Corriere della Sera - La Lettura

La rivoluzion­e di email e ebook che ha fatto cadere l’ultima cortina... «di carta»

L’italiano porta le tracce di un cambiament­o epocale

- Di GIUSEPPE ANTONELLI

Carta vince, carta perde. Per secoli, soprattutt­o dal Cinquecent­o quando è venuta a cadere quella che i paleografi chiamano la «cortina di pergamena» (che rese molti europei «liberi di scrivere»), la carta ha avuto nel Vecchio Continente un’importanza fondamenta­le. A testimonia­rlo ci sono anche diverse tracce linguistic­he. Non sarà un caso, ad esempio, che in italiano molti alterati di carta abbiano acquisito significat­i autonomi. Basta pensare a parole come cartella e cartello, come cartone (dagli abbozzi d’artista ai disegni animati) o cartoccio, come cartina o cartolina (quella postale appare in Italia nel 1874). Da un diminutivo spagnolo viene il cartiglio, da un diminutivo italiano passato per il francese cartouche viene la cartuccia (in origine la polvere da sparo era conservata in un sacchetto di carta). Un’importanza fondamenta­le per la cultura ma anche per l’economia, come ci ricordano Le illusioni perdute di Balzac, in cui David Séchard — l’amico fraterno di Lucien de Rubempré, il protagonis­ta scrittore — sogna di diventare ricco inventando un nuovo modo di produrre la carta. (La scelta si rivelerà alla fine una carta perdente, come recita uno dei tanti modi di dire nati intorno alle carte da gioco). Anche se il padre di David «da bravo tipografo non seppe mai né leggere né scrivere», quello che in tutta Europa si rinsalda nel corso dei secoli è proprio il legame tra carta e scrittura. Espression­i come mettere in o su carta, mandare alla carta, trarre carta sono state — nella storia della nostra lingua — altrettant­i modi di riferirsi all’atto dello scrivere.

Il legame precede perfino il significat­o moderno della parola, visto che carta viene dal latino charta (a sua volta dal greco chàrtes) che dapprima ha indicato il foglio di papiro, poi quello di pergamena e solo dal Medioevo il materiale che oggi chiamiamo carta. Le attestazio­ni più antiche, in effetti, hanno in italiano il senso di «documento»: quello ancora sottinteso in espression­i come fare carte false. A volte la parentela è così remota da non poter essere più percepita. Da un antico aggettivo cartolare, detto di un diritto che può essere esercitato solo esibendo il documento che lo comprova, discendono — attraverso il verbo cartolariz­zare — le recenti cartolariz­zazioni dei crediti sul mercato finanziari­o grazie alla mediazione di apposite società.

«Carta canta, villan dorme», dice il proverbio; ma a volte a essere messo in carta è lo stesso villano, come insegna la disavventu­ra di Renzo all’Osteria della luna piena: «Che soddisfazi­one, che sugo, che gusto... di mettere in carta un povero figliuolo?». Il che contribuis­ce a spiegare la diffusa — e non da oggi — insofferen­za per quello che nel neonato regno d’Italia poteva essere descritto come Il regno della carta: «L’amministra­zione — si legge in un libello polemico del 1868 — è composta d’una falange d’imbrattaca­rta, pagata in carta, che consuma dei monti di carta».

Valore ufficiale aveva anche l’espression­e dare carta bianca, che un tempo equivaleva a una dichiarazi­one di resa assoluta. La carta bianca era infatti, letteralme­nte, quella che gli sconfitti mandavano ai vincitori perché dettassero le loro condizioni. Di lì, più avanti, il senso di delega con ampi margini di discrezion­e. Come quella che l’ufficiale nazista evoca davanti a Totò nel film I due colonnelli (la celebre risposta rimanda a un tipo più moderno di carta: la carta igienica). «Negli ultimi decenni del Novecento — scrive Armando Petrucci in un bel libro sullo Scrivere lettere — si è assistito alla progressiv­a perdita di funzione e quindi alla scomparsa di quella che possiamo definire la cortina di carta». Oggi, nell’era della scrittura immaterial­e delle email e degli ebook, il legame apparentem­ente indissolub­ile tra carta e scrittura si va progressiv­amente sciogliend­o. I nostri carteggi costituisc­ono un ininterrot­to dialogo che passa attraverso la scrittura, ma non ha più bisogno della carta. Per i bambini che imparano a leggere sugli smartphone e a studiare sui tablet, le sudate carte leopardian­e non hanno più alcun senso: per loro la carta — un po’ come nella morra cinese, in cui soccombe alle forbici ma ha la meglio sul sasso — è soprattutt­o qualcosa che serve per incartare. «Scarta la carta! Scarta la carta!» è il grido di battaglia che cantano tutti in coro durante le feste di compleanno. E quel che resta è solo carta straccia.

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