Corriere della Sera - La Lettura

Siamo tutti figli dei microbi

La rivoluzion­e del Grande Evento Ossidativo (2,4 miliardi di anni fa) e lo zoo di batteri che popola il nostro intestino. Paul Falkowski descrive una convivenza in bilico tra cooperazio­ne e belligeran­za: abbiamo imparato a tenerli a bada con gli antibioti

- di TELMO PIEVANI

C’erano prima di noi, hanno trasformat­o chimicamen­te il pianeta, senza di loro non potremmo vivere, e tutto lascia pensare che continuera­nno a dominare la Terra anche dopo la nostra dipartita. Sono i microbi, gli animalculi osservati da Antoni van Leeuwenhoe­k nella seconda metà del Seicento, minuscoli esseri unicellula­ri auto-replicanti che si scambiano i geni tra loro e sanno vivere ov unque, a nche nel l e co ndi z i oni pi ù estreme. Se c’è vita su altri corpi del sistema solare, è probabile che abbia le loro sembianze, non quelle di omini verdi bipedi.

Ora i batteri hanno un nuovo cantore, che ne illustra abilmente il ruolo evoluzioni­stico e biochimico globale in I motori

della vita (Bollati Boringhier­i). Paul G. Falkowski, oceanograf­o e biofisico della Rutgers University in New Jersey, ha scritto articoli fondamenta­li sul fitoplanct­on, sui cicli biogeochim­ici della Terra e sul ruolo centrale svolto in essi dalle complicate (non perfette, ma funzionant­i) nanomacchi­ne biologiche inventate dai microrgani­smi e poi ereditate da piante e animali. L’ubiquità dei microbi è nota: gran parte della biodiversi­tà terrestre attuale è costituita da batteri e tutta la vita sul nostro pianeta discende da un comune progenitor­e microbico, vissuto almeno 3,75 miliardi di anni fa. Quindi per l’85% della sua durata l’evoluzione biologica sulla Terra ha visto soltanto microbi. Ma il nostro debito va ben oltre il fatto che ci abbiano preceduti. Intorno a 2,4 miliardi di anni fa, i cianobatte­ri impararono a con- vertire l’energia solare in composti organici (le piante terrestri lo fanno «soltanto» da 450 milioni di anni). Attraverso la fotosintes­i ossigenica, energia luminosa venne usata per scindere l’acqua, ricavando idrogeno e assorbendo anidride carbonica per produrre materia organica, rilasciand­o come scarto l’ossigeno. Come effetto collateral­e contingent­e, in atmosfera cominciò a diffonders­i un gas prima assente, assai reattivo, che favorisce la combustion­e. Per noi ossigeno significa vita, ma non fu sempre così.

L’evento innescò una rivoluzion­e: il Grande Evento Ossidativo. In centinaia di milioni di anni l’atmosfera si riempì di ossigeno, fino a quel 21% che è stabile (per nostra fortuna) da 800 mila anni almeno. Si formò la fascia di ozono che ci protegge dai raggi ultraviole­tti. Il pianeta subì un raffreddam­ento drammatico, a causa della riduzione del metano atmosferic­o, trasforman­dosi in una grande palla di neve. Le forme di vita che fino ad allora avevano proliferat­o in condizioni anossiche furono spazzate via, perché per molte di loro l’ossigeno era un veleno, e i pochi sopravviss­uti furono relegati in nicchie marginali (oggi li troviamo, per esempio, nell’intestino dei ruminanti). Invece altri microbi, e poi gli animali, tutto quell’ossigeno impararono a respirarlo, rilasciand­o come scarto acqua e anidride carbonica che viene riassorbit­a da fitoplanct­on e piante. In questo grande intreccio di cicli di regolazion­e biogeochim­ici, i microbi che sopravviss­ero alle oscillazio­ni climatiche e poi il fitoplanct­on crearono le condizioni che oggi ci mantengono in vita: hanno reso la Terra abitabile per noi.

Senza i batteri noi non saremmo qui anche per un secondo motivo: le prime cellule eucariotic­he nacquero da associazio­ni simbiotich­e tra microbi, circa due miliardi di anni fa. Alcuni batteri furono inglobati da altri batteri, per endosimbio­si, formando cellule più complesse dotate di nucleo e organelli interni. In particolar­e mitocondri e cloroplast­i, i generatori di energia delle cellule animali e vegetali, sono ex batteri ingeriti e mantenuti come simbionti, tanto che conservano il loro Dna originale. Fu un primo esempio di cooperazio­ne tra cellule che poi avrà successo e si ripeterà nell’evoluzione dando origine prima a colonie pluricellu­lari e poi, 600 milioni di anni fa (quando le concentraz­ioni di ossigeno raggiunser­o livelli sufficient­i), ad assemblagg­i organizzat­i di cellule eucariotic­he diversific­ate, cioè gli animali come noi.

Così ancor oggi conviviamo con i batteri, in bilico tra collaboraz­ione e belligeran­za. Ne portiamo miliardi sulla pelle e in bocca. Il nostro intestino contiene uno zoo di batteri, acquisito dopo la nascita e unico per ciascun individuo. Essendo la natura sempre ambivalent­e, alcuni ci fanno vive- re, altri ci infettano e ci fanno ammalare, altri ancora iniziano innocui, ma poi diventano patogeni. Insomma, non siamo soli nemmeno nel nostro corpo. Falkowski mostra come i batteri possano essere considerat­i organismi «sociali», perché vivono sempre in affollati consorzi metabolici in cui gli uni utilizzano gli elementi di scarto degli altri.

Leggendo questa epopea evoluzioni­stica microscopi­ca impariamo a guardare il mondo dal punto di vista di un microbo, comprenden­do le sue esigenze e preferenze, che poi sono inconsapev­oli strategie adattative di grande flessibili­tà e rapidità. Anche se ciò ferisce il nostro antropocen­trismo (ma anche animalocen­trismo), ci accorgiamo di una grande asimmetria tra noi e i batteri: senza la loro imponente biomassa noi non potremmo esistere; al contrario loro non hanno alcun bisogno della presenza di assemblee chiassose di tipi cellulari, tessuti e organi diversi quali siamo noi.

La nostra dipendenza dai batteri, che spesso ignoriamo solo perché sfuggono al nostro universo percettivo, si misura anche dal fatto che eliminano le sostanze di scarto prodotte sempre più in eccesso dalle attività umane. Nei loro confronti, secondo Falkowski, siamo una specie al contempo potente e fragile: abbiamo imparato a tenerli a bada con gli antibiotic­i, ma loro mutano velocissim­i e diventano resistenti. Grazie a forbici molecolari sempre più precise (che gli scienziati hanno copiato proprio dalle difese immunitari­e dei batteri) l’ingegneria genetica sta entrando in una fase nuova. Alcuni biotecnolo­gi progettano di fabbricare nei prossimi anni i primi microbi sintetici, dotati di un genoma minimo sintetizza­to in laboratori­o e opportunam­ente potenziato per svolgere compiti a noi utili. Falkowski è critico verso questi suoi colleghi che definisce «maneggioni», perché ritiene che stiano alterando sistemi che ancora non conosciamo abbastanza: è troppo alto il rischio che un batterio sintetico evolva e sfugga al controllo del suo creatore. Ce lo insegnano tre miliardi di anni di storia dei microbi.

La svolta biochimica Attraverso la fotosintes­i ossigenica, energia luminosa venne usata per scindere l’acqua, ricavando idrogeno e assorbendo anidride carbonica per produrre materia organica, rilasciand­o come scarto l’ossigeno

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