se solo sui tratti chiaramente patologici o anche su caratteristiche genetiche semplicemente «non desiderabili» e/o su miglioramenti netti di capacità e funzioni umane sino ad arrivare all’inserimento di capacità e funzioni del tutto nuove, magari mutuate dal mondo animale; i limiti alla libertà di ricerca scientifica (capire lo sviluppo embrionale, per esempio come le pinne del pesciolino zebra possano trasformarsi in arti terrestri attraverso una modifica genetica, tema oggetto di una recente pubblicazione su «Nature») e la necessità di una condivisione internazionale delle regole, anche solo pensando al possibile ruolo svolto dai biohackers (non solo con le applicazioni attuali, per dare nuovi sapori alla birra, ma anche con la proposta di ricreare dei mammuth).
Inoltre bisogna discutere delle prossime rivoluzioni già annunciate. Non più la correzione di bozze, ma la scrittura ex novo di un genoma umano sintetico e la rivoluzione delle rivoluzioni: la modificazione del codice genetico; passando da un codice universale (di tutta la vita come è conosciuta sul pianeta Terra; fatto questo dotato di estrema spiritualità) a 64 codoni siamo già («Science», 19 agosto scorso) a un codice artificiale a 57 codoni con le porte spalancate su applicazioni il cui limite pare essere solo la fantasia e la creatività dei biologi.