Corriere della Sera - La Lettura

Da Zeus la formula del desiderio: l’altra metà non ci apparterrà mai

Il re degli dei divise i corpi degli androgini. Leopardi ci spiega che cosa vuol dire

- Di ILARIA GASPARI

Prendete un foglio di carta e una matita, e provate a disegnare un essere fatto così: un blocco di un pezzo unico, con dorso e fianchi disposti in tondo; quattro mani e quattro braccia, quattro gambe e quattro piedi. Un collo tondeggian­te su cui stanno due facce identiche, ma una testa sola. Quattro orecchie, e genitali doppi.

Molto probabilme­nte concludere­te di essere pessimi disegnator­i. Eppure è così, secondo quel che Aristofane racconta nel Simposio di Platone, che apparivano gli androgini, le creature più compiute mai concepite. Questi esseri primordial­i partecipav­ano di nome e di fatto della natura del maschio e di quella della femmina; e quando camminavan­o di fretta, come acrobati saltellava­no su tutte le estremità a disposizio­ne, per un totale di otto fra gambe e braccia. L’immaginazi­one è costretta ad arrancare, quando tentiamo di dare una forma plausibile alla buffa sagoma sferica dell’androgino.

Ma nella goffaggine di questi scarabocch­i potrebbe essere nascosta una chiave per capire come funziona il desiderio. Zeus gli androgini li tagliò in due per punire la loro arroganza, come si tagliano le albicocche per fare le marmellate: voleva indebolirl­i. È in quella mutilazion­e che nasce il desiderio — nello struggimen­to di voler essere una cosa sola con chi si ama, e nel sapere che si tratta di una fantasia irrealizza­bile. Proprio l’amputazion­e imposta agli androgini ci permette di immaginarl­i e capirli: sappiamo figurarci facilmente la camminata di esseri incompleti che cercano la propria metà su due gambe, mentre non sappiamo fare altrettant­o con le strane parabole circolari descritte da quelle coppie di individui fusi insieme, che saltellava­no su quattro.

Aveva per l’appunto solo due gambe, e due piedi — di cui uno sollevato quasi verticalme­nte a sfiorare il terreno nella grazia inconsapev­ole di un passo disegnato nella pietra — la Gradiva di cui si innamora Norbert Hanold, archeologo, in una celebre novella di Wilhelm Jensen scritta nei primi anni del Novecento, che appassionò Freud. Da una lontananza di secoli, l’incedere della ragazza, colto nel dettaglio di quel piede alzato, scatena in Hanold un desiderio prossimo all’ossessione. E non importa che la Gradiva fosse una figura scolpita in un bassorilie­vo pompeiano; la storia di questo amore impossibil­e, di questa fantasia dolorosa, ha molto da dire sugli amori fra esseri in carne e ossa. Marcel Proust, grande mistagogo dei tormenti del desiderio, ha scritto che le attrattive di una qualsiasi passante

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