Corriere della Sera - La Lettura
Il muro giallo di Vermeer non è più un mistero
Con il capolavoro dell’artista fiammingo la città non è più rappresentata come un organismo. E i ripensamenti del pittore rivelano l’esatta collocazione di un particolare citato nella «Recherche» Proust fece morire il personaggio di Bergotte davanti alla «Veduta di Delft» Invocava una «parete gialla». Quale? Sbagliano tutti. Quella giusta è...
Quasi a metà del terzo volume della Recherche Marcel Proust fa morire lo scrittore Bergotte al Jeu de Paume, mentre mormora davanti alla Veduta di Delft di Vermeer le seguenti parole: «Piccolo lembo di muro giallo con tettoia, piccolo lembo di muro giallo». Bergotte muore appena dopo aver compreso come avrebbe dovuto scrivere i suoi libri, che gli appaiono adesso «secchi», privi della «bellezza che poteva bastare a se stessa» del piccolo brano di muro che è l’ultima cosa che fa in tempo a vedere, frutto «di più strati di colori », lavorato« come un’opera d’arte cinese».
Ma dov’è precisamente nel quadro questo tratto? Qual è tra i tanti brandelli gialli di cui la rappresentazione si compone? Quasi tutti coloro che si sono posti la domanda sono stati attirati dal giallo più elevato (nel senso della posizione) e perciò più visibile, oltre che cromaticamente più squillante, e hanno indicato non un pezzetto di muraglia «con tettoia», come Proust scrive, ma direttamente un tetto, quello assolato che spicca e quasi svetta subito accanto alla torre sinistra della porta di Rotterdam.
La soluzione più elegante si deve a chi l’ha cercata più di ogni altro, e filologicamente: con la sua espressione Proust avrebbe inteso non un minuscolo pezzo di un muro più grande ma un muro effettivamente minimo, quello all’estrema destra del dipinto, cui avrebbe però associato il colore del tetto vicino, sempre a destra della porta ornata da due torri uguali. L’eleganza di tale risposta risiede nella più generale spiegazione che la rende possibile: Proust concentrerebbe in un solo oggetto quel che nella tela di Vermeer è invece diffuso, perché egli si documentava non per scrupolo di esattezza ma di verità, e la verità per lui non si nutriva di esattezze, al punto che egli riduce all’essenziale la veduta di Vermeer, ne esprime il «distillato».
In realtà le cose sono ben altrimenti complesse e insieme semplici, e passano attraverso quei ritorni su di sé che i pittori chiamano «pentimento» e «ripensamento». Frutto di un pentimento sono le sei figurine in primo piano nell’angolo in basso a sinistra, uomini e donne immobili, con una sola eccezione, accanto alla barca ormeggiata a riva, in discreta e civile conversazione: all’origine erano in numero maggiore ma alcune di esse, verso destra, vennero in seguito eliminate. E se si esamina l’opera ancor più da vicino, e proprio secondo quel che a Bergotte stava a cuore, vale a dire la sovrapposizione e la plurale concrezione materica dei colori, si nota un evidente ripensamento a proposito del basso corpo edile, sormontato da una bluastra copertura spiovente, che dalla torre sinistra della porta chiude in diagonale sul canale verso il retrostante ponte Capels e la gemella porta di Schiedam.
Si tratta di un muro bruno su cui in basso a destra spicca, proprio a poppa dei due navigli e esattamente a sinistra della base della torre, un ridotto quadrangolo inopinatamente giallo, molto meno squillante di quello dei tetti soleggiati che lo sovrastano ma molto più composito quanto a grana e a complessità del tessuto: l’unico «piccolo lembo» di parete che indubitabilmente soddisfa a puntino tutte le condizioni della descrizione proustiana, ma fin qui probabilmente passato inosservato soltanto a motivo della sua minor vivacità, come se fosse questa che a Proust-Bergotte importasse, e non invece la preziosità dell’impasto, perfettamente compatibile con la discrezione dell’effetto.
In ogni caso la funzione del rettangolino giallo-ocra è cruciale, perché serve a distogliere l’attenzione da quel che di decisivo si compie per via del ripensamento di cui consiste lo sfondo scuro della muraglia: la fine dell’omologia tra le cose animate e quelle inanimate, del regime di equivalenza tra le case e le persone.
Per Sant’Agostino, infatti, i cittadini erano «pietre viventi», e ancora mille anni dopo per Leon Battista Alberti le parti di una costruzione avevano «abitudini» come chi le abitava, e «membra» era termine che accomunava l’elemento umano e quello edilizio, designava indifferentemente l’uno e l’altro. Sarà proprio la Veduta di Vermeer a certificare la fine della solidarietà tra tutti i materiali elementi di cui la città si compone, anzi la fine dell’identità della loro natura: le pietre sono soltanto pietre e gli abitanti si limitano ad essere esseri viventi, senza più nessuna possibilità di scambio tra le prime e i secondi.
A scrutare con attenzione la variegata parete ci si accorge infatti che Vermeer prima dipinge su di essa il viso di due edifici, l’uno accanto all’altro, con le finestre che sono gli occhi e il rotondo semicerchio superiore della bocca, e poi li ricopre con altro colore fino a cancellare le prime.