Corriere della Sera - La Lettura
La wiki-vita di un crittografo cinese
Mai Jia è considerato a Pechino il padre del genere. Esce in Italia il suo romanzo-culto e lui, che è stato nell’esercito, spiega come il genio sia solitudine e l’esistenza un codice da violare
Wiki-vita. Vita-leaks. Tutto è wiki- e tutto è -leaks. Segreti che non lo sono più. Cose che segrete diventano. La crittografia è una spirale oscura che contamina l’esistenza, erode le barriere tra codici e sentimenti. Ed era così anche prima della turbo-tecnologia che ci avvolge adesso. «Quello, in realtà, non è un lavoro, ma un complotto, una trappola all’interno di un complotto»: così si legge ne Il fatale talento del signor Rong di Mai Jia, scrittore cinese celebrato con il premio Mao Dun. La sua discesa nelle opere e nei giorni di Rong Jinzhen, il protagonista del romanzo, copre anni pionieristici della sfida fra la Repubblica popolare e le potenze avverse. Da parte di Mai grande cautela nel trattare il tema, nessun riferimento esplicito al nemico (ma si capisce che sono gli Usa), attenzione spasmodica alla mente di Rong e alle sue relazioni più che al merito e ai segreti della sua missione di crittografo.
Il romanzo i n uscita da Marsilio, in Ci na u n be s t s e l l e r che la 20th Century Fox vuole trasformare in film, è insieme una spy story e una straziata elegia sulla solitudine del genio. La crittografia c’entra e non c ’entra. «Per comprendere il concetto — spiega Mai a “la Lettura” — pensiamo a un genio che tenta in tutti i modi di decifrare la mente e i pensieri di un altro genio. Un mistero. Anche se nel romanzo parlo soltanto di aspetti superficiali comuni».
Però lei mostra familiarità col tema.
«Non ho mai svolto lavori che avessero direttamente a che fare con la crittografia. Ho però abitato accanto a un crittografo. Lo vedevo quasi ogni giorno, eppure non parlavamo mai. Furono proprio la freddezza, l’asocialità, il distacco a far nascere in me l’interesse per lui e la sua professione. Da romanziere, normalmente parto da ciò che conosco, ma può accadere che inizi a lavorare da ciò che ignoro, servendomi dell’immaginazione».
Lei, però, ha davvero lavorato nell’Esercito popolare di liberazione.
«Sì, per 17 anni. Ho frequentato due università, svolto diversi lavori ma ho sparato solo 6 pallottole. In realtà mi occupavo di numeri e lettere. Inizialmente, lavorai per alcuni crittografi: trasformavo le onde elet- tromagnetiche in numeri, facendoli poi decifrare dai miei superiori. Il fatale talen
to è legato a quest’esperienza. Che durò nemmeno un anno. Nel 1997 lasciai finalmente le forze armate per scrivere e basta».
L’Unità 701 del libro esiste?
«L’Unità 701, dipartimento dell’esercito che si occupa di informazioni riservate, è un’invenzione. Dopo il caso Snowden, ormai tutti sappiamo che di unità simili alla 701 in realtà ne esistono molte e in tutti i Paesi, anche l’Italia ne ha sicuramente una. Viviamo in un’epoca priva di segreti e di privacy. In realtà, le trame di tutti i romanzi sono fittizie e reali: invenzione non significa falsità. I frutti dell’immaginazione devono essere più reali della realtà stessa».
La sua pare una grande metafora del mondo e la crittografia rappresenta l’insieme dei valori che consentono di leggere la realtà.
«È così. Nel romanzo i codici non sono altro che un simbolo. Ciò che in realtà voglio decifrare è l’anima dell’uomo, il codice più difficile da interpretare».
Nel libro c’è il codice Nero, apparentemente inattaccabile. Anche nella vita ci sono angoli imperscrutabili.
«Sì. Il codice Nero in realtà è come una porta socchiusa, basterebbe una spintarella per aprirla ma il protagonista pensa e ripensa a come aprirne la serratura. Capita a tutti noi, prigionieri della decadenza del nostro stesso animo. Perché è il mondo stesso a decadere: le tenebre sono come il vento, si infiltrano ovunque e non perdono una singola occasione per fare del male».
Un altro tema: il patriottismo, prima e dopo il 1949, quando nasce la nuova Cina di Mao. Che cos’è il patriottismo?
«Ogni personaggio è un fervente patriota: è una diretta conseguenza di questa professione. Tuttavia, il tema principale non è il patriottismo, piuttosto l’amore verso il prossimo. Una nazione è in realtà un grande muro che salvaguarda ma allo stesso tempo deve sacrificare la tua sicurezza. Prima del 1949 in Cina questo muro era in macerie, dopo il 1949 s’è fatto alto e possente, senza vie d’accesso o d’uscita: per gli str a n i e r i er a i mpossi bi l e e nt r a re come per noi uscire. Dopo il 1978, con le r i fo r me di Deng Xiaoping, nel muro s’a p r i r o n o degli accessi. Nel mio romanzo è nascosta la “storia segreta” della Cina, mi auguro che il libro faccia conoscere meglio il mio popolo».
Quando le spy story sono diventate popolari in Cina?
«Prima di me quasi nessuno si è cimentato in romanzi di questo genere, qui vengo considerato il “padre del romanzo di spionaggio”. In effetti, senza voler esagerare, questo genere ha cominciato a essere popolare in Cina con i miei libri. Tuttavia il libro non rientra nella classica letteratura di spionaggio: è concentrato sugli effetti che provoca sulle persone».
Lei menziona la Rivoluzione culturale, un periodo tragico (1966-76). Ci sono argomenti che non è prudente toccare, scrivendo una spy story?
«Ovviamente, essendo un genere che coinvolge diverse informazioni sensibili per lo Stato, il grado di libertà nella scrittura è minore rispetto ad altri generi, e questo mette ancora di più alla prova le capacità di un autore. In realtà non conta di cosa scrivi ma di come scrivi».
Il sogno è un elemento molto presente nella tradizione e nella letteratura cinesi. Quanto conta per lei?
«I sogni sono un elemento fondamentale del mio romanzo. Da un lato perché sono indivisibili dalla crittografia, tanto che alcuni affermano che decifrare un codice sia come interpretare un sogno; dall’altro perché il signor Rong è come i sogni, forte ma allo stesso tempo semplice da spezzare. In fin dei conti, è la vita stessa a essere nient’altro che un sogno».
Il «sogno cinese» è,o è stato, un messaggio al centro del discorso pubblico nel suo Paese. Che cos’è per lei?
«Il presidente Xi Jinping afferma che il “sogno cinese” consista nell’aspirazione del popolo verso il benessere. Dal mio punto di vista, avendo la Cina una popolazione di quasi un miliardo e 400 milioni di persone, conta quindi pressappoco un miliardo e 400 milioni di sogni. Tuttavia, da scrittore, posso solamente parlare per me stesso, non sono in grado di rappresentare la nazione».