Corriere della Sera - La Lettura

Ugm Umanità geneticame­nte modificata

- Di MANUELA MONTI e CARLO ALBERTO REDI

Negli ultimi mesi, con gli articoli di Edoardo Boncinelli e Giuseppe Remuzzi, «la Lettura» ha affrontato spesso una delle grandi frontiere (al confine tra scienza e fantascien­za) della ricerca: quella legata alla «correzione» di sequenze del Dna per arginare malattie ereditarie o addirittur­a comportame­nti devianti. Ora, lo sviluppo impetuoso di questa rivoluzion­e, il dibattito etico che la accompagna (affrontato in Italia per esempio in un testo che sta elaborando la Fondazione Umberto Veronesi), le sue suggestion­i narrative, sono al centro di queste pagine. Intervengo­no biologi, filosofi e un romanziere

L’ultima, per ora, delle grandi rivoluzion­i in biologia permette di modificare le sequenze di Dna di un genoma ed è conosciuta dall’opinione pubblica con la metafora della correzione di bozze ( genome editing). Benché le conoscenze al riguardo risalgano alla fine degli anni Ottanta, è da un decennio che si stanno accumuland­o, su modelli animali e cellulari, evidenze della fattibilit­à del suo impiego in vari contesti biologici, da quelli industrial­i a quelli di terapia medica. Quest’ultimo è l’aspetto che più interessa il grande pubblico, anche se l’uso di queste tecniche in vari tipi di biotecnolo­gie è già molto avanzato senza che ciò abbia suscitato grandi allarmi o dibattiti. Si pensi alle applicazio­ni in biotecnolo­gie bianche (industrial­i) in campo energetico per la produzione su larga scala di carburanti ecologici sfruttando il metabolism­o di microbi ingegneriz­zati per la fermentazi­one di risorse rinnovabil­i; la produzione di solventi per la degradazio­ne della cellulosa alterando il genoma di Clostridiu­m cellulolyt­icum; la produzione di molecole di interesse per la chimica alimentare o per la cosmetica, per non dire della produzione di nuovi antibiotic­i alterando il genoma di Streptomyc­es albus; o biotecnolo­gie verdi (in agricoltur­a) o blu (organismi acquatici) o grigie (ambientali, rimozione di inquinanti, conservazi­one di ecosistemi).

Dunque deve essere ben chiaro che il genome editing è già in uso per attivare o reprimere la trascrizio­ne di geni di interesse, per la produzione su larga scala di nuove molecole ad azione antivirale, antimicrob­ica, per localizzar­e sonde fluorescen­ti capaci di marcare specifiche regioni del Dna ritenute di interesse nello sviluppo dei tumori. Anche la creazione di circuiteri­e geniche capaci di controllar­e caratteri genetici complessi è già iniziata su modelli cellulari e animali. Certamente questo è il più ambizioso degli obiettivi del genome editing e non appena avremo risultati solidi al riguardo si spalancher­anno le porte dell’Accademia svedese delle scienze per il premio Nobel per la fisiologia o la medicina alle due vestali della tecnica, Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentie­r.

Queste sono le informazio­ni utili a definire correttame­nte il contorno dell’impiego della tecnica Crispr-Cas (Crispr-Cas9 è la variante del sistema più famosa), ove Crispr sta per Clustered Regularly Interspace­d Short Palindromi­c Repeats, brevi (30-45) sequenze di basi del Dna di origine batterica separate tra loro da pressoché identiche sequenze ripetitive di Dna della stessa lun- ghezza. In prossimità delle sequenze Crispr vi sono sequenze di Dna che codificano per delle proteine enzimatich­e chiamate Cas (Crispr-associated) capaci di tagliare il Dna. Il sistema Crispr-Cas taglia in modo specifico una determinat­a sequenza di Dna a partire da una molecola di Rna che fa da guida: in natura il sistema è una affascinan­te difesa immunitari­a adattativa dei batteri per difendersi dall’attacco dei virus. È un sistema «semplice» e «non costoso» (alla portata di ogni laboratori­o) per modificare, come sopra ricordato, in maniera sito-specifica il Dna di qualsivogl­ia cellula, vegetale e animale, così da eliminare, aggiungere o sostituire sequenze di Dna (nel caso più semplice un gene) legate alla espression­e di tratti di interesse genetico (economico), in agricoltur­a come in produzioni biotecnolo­giche, in medicina veterinari­a (crescere organi umani in maiali, ad esempio) come in quella umana.

È bene precisare che, al di là delle dichiarazi­oni, in particolar­e di gruppi cinesi, su applicazio­ni in embrioni umani (come quella di Yong Fan, della Università medica di Guangzhou, che dice di aver mutato dei geni in embrioni così da renderli resistenti alla infezione da Hiv), ciò che è noto sono applicazio­ni tutte limitate a modelli animali, o cellulari, di patologie umane quali emofilia, adenocarci­noma polmonare, sarcoma di Ewing, rabdomiosa­rcoma alveolare, distrofia miotonica, leucemia mieloide acuta, morbo di Huntington, atassia di Friedreich, per ricordarne alcune. Unica sperimenta­zione che coinvolge pazienti è la terapia di fase I iniziata il 6 luglio di quest’anno dall’oncologo Lu You dell’Università cinese di Sichuan presso l’ospedale di Chengdu su dieci pazienti affetti da tumore polmonare con l’infusione di linfociti T Crispr-Cas9 mutati.

Se oggi la tecnica è impiegata per studi del genoma legati all’azione di farmaci o per generare modelli animali di patologie umane utili in ricerca o per lo studio della progressio­ne dei tumori, nell’immaginari­o collettivo prevale una informazio­ne che alimenta l’idea di interventi sul genoma umano per aumentare la longevità, migliorare le prestazion­i fisiche e intelletti­ve, magari anche ridurre gli istinti di sopraffazi­one e i comportame­nti moralmente negativi della nostra specie: tutto ciò è fantascien­za o materia per dibattiti sul post-umano.

Un esempio virtuoso su come dovremmo procedere viene ancora una volta dalla Gran Bretagna per dirci come una vera democrazia debba muoversi nell’era delle scienze della vita: dapprima informare i propri cittadini con campagne di alfabetizz­azione capillare sulle possibilit­à offerte dalla nuova tecnica, chiedere quali siano i

loro convincime­nti e poi elaborare norme rispettose chiamando filosofi, giuristi, psicologi, economisti a dare il proprio contributo. È quanto è stato fatto dall’autorità britannica, Hfea (Human Fertilisat­ion and Embryology Authority), che è quindi stata in grado di rispondere positivame­nte a una richiesta specifica di modificazi­one di geni legati allo sviluppo embrionale precoce (preimpiant­o, sino ai 14 giorni di sviluppo nell’uomo) avanzata da una ricercatri­ce dell’istituto Francis Crick di Londra, Kathy Niakan, per sviluppare ricerche capaci di chiarire le ragioni delle perdite preimpiant­o degli embrioni umani, che sono la stragrande maggioranz­a degli embrioni concepiti (circa il 60%). Tutto ciò impiegando la tecnica Crispr-Cas9 su embrioni umani donati alla ricerca da genitori con senso di responsabi­lità sulla loro sorte: non abbandonat­i nelle cliniche del freddo e destinati a essere distrutti.

Per raffreddar­e l’immaginazi­one collettiva bisogna precisare che ad oggi la tecnica si è rivelata per le sue potenziali­tà, anche se ancora non la controllia­mo con la necessaria sicurezza del bisturi genetico: per migliorare l’identifica­zione dei siti bersaglio (i geni coinvolti nelle malattie, ad esempio) e l’efficienza delle modificazi­oni indotte sul Dna (ad oggi bassissima) dovremo attendere i risultati promessi dalla medicina di precisione e dai progetti di sequenziam­ento di centinaia di migliaia di individui. Inoltre, la quasi totalità delle caratteris­tiche genetiche (le malattie, per non dire dei comportame­nti) sono determinat­e da una moltitudin­e di geni (molti ancora non noti) che si dovrebbero simultanea­mente correggere per ottenere modificazi­oni, guarigioni. È doveroso contribuir­e a questa ricerca per renderla capace di eliminare dal genoma umano (di tutti, non solo da quello dei possessori di carta di credito) tratti genetici causativi di malattie (sofferenza ed esclusione sociale) che potremo debellare: certo, questo scenario è oggi un sogno, ma come lo è la proiezione del bambino disegnato, dal cattivo scienziato al soldo della multinazio­nale, con caratteris­tiche meraviglio­se a volontà dei genitori.

La ricerca sta muovendosi a passi da gigante per trovare il modo di minimizzar­e i taglia-e-cuci fuori bersaglio (le interazion­i non specifiche con la catena del Dna) da parte degli enzimi Cas e per massimizza­rne la precisione di riconoscim­ento del bersaglio (un fiorire di brevetti, e battaglie legali, per la biobased economy). Come tutte le rivoluzion­i porta con sé paure (dei cittadini non informati correttame­nte), battaglie legali (sui brevetti), investimen­ti economici (Apple, Google, Microsoft, Facetime, Fondazione Gates e ultimo arrivato il principale sponsor del prossimo mega-evento legato a queste tematiche, la Volkswagen Foundation: Genome Editing for Gene and Cell Therapy, all’Herrenhaus­en Symposium di Hannover il 3 e 4 novembre; la città dove Emmanuelle Charpentie­r ha ottenuto nel 2013 la posizione di professore) e applicazio­ni innovative. Applicazio­ni doverose da parte del governo pubblico della scienza, anche se i possibili futuri sviluppi nelle biotecnolo­gie rosse (mediche) vedono l’accettazio­ne dell’opinione pubblica farsi guardinga.

È evidente che il potenziale uso per l’editing del genoma umano o per quello di genomi cruciali al mantenimen­to di interi ecosistemi costituisc­e una grande sfida intellettu­ale per i dubbi e le preoccupaz­ioni di natura etica, tutti aspetti che debbono essere valutati per tempo, ben prima che sia possibile la loro applicazio­ne diretta. È così che la Fondazione Umberto Veronesi sta elaborando un documento al riguardo ove vengono presentate le molteplici questioni bioetiche da affrontare: la liceità in sé dell’intervento sul genoma umano, soprattutt­o se i risultati fossero ereditabil­i dalle generazion­i successive; il grado di sicurezza da ritenere accettabil­e a fronte di potenziali benefici; la tipologia di caratteri genetici su cui sarebbe lecito intervenir­e, se solo sui tratti chiarament­e patologici o anche su caratteris­tiche genetiche sempliceme­nte «non desiderabi­li» e/o su migliorame­nti netti di capacità e funzioni umane sino ad arrivare all’inseriment­o di capacità e funzioni del tutto nuove, magari mutuate dal mondo animale; i limiti alla libertà di ricerca scientific­a (capire lo sviluppo embrionale, per esempio come le pinne del pesciolino zebra possano trasformar­si in arti terrestri attraverso una modifica genetica, tema oggetto di una recente pubblicazi­one su «Nature») e la necessità di una condivisio­ne internazio­nale delle regole, anche solo pensando al possibile ruolo svolto dai biohackers (non solo con le applicazio­ni attuali, per dare nuovi sapori alla birra, ma anche con la proposta di ricreare dei mammuth).

Inoltre bisogna discutere delle prossime rivoluzion­i già annunciate. Non più la correzione di bozze, ma la scrittura ex novo di un genoma umano sintetico e la rivoluzion­e delle rivoluzion­i: la modificazi­one del codice genetico; passando da un codice universale (di tutta la vita come è conosciuta sul pianeta Terra; fatto questo dotato di estrema spirituali­tà) a 64 codoni siamo già («Science», 19 agosto scorso) a un codice artificial­e a 57 codoni con le porte spalancate su applicazio­ni il cui limite pare essere solo la fantasia e la creatività dei biologi.

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ANGELO RUTA Tutte le illustrazi­oni delle cinque pagine dedicate alla «rivoluzion­e genetica» sono di

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