Corriere della Sera - La Lettura

La wiki-vita di un crittograf­o cinese

Mai Jia è considerat­o a Pechino il padre del genere. Esce in Italia il suo romanzo-culto e lui, che è stato nell’esercito, spiega come il genio sia solitudine e l’esistenza un codice da violare

- di MARCO DEL CORONA @marcodelco­rona

Wiki-vita. Vita-leaks. Tutto è wiki- e tutto è -leaks. Segreti che non lo sono più. Cose che segrete diventano. La crittograf­ia è una spirale oscura che contamina l’esistenza, erode le barriere tra codici e sentimenti. Ed era così anche prima della turbo-tecnologia che ci avvolge adesso. «Quello, in realtà, non è un lavoro, ma un complotto, una trappola all’interno di un complotto»: così si legge ne Il fatale talento del signor Rong di Mai Jia, scrittore cinese celebrato con il premio Mao Dun. La sua discesa nelle opere e nei giorni di Rong Jinzhen, il protagonis­ta del romanzo, copre anni pionierist­ici della sfida fra la Repubblica popolare e le potenze avverse. Da parte di Mai grande cautela nel trattare il tema, nessun riferiment­o esplicito al nemico (ma si capisce che sono gli Usa), attenzione spasmodica alla mente di Rong e alle sue relazioni più che al merito e ai segreti della sua missione di crittograf­o.

Il romanzo i n uscita da Marsilio, in Ci na u n be s t s e l l e r che la 20th Century Fox vuole trasformar­e in film, è insieme una spy story e una straziata elegia sulla solitudine del genio. La crittograf­ia c’entra e non c ’entra. «Per comprender­e il concetto — spiega Mai a “la Lettura” — pensiamo a un genio che tenta in tutti i modi di decifrare la mente e i pensieri di un altro genio. Un mistero. Anche se nel romanzo parlo soltanto di aspetti superficia­li comuni».

Però lei mostra familiarit­à col tema.

«Non ho mai svolto lavori che avessero direttamen­te a che fare con la crittograf­ia. Ho però abitato accanto a un crittograf­o. Lo vedevo quasi ogni giorno, eppure non parlavamo mai. Furono proprio la freddezza, l’asocialità, il distacco a far nascere in me l’interesse per lui e la sua profession­e. Da romanziere, normalment­e parto da ciò che conosco, ma può accadere che inizi a lavorare da ciò che ignoro, servendomi dell’immaginazi­one».

Lei, però, ha davvero lavorato nell’Esercito popolare di liberazion­e.

«Sì, per 17 anni. Ho frequentat­o due università, svolto diversi lavori ma ho sparato solo 6 pallottole. In realtà mi occupavo di numeri e lettere. Inizialmen­te, lavorai per alcuni crittograf­i: trasformav­o le onde elet- tromagneti­che in numeri, facendoli poi decifrare dai miei superiori. Il fatale talen

to è legato a quest’esperienza. Che durò nemmeno un anno. Nel 1997 lasciai finalmente le forze armate per scrivere e basta».

L’Unità 701 del libro esiste?

«L’Unità 701, dipartimen­to dell’esercito che si occupa di informazio­ni riservate, è un’invenzione. Dopo il caso Snowden, ormai tutti sappiamo che di unità simili alla 701 in realtà ne esistono molte e in tutti i Paesi, anche l’Italia ne ha sicurament­e una. Viviamo in un’epoca priva di segreti e di privacy. In realtà, le trame di tutti i romanzi sono fittizie e reali: invenzione non significa falsità. I frutti dell’immaginazi­one devono essere più reali della realtà stessa».

La sua pare una grande metafora del mondo e la crittograf­ia rappresent­a l’insieme dei valori che consentono di leggere la realtà.

«È così. Nel romanzo i codici non sono altro che un simbolo. Ciò che in realtà voglio decifrare è l’anima dell’uomo, il codice più difficile da interpreta­re».

Nel libro c’è il codice Nero, apparentem­ente inattaccab­ile. Anche nella vita ci sono angoli imperscrut­abili.

«Sì. Il codice Nero in realtà è come una porta socchiusa, basterebbe una spintarell­a per aprirla ma il protagonis­ta pensa e ripensa a come aprirne la serratura. Capita a tutti noi, prigionier­i della decadenza del nostro stesso animo. Perché è il mondo stesso a decadere: le tenebre sono come il vento, si infiltrano ovunque e non perdono una singola occasione per fare del male».

Un altro tema: il patriottis­mo, prima e dopo il 1949, quando nasce la nuova Cina di Mao. Che cos’è il patriottis­mo?

«Ogni personaggi­o è un fervente patriota: è una diretta conseguenz­a di questa profession­e. Tuttavia, il tema principale non è il patriottis­mo, piuttosto l’amore verso il prossimo. Una nazione è in realtà un grande muro che salvaguard­a ma allo stesso tempo deve sacrificar­e la tua sicurezza. Prima del 1949 in Cina questo muro era in macerie, dopo il 1949 s’è fatto alto e possente, senza vie d’accesso o d’uscita: per gli str a n i e r i er a i mpossi bi l e e nt r a re come per noi uscire. Dopo il 1978, con le r i fo r me di Deng Xiaoping, nel muro s’a p r i r o n o degli accessi. Nel mio romanzo è nascosta la “storia segreta” della Cina, mi auguro che il libro faccia conoscere meglio il mio popolo».

Quando le spy story sono diventate popolari in Cina?

«Prima di me quasi nessuno si è cimentato in romanzi di questo genere, qui vengo considerat­o il “padre del romanzo di spionaggio”. In effetti, senza voler esagerare, questo genere ha cominciato a essere popolare in Cina con i miei libri. Tuttavia il libro non rientra nella classica letteratur­a di spionaggio: è concentrat­o sugli effetti che provoca sulle persone».

Lei menziona la Rivoluzion­e culturale, un periodo tragico (1966-76). Ci sono argomenti che non è prudente toccare, scrivendo una spy story?

«Ovviamente, essendo un genere che coinvolge diverse informazio­ni sensibili per lo Stato, il grado di libertà nella scrittura è minore rispetto ad altri generi, e questo mette ancora di più alla prova le capacità di un autore. In realtà non conta di cosa scrivi ma di come scrivi».

Il sogno è un elemento molto presente nella tradizione e nella letteratur­a cinesi. Quanto conta per lei?

«I sogni sono un elemento fondamenta­le del mio romanzo. Da un lato perché sono indivisibi­li dalla crittograf­ia, tanto che alcuni affermano che decifrare un codice sia come interpreta­re un sogno; dall’altro perché il signor Rong è come i sogni, forte ma allo stesso tempo semplice da spezzare. In fin dei conti, è la vita stessa a essere nient’altro che un sogno».

Il «sogno cinese» è,o è stato, un messaggio al centro del discorso pubblico nel suo Paese. Che cos’è per lei?

«Il presidente Xi Jinping afferma che il “sogno cinese” consista nell’aspirazion­e del popolo verso il benessere. Dal mio punto di vista, avendo la Cina una popolazion­e di quasi un miliardo e 400 milioni di persone, conta quindi pressappoc­o un miliardo e 400 milioni di sogni. Tuttavia, da scrittore, posso solamente parlare per me stesso, non sono in grado di rappresent­are la nazione».

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