Corriere della Sera - La Lettura
La rivoluzione di email e ebook che ha fatto cadere l’ultima cortina... «di carta»
L’italiano porta le tracce di un cambiamento epocale
Carta vince, carta perde. Per secoli, soprattutto dal Cinquecento quando è venuta a cadere quella che i paleografi chiamano la «cortina di pergamena» (che rese molti europei «liberi di scrivere»), la carta ha avuto nel Vecchio Continente un’importanza fondamentale. A testimoniarlo ci sono anche diverse tracce linguistiche. Non sarà un caso, ad esempio, che in italiano molti alterati di carta abbiano acquisito significati autonomi. Basta pensare a parole come cartella e cartello, come cartone (dagli abbozzi d’artista ai disegni animati) o cartoccio, come cartina o cartolina (quella postale appare in Italia nel 1874). Da un diminutivo spagnolo viene il cartiglio, da un diminutivo italiano passato per il francese cartouche viene la cartuccia (in origine la polvere da sparo era conservata in un sacchetto di carta). Un’importanza fondamentale per la cultura ma anche per l’economia, come ci ricordano Le illusioni perdute di Balzac, in cui David Séchard — l’amico fraterno di Lucien de Rubempré, il protagonista scrittore — sogna di diventare ricco inventando un nuovo modo di produrre la carta. (La scelta si rivelerà alla fine una carta perdente, come recita uno dei tanti modi di dire nati intorno alle carte da gioco). Anche se il padre di David «da bravo tipografo non seppe mai né leggere né scrivere», quello che in tutta Europa si rinsalda nel corso dei secoli è proprio il legame tra carta e scrittura. Espressioni come mettere in o su carta, mandare alla carta, trarre carta sono state — nella storia della nostra lingua — altrettanti modi di riferirsi all’atto dello scrivere.
Il legame precede perfino il significato moderno della parola, visto che carta viene dal latino charta (a sua volta dal greco chàrtes) che dapprima ha indicato il foglio di papiro, poi quello di pergamena e solo dal Medioevo il materiale che oggi chiamiamo carta. Le attestazioni più antiche, in effetti, hanno in italiano il senso di «documento»: quello ancora sottinteso in espressioni come fare carte false. A volte la parentela è così remota da non poter essere più percepita. Da un antico aggettivo cartolare, detto di un diritto che può essere esercitato solo esibendo il documento che lo comprova, discendono — attraverso il verbo cartolarizzare — le recenti cartolarizzazioni dei crediti sul mercato finanziario grazie alla mediazione di apposite società.
«Carta canta, villan dorme», dice il proverbio; ma a volte a essere messo in carta è lo stesso villano, come insegna la disavventura di Renzo all’Osteria della luna piena: «Che soddisfazione, che sugo, che gusto... di mettere in carta un povero figliuolo?». Il che contribuisce a spiegare la diffusa — e non da oggi — insofferenza per quello che nel neonato regno d’Italia poteva essere descritto come Il regno della carta: «L’amministrazione — si legge in un libello polemico del 1868 — è composta d’una falange d’imbrattacarta, pagata in carta, che consuma dei monti di carta».
Valore ufficiale aveva anche l’espressione dare carta bianca, che un tempo equivaleva a una dichiarazione di resa assoluta. La carta bianca era infatti, letteralmente, quella che gli sconfitti mandavano ai vincitori perché dettassero le loro condizioni. Di lì, più avanti, il senso di delega con ampi margini di discrezione. Come quella che l’ufficiale nazista evoca davanti a Totò nel film I due colonnelli (la celebre risposta rimanda a un tipo più moderno di carta: la carta igienica). «Negli ultimi decenni del Novecento — scrive Armando Petrucci in un bel libro sullo Scrivere lettere — si è assistito alla progressiva perdita di funzione e quindi alla scomparsa di quella che possiamo definire la cortina di carta». Oggi, nell’era della scrittura immateriale delle email e degli ebook, il legame apparentemente indissolubile tra carta e scrittura si va progressivamente sciogliendo. I nostri carteggi costituiscono un ininterrotto dialogo che passa attraverso la scrittura, ma non ha più bisogno della carta. Per i bambini che imparano a leggere sugli smartphone e a studiare sui tablet, le sudate carte leopardiane non hanno più alcun senso: per loro la carta — un po’ come nella morra cinese, in cui soccombe alle forbici ma ha la meglio sul sasso — è soprattutto qualcosa che serve per incartare. «Scarta la carta! Scarta la carta!» è il grido di battaglia che cantano tutti in coro durante le feste di compleanno. E quel che resta è solo carta straccia.