Corriere della Sera - La Lettura
Buon compleanno, Freddie Il pop che cambiò il rock
Il 5 settembre compirebbe settant’anni, il 24 novembre saranno 25 dalla sua scomparsa. Disse: «Non diventerò una stella, diventerò una leggenda». Ecco come ci è riuscito
Meglio da solo, seduto in contemplazione di fronte al laghetto giapponese fatto costruire nella lussuosa villa di Kensington, Londra, circondato dagli amati gatti e dalle carpe Koi? Oppure esagerato come d’abitudine, al centro della scena di un festino simile a quello che fece la storia di Ibiza, aereo a disposizione degli amici e, racconta la leggenda, Biancanevi in abiti discinti e nani con barattoli pieni di cocaina dai quali attingere liberamente?
Qualunque sia la scelta, e conoscendo il personaggio verrebbe da propendere per l’opzione due, la festa per il settantesimo compleanno di Farrokh Bulsara, al secolo Freddie Mercury, non avrebbe nulla di banale. Sopra le righe, come lo è stato per una vita breve ma intensissima. Eccessivo, magnifico, sfrontato. Semplicemente, Freddie.
Compirà 70 anni domani, lunedì 5 settembre, il cantante dei Queen. Corretto sarebbe dire compirebbe, visto che il baffo più famoso del rock’n’roll ha lasciato questo mondo quasi 25 anni fa (il 24 novembre 1991, già pronti per un’altra ricorrenza significativa), ma come si fa a ritenere scomparso un personaggio che viene ancora considerato tra i più influenti della musica mondiale? Anche se non canta più, per ovvi motivi, da un quarto di secolo (meglio, da 21 anni, visto che l’album postumo Made in Heaven è datato 1995). Un paio di esempi? Il Greatest Hits dei Queen è stato appena premiato come il disco più venduto nella storia in Gran Bretagna. Secondi, gli Abba. Terzi, a debita distanza, i Beatles. E quando i redattori del mensile «Q Magazine» stilarono la classifica delle più grandi personalità del rock, non ebbero dubbi: sul podio Jimi Hendrix ed Elvis Presley, primo per distacco Freddie Mercury. E se i Queen non sono rock, sostengono i detrattori, ma pop? Risponderebbe Freddie: chi se ne frega? A saperlo fare, il pop... Del resto, come dichiarò un arrogante Freddie in una famosa intervista, «sono solo una prostituta della musica, mio caro».
Una prostituta immortale (e immorale), come la sua voce. Lo aveva preannunciato: «Non diventerò una stella, diventerò una leggenda. Voglio essere il Nureyev del rock’n’roll». Ci è riuscito, abbondantemente. Come «La settimana enigmistica», Freddie Mercury vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Ma confrontarsi con la voce, prima ancora che con la musica, dell’uomo che da Zanzibar partì alla conquista di Londra prima e del mondo poi, è un’impresa improba. E irrealizzabile. Chiunque si avvicini al Mito lo fa con rispetto, con ammirazione e con la consapevolezza di non poterlo raggiungere. Eredi? Non scherziamo, per cortesia. Fan, al massimo. Un firmamento di artisti che si sono dichiaratamente ispirati all’opera del cantante dei Queen.
Amari: «Io non provo dentro di me quello che provava un artista come Freddie Mercury, che sembrava amare e trarre energia dal suo pubblico, cosa per cui lo ammiravo e lo invidiavo» (Kurt Cobain, nella lettera lasciata prima di suicidarsi). Illuminati: «Se non mi fossi aggrappato ai testi di Freddie Mercury quando ero un bambino, non sarei dove sono ora. Mi ha insegnato tutte le forme di musica, mi ha aperto la mente. Non ho mai avuto un insegnante così grande nella mia vita» (Axl Rose). Felicemente plagiati: «Il mio modello di vita e il mio eroe è Freddie Mercury» (Psy, quello del Gangnam Style, ma anche Shinsuke Nakamura, wrestler giapponese che si presenta sul ring con baffoni e tutine à la Freddie). Sorprendenti: «Freddie Mercury è la mia principale fonte di ispirazione» (Katy Perry). In attesa di un segno: «Freddie, se sei lassù e vuoi lasciare a un artista il tuo lavoro, per favore mandami un album, o almeno metà» (Robbie Williams). Per non parlare di chi ha citato e ancora cita le sue canzoni: 3 Chains O’ Gold di Prince è un esplicito rimando a Bohemian Rhapsody. E, per restare in Italia, la discesa di piano in 50 Special dei Lùnapop di Cesare Cremonini (che ha un Freddie tatuato sull’avambraccio sinistro) è una reminiscenza di Flick of the Wrist (da vero fan).
Quattro ottave di estensione vocale, spiegano quelli che ne sanno. Come tonalità, Freddie è sempre stato considerato un tenore, aggiungono, ma in realtà era un baritono. Mika, il cantante che più è stato accostato a Mercury come estensione, è sempre rimasto a debita distanza dal Mito. Ma con grande devozione, tanto da dedicargli una canzone, Last Party: «Chi sapeva che il mercurio poteva salire così veloce- mente? Godetevi la festa perché questo è il nostro ultimo party».
Giusto. Godetevela, direbbe Freddie, e non preoccupatevi di quello che può pensare chi vi vuole male: «Naturalmente io do scandalo, sono pacchiano, teatrale e sopra le righe, ma non ho scelto questa immagine. Sono me stesso. Mi sembrerebbe di farmi un torto a non truccarmi solo perché qualcuno pensa che non sia una cosa giusta». E provocare è una delle cose che più divertiva (e probabilmente diverte ancora) il cantante più esagerato del rock. Ma ridurre la fama e l’immortalità di Freddie Mercury all’immagine, per quanto dalle unghie tinte di nero ai capelli lunghi all’ombelico, dalle calzamaglie attillate alle tute in pelle da biker, dai baffoni ai dento- ni, sì pure quelli, tutto abbia contribuito a fare di lui un’icona (gay, ma non solo) sarebbe ingiusto. Ci sono anche (o soprattutto?) quelle quattro ottave di estensione vocale. Ci sono un gusto e una sensibilità musicali barocchi e geniali. E una presenza che riempiva il palcoscenico. Chi ha avuto la fortuna di vederlo dal vivo, insieme con i Queen (che, attenzione, tutto erano tranne che una band di supporto del líder máximo), sa di che cosa stiamo parlando.
Resterà indimenticabile l’esibizione al Live Aid, Wembley, A. D. 1985, quando in piena luce del pomeriggio inglese, senza effetti speciali, con un paio di jeans e una canotta bianchi, in 25 minuti i Queen conquistarono letteralmente il pianeta. E le riprese in mondovisione di Freddie di spalle e di 160 mila mani che battevano il ritmo all’unisono durante Radio Ga Ga sono da pelle d’oca. «Norimberga style», fu la definizione che con dubbio gusto scelsero i tabloid inglesi per indicare come il pifferaio magico dominasse il popolo. Hitleriano, sì, ma rendeva bene l’idea.
Domani Freddie compirebbe 70 anni. Che Freddie Mercury sarebbe? Probabilmente l’icona aiuta il Mito, sarebbe difficile immaginarlo sovrappeso, bolso e con una calvizie incipiente saltare su un palcoscenico con le sue inconfondibili mossette, o ascoltare i «tirolirolirolirolero» con cui arringava e dominava le folle. Ne era consapevole anche lui: «Tra qualche anno certo non indosserò più gli stessi costumi di scena e non correrò più su e giù per il palco. Non so che cosa farò, a quel punto, ma una cosa la so: continuerò a divertirmi». Lo starà facendo di sicuro. E anche i suoi fan più accaniti lo faranno: stasera a Montreux, in Svizzera (il suo buen retiro prima della morte), si sono dati appuntamento da ogni parte del mondo per festeggiare (con) Freddie Mercury. Tre le regole: uno, indossare qualcosa di giallo, il colore preferito di Freddie; due, essere esagerati; tre, non ci sono altre regole.
Il modo migliore per celebrare la vittoria sulla morte dello zoroastriano Freddie Mercury. «La mia musica supererà la prova del tempo? Non me ne frega nulla. Io non ci sarò più, per preoccuparmene. Fra vent’anni sarò morto, miei cari». La sua musica, la prova del tempo l’ha superata.
Buon compleanno, Freddie.