Corriere della Sera - La Lettura
La pronipote di Poirot indaga: lasciatela divertire
Silvia Arzola s’è data uno pseudonimo e rende un omaggio sorridente ad Agatha Christie
Di coppie che indagano sono piene le pagine, ma di duetti al femminile vivaci come quello che si incontra in Penelope Poirot fa la cosa giusta molte meno. A crearlo è un’autrice italiana, Silvia Arzola, già traduttrice di libri per ragazzi, con lo pseudonimo tagliente di Becky Sharp, protagonista de La fiera delle vanità di William M. Thackeray, scelto per firmare un romanzo giallo che fa il verso ai classici britannici del genere ma che ha in sé una giocosità tutta italiana. A partire dall’esergo, con la citazione della canzonetta di Aldo Palazzeschi che dà il tono alle pagine: «E lasciatemi diverti- re». Scelta azzeccata, perché a divertirsi è il lettore, fin dal formarsi della strana coppia composta dalla pronipote del celebre Hercule inventato da Agatha Christie e dalla sua nuova segretaria Velma Hamilton. La prima, approfittando della discendenza, è diventata presto «madrina del mistery britannico» fino ad annoiarsi a morte del mondo letterario per trasformarsi in critica culinaria e assomigliare a una «donna krapfen» su tacco dodici, la seconda è apparentemente «una placida zitella» trentacinquenne, con parentele italiane, che non ha mai lavorato un giorno in vita sua.
Le due si incontrano nel «Pro- logo» a Londra nel 1995, quando Penelope è in cerca di qualcuno che la ascolti e trascriva le sue memorie mentre trascorrerà un periodo di detox, causa colesterolo, nella cornice della toscana Villa Onestà, ritiro di lusso dal sapore new age dove si paga tantissimo per mangiare «erbe amare» e fare sedute di analisi spirituale. Velma accetta subito l’incarico e il ritiro salutista, sbeffeggiato ironicamente, è la cornice perfetta per un giallo dal sapore squisitamente letterario diviso in due parti che seguono l’evolversi cronologico della vicenda: la prima raccontata dal punto di vista della segretaria, la seconda, dopo la morte dell’attrice Anita Dall’Orso, ospite alcolizzata della Villa ed ex dell’ambiguo padrone della struttura, da quello di Penelope.
Una struttura drammatica ordinata che ben si lega al ritmo della scrittura e allo stile brillante dell’autrice, volutamente esplicita nell’utilizzo degli elementi del genere. Non mancano le lettere, una anonima e una recuperata, una pistola, una fiaschetta velenosa, come non mancano scambi di persona, agnizioni, tradimenti, doppie vite, così che al commento di Velma sugli intrighi degli ospiti: «Qui tutti nascondono qualcosa», Penelope risponde: «Un covo di serpi, Velma cara. Ma noi non siamo rettili; noi, i rettili, li staniamo!».
Certo, bisognerà scoprire alla luce di quale verità si placano i personaggi coinvolti: da Alex Cosser, psichiatra santone della Villa, a Primo Baldan, «l’uomo più bello del mondo» per Velma, alla coppia Elizabeth Foster Gauli, bestsellerista con mistery di ambientazione vittoriana, con il marito Achille Gauli, scrittore letterario da poche copie.
Arrivarci, mentre il marchio della colpevolezza aleggia tra tanti, è coinvolgente perché il divertissement gioca, più che con le dinamiche del crimine, con quelle degli specchi e delle proiezioni che costruiscono il sospetto.