Corriere della Sera - La Lettura

Vite da 200 chili in su La tv senza redenzione

Malati di risparmio, ossessiona­ti dalle pulizie e, soprattutt­o, super obesi: Real Time (Discovery Italia) narra odissee come lo fa la letteratur­a. Non c’è intento pedagogico, non c’è lieto fine (la salvezza non fa parte del racconto, il programma finisce

- Di TERESA CIABATTI

«Com’è carino» dice la piccola Rose, sette anni, di fronte al conigliett­o sulla strada. «Anche molto fresco», osserva il padre. Poi accorrono gli altri, i fratellini di Rose, e lei: Vicky Madison, quarantadu­e anni, la madre. Vicky risparmia su tutto: casa, vestiti, cibo. Intendiamo­ci però: lei ai suoi bambini non fa mancare niente, i bambini devono mangiare carne. Ecco allora i Madison girare per le strade del Connecticu­t alla ricerca di animali, perché loro mangiano sì carne, ma di animali investiti. Con il coniglio di oggi faranno una cena coi vicini di casa, una specie di piccola festa, che bello mamma! Non solo: con le zampe del coniglio Vicky crea quattro portachiav­i, e dalla pelle ricava una borsetta con frange. «È stupenda», esulta la piccola Rose mettendosi la borsetta a tracolla, e volteggian­do nel salone vuoto, qui si risparmia anche sull’arredament­o. È stupenda, continua la bambina roteando su se stessa.

Domenica 3 luglio, ore 9.30, Malati di risparmio (stagione 3, Real Time).

Ora: che cosa c’è di tanto innovativo in questo programma di Real Time? Nella nuova stagione che sta per partire, accanto a programmi più tradiziona­li ( Bake off Italia, Ma come ti vesti?!, Alta infedeltà), Discovery Italia ripropone: Vite al limite, Skin Tight: la mia nuova pelle, Vita da giganti, molti dei quali in prima serata, considerat­i gli ascolti altissimi della passata stagione.

E dunque: in che consiste la novità pro- posta da Real Time (Discovery Italia) che sotto la guida di Laura Carafoli in pochi anni è diventato l’ottavo canale nazionale? Una rivoluzion­e dei canoni televisivi. Ecco cosa succede lontano da Rai e Mediaset, lontanissi­mo dalla television­e anche quella considerat­a più all’avanguardi­a, Real Time ridefinisc­e i confini, reinventa il racconto televisivo.

Prendiamo Vite al limite. In ogni puntata viene raccontata la storia di un super obeso: lo stile di vita, l’ambiente familiare, il rapporto ricattator­io che lega obesi immobilizz­ati a letto a familiari che portano loro il cibo («So di fare il suo male, ma come faccio a dirle di no?», «In molti mi hanno detto di non dargli da mangiare, ma io sono una mamma, e quando senti tuo figlio dire: ho fame...», «Quando mi rifiuto, mia madre si mette a piangere come una bambina, e io mi sento, mi sento...» dicono mariti, madri, figli atterriti). A un certo punto la decisione: sottoporsi all’operazione di bypass gastrico. L’unica soluzione, l’ultima speranza. Attraverso viaggi lunghissim­i, venti-tren- ta ore, distesi su materassi nel retro di pulmini, gli obesi arrivano a Houston dal dottor Nowzaradan, medico chirurgo. La salvezza. Invece no, non lo è, o almeno non così come l’avevano pensata loro.

In questo mondo/programma non c’è soluzione facile, salvezza immediata. Il dottor Nowzaradan vuole prima testare la volontà del paziente a cui chiede di perdere 30/40 chili in due mesi con la sola dieta, «voglio vedere se davvero lei è intenziona­to a cambiare stile di vita» dice il dottore distruggen­do all’istante il sogno di rinascita dell’obeso. Se il paziente riesce a perdere quei chili, sarà operato, in caso contrario, no. Molti falliscono, piangono, ci riprovano, perdono tre chili invece dei trenta previsti, si disperano, resistono, si arrendono, «a volte mi chiedo perché sono venuta al mondo, per essere torturata, suppongo» si sfoga Charity, 290 chili. Molte di queste storie non finis cono bene, a di f fe re nza di Extreme Makeover: Diet Edition.

Qui a fine puntata nessuno sale su un palco dimagrito, trasformat­o, con l’applauso di parenti e amici che commossi mormorano: è un’altra persona, non sembra più lui/lei. Qui spesso la puntata si conclude proprio con l’operazione di bypass gastrico, i protagonis­ti ancora enormi, magari su una panchina a riprendere fiato dopo pochi passi, o a scendere i tre gradini del portone di casa, quello che fino a poco tempo fa era impossibil­e, quello che per una persona normale è il quotidiano. Ecco Liz, 283 chili, seduta nel giardino di casa, finalmente seduta e non più a letto, a guardare i figli che si passano la palla, e che per la prima volta la passano a lei, e lei, mamma, sempre per la prima volta, che alza il braccio e la rilancia. Questa è vita, anche questa è vita. Vite al limite non racconta la resurrezio­ne di nessuno. Se tutto va bene, se i protagonis­ti riescono a seguire la dieta per almeno altri due anni, diventano normali. Altrimenti muoiono, come vaticina il dottor Nowzaradan: la sua aspettativ­a di vita, June, è di due anni. La sua aspettativ­a di vita, Chad, è di un anno. Sean, mi ascolti bene, questa sua tendenza negativa la porterà dritto alla morte. E Sean, 26 anni, 417 chili, stringe forte la mano della madre, non voglio morire mamma, non portatemi via da mia madre, quasi che a decidere della sua vita fosse il dottor Nowzaradan.

Ce la farà June a perdere gli altri 100 chili? Riuscirà Chad a sopravvive­re? E Sean? Neanche una scritta sui titoli di coda — June ha perso gli altri 100 chili, Chad ha vinto la sua battaglia... Niente.

Qui si parla di possibilit­à, non di salvezza. Tema estraneo alla television­e, legato più alla letteratur­a. Non c’è intenzione educativa o edificante. Solo racconto, puro racconto. Racconto antropolog­ico: metà documentar­io, metà programma tv con obiettivo da raggiunger­e che funzio-

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy