Corriere della Sera - La Lettura
Anche «ape» è un nome di Dio (e la poesia in una parola di Yourcenar)
«Rumore della sorgente nelle rocce», «Vento di mare a notte, su un’isola», «Il muso paziente del bue», «Sonno in un letto». Anche Marguerite Yourcenar, pochi anni prima di morire, decise di fare il gioco letterario (e forse non solo) dei nomi di Dio. Lei che mai rinnegò le sue radici cristiane — pur tenendosi a debita distanza dalle certezze che la fede nelle tre grandi religioni monoteiste esige — spedì un giorno a Silvia Baron Supervielle, traduttrice delle sue opere teatrali, trentadue micro-poesie e un disegnino di stelle. La scrittrice coltissima che ha regalato al mondo le prose vertiginose di Memorie di Adriano e L’opera al nero in alcuni casi utilizza anche una sola parola — «Ape», «Il pane» — per scrivere I trentatré nomi di Dio, tentativo di un diario senza data e senza pronome personale. La prima pubblicazione, in Francia, è del 1986. In Italia arriveranno nel 2003, tradotti da Ginevra Bompiani, edizioni Nottetempo. Si leggono in un fiato. Restano un mistero e un campanello per la memoria. In ogni quadro c’è la natura: l’erba, il cammello zoppo che cammina verso la morte, le mani e la pelle degli esseri umani. Forse contengono l’eco delle litanie dedicate alla Madonna (Stella del mattino, Torre d’avorio, Casa d’oro...) o quello dei novantanove nomi di Allah enumerati nel Corano. Ma anche l’inquietudine di Operazione Shangri-La, il racconto di Arthur C. Clarke ( I nove miliardi di
nomi di Dio, 1953). Quando un manipolo di monaci tibetani arriva a scrivere in poche ore con il computer tutte le possibili combinazioni dei nomi dell’Eterno, le stelle cominciano a spegnersi. Perché la storia del mondo è finita.