Corriere della Sera - La Lettura
Il primo crac (medievale) a Siena
La crisi finanziaria che travolse la famiglia Bonsignori. Allora era una novità
Se si ripercorrono le vicende dell’economia medievale europea si scopre che la prima crisi bancaria avvenne tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento a… Siena. Non si tratta di una storia sconosciuta. L’hanno esplorata in tanti: a partire da Gino Arias fino alla recente analisi di Gabriella Piccinni. Ma oggi l’episodio colpisce per simmetria con l’attualità. Sebbene si debba fare attenzione. Non c’è alcuna coazione a ripetere. Né esistono stigmate consustanziali che ricadano sul capo dei senesi, tali da farli ritenere inadatti ad affrontare crolli finanziari tanto oggi come allora: si vorrebbe ben vedere! Le differenze poi, com’è naturale, sono una miriade. Con una lampante: che per il Medioevo la crisi fu una novità. E sì. Perché se alla metà del Duecento la finanza occidentale si mette per la prima volta in moto, chi poteva immaginare che questa straordinaria innovazione generasse tempeste tanto violente e inarrestabili, capaci di trascinare dietro di sé, come un terribile tsunami, uomini, ricchezze e fortune?
Nel raccontare cosa avvenne a Siena, le cronache del tempo rimandano stupore. Puntano il dito non tanto sui difetti del sistema finanziario, ma su altri due aspetti. Innanzitutto, sui conflitti interni alla maggiore compagnia, la «Grande tavola» dei Bonsignori, che avrebbero comportato una forte flessione nei loro affari. Dall’altro lato, imputano il declino all’azione dei rivali (non solo senesi) che, nell’ultimo ventennio del Duecento, avrebbero operato per la distruzione della compagnia. Dunque che cosa causò la crisi? Una gestione aziendale difettosa? Le rivalità? O il tracollo nacque da problemi finanziari?
Per capirci di più, riavvolgiamo il nastro e partiamo dall’inizio, gli anni Cinquanta del Duecento, quando a Siena si forma la prima «supercompagnia» medievale, guidata dai Bonsignori. Un modello di famiglia bancaria. Un esempio per chi verrà dopo, come i Bardi e i Peruzzi. Nel clan emerge la figura del leader Orlando. Grazie a lui l’azienda si allarga. Detta legge. Assume spessore internazionale, con succursali nel cuore dell’economia europea: a Roma, Genova, Parigi, Londra, Marsiglia e alle fiere della Champagne. Compito principale del banco? Raccogliere le decime, imposte destinate alla principale poten- za finanziaria del tempo, la Chiesa. Lo fa con freddezza, facendo affluire danaro dappertutto, dalla Terra Santa come dalla Scozia. Almeno fino al 1270 i Bonsignori sono i più forti. E si allargano. Prestano in giro. Ai piccoli come ai grandi, tra cui i re d’Inghilterra e Francia. Poi comincia la flessione. Entrano in gioco i rivali, soprattutto fiorentini. Alle trame finanziarie si uniscono quelle politiche, che ingarbugliano gli affari. E la compagnia va in crisi. Ma, a differenza dei contemporanei, gli storici oggi sottolineano le falle finanziarie, con l’episodio clou del 1291, quando i cardinali spiattellano ai rappresentanti di quattro banche toscane, tra cui i Bonsignori, che c’è un bel buco di bilancio nella resa delle decime e che esiste un ammanco di più di 250 mila fiorini: cifra esorbitante, con cui, come nota la Piccinni, si sarebbe potuto comprare grano per sfamare per un anno circa trecentomila persone!
I Bonsignori, sotto questo peso, crollano. Liquidati nel 1298, falliti nel 1304, messi in mora dal re di Francia nel 1307. E con le loro si dileguano tante fortune cittadine e, da un anno all’altro, Siena dall’essere nell’empireo economico internazionale si trova a navigare in acque ogni giorno peggiori. Con un debito che non scompare ma permane, tanto da finire sul groppone, si direbbe, dell’azionariato sociale. Perché la Chiesa, la maggiore creditrice, non dimenticò quanto le spettava. E, con pazienza implacabile, attese, per riavere il danaro, decenni. Fino agli anni Quaranta del Trecento. Rivalendosi non più contro i protagonisti diretti del fallimento, ormai tutti morti e sepolti, ma nei confronti degli eredi e non solo, ossia nella maggior parte di gente del tutto ignara che si trovò da un giorno all’altro indebitata sino al collo con la Camera apostolica. Il Comune, è vero, oppose resistenza. Ma inutilmente. La Chiesa aveva potenti mezzi di persuasione — tra tutti, la scomunica e l’interdetto della città. Così Siena capitolò. E si raggiunse una transazione, con il pagamento di 16 mila fiorini in diverse tranche, a partire dal 1349. Finì così la prima grande crisi bancaria medievale. Con un crac per Siena tanto doloroso da non consentirle più di raggiungere lo splendore economico duecentesco.