Corriere della Sera - La Lettura
Gatti, polli, bovini e ovini si sono evoluti a ritmi molto rapidi Li abbiamo resi docili ma anche noi umani siamo cambiati
di
Pare che, se si chieda a un passante europeo, diciamo il «fatidico uomo della strada», se sia darwinista oppure no, la possibilità di ricevere «sì» come risposta si aggiri intorno all’80%. Ovviamente di quell’80% di darwinisti quasi nessuno conosce davvero come funzioni la teoria dell’evoluzione: Darwin — chissà, forse per fortuna — è uno di quei grandi classici che tutti conoscono, ma in pochissimi hanno letto. Il filosofo Thomas Nagel, che evidentemente non starebbe completamente a suo agio in quell’80%, ha recentemente ravvivato, con il suo Mente e cosmo (Raffaello Cortina, 2016), il dibattito intorno ai limiti della teoria dell’evoluzione: il meccanicismo classico, secondo Nagel, soccombe dinnanzi a un principio teleologico in grado di dare il giusto peso a fenomeni mentali e coscienti governati da strutture logiche il cui sviluppo non possiamo attribuire alla casualità. C’è un ordine, secondo Nagel, in questa follia che è l’evoluzione delle specie (soprattutto delle specie cosiddette «coscienti»).
Richard C. Francis — ospite d’onore della giornata inaugurale di Torino Spiritualità 2016 — nel suo Addomesticati (Bollati Boringhieri) tenta ora di fare un passaggio ulteriore: la co-evoluzione che cade sotto la categoria di «sindrome da domesticazione» è il miglior esempio di una sorta di finalismo evolutivo.
Prima di tutto un dato: la maggior parte delle specie antenate di quelli che sono gli attuali animali domestici (compresi quelli detti «da allevamento») si sono estinte da tempo. Basta cercare su Google «gatto ancestrale» o «bovino primordiale» e probabilmente stenteremmo a credere si tratti di animali esistiti davvero. Da questa estinzione di massa Francis ricava il primo argomento: dal punto di vista evoluzionistico lasciarsi addomesticare da Homo sapiens conviene. Una tesi controversa che possiamo comprendere solo se contestualizzata come valutazione generale, per la specie in quanto categoria, e non come analisi individuale, per l’animale in quanto animale: di certo la specie di bovini contemporanea (identificata nel 1821 da John Edward Gray) è sopravvissuta a quella primordiale, ma sarebbe inverosimile pensare che un bovino da allevamento possa esserne troppo felice.
Ciò che intende Francis e che effettivamente fornisce interessante materiale anche per gli etologi, è che la domesticazione è un fenomeno evoluzionistico particolarmente accelerato, nel quale la prossimità tra «animale X» e Homo sapiens agisce come un fattore selettivo che tende a fare emergere il tratto della docilità. In termini filosofici: la docilità è la condizione di possibilità della domesticazione, ma anche, in un senso più radicale, il suo prodotto finale. La docilità del resto non è soltanto una «dote» caratteriale, ma un meccanismo di azione visibile sui corpi degli animali addomesticati: numerose alterazioni anatomiche e comportamentali, in qualche modo collegate tra loro in maniera misteriosa, uniscono tra loro specie diversissime accomunate soltanto dalla «sindrome da domesticazione».
Il finalismo c’è, ma non si spiega: gli uomini primitivi, cominciando a selezionare un certo numero di specie animali, hanno attivato in maniera assolutamente inconsapevole una serie di somiglianze di famiglia fra specie tra loro lontane. Dunque ciò che Francis ne ricava è che pur di sopravvivere come specie spesso, anzi spessissimo, si accetta di soccombere come individui.
Nell’analisi di Francis cani e gatti hanno ovviamente un ruolo eccezionale, ma non ci si limita all’osservazione degli animali addomesticati per eccellenza; scopriamo che dai maiali alle pecore, fino a cavalli, cammelli, renne e addirittura procioni (celebri quelli «da compagnia» negli Usa) le immagini degli animali sono in realtà immagini degli umani. L’umanità fuori di essa, verrebbe da dire. Senza di noi questi animali, semplicemente, non esisterebbero e questo porta argomenti di discussione articolata anche per la filosofia che cerca di contestare dalle radici l’antropocentrismo: coloro che vorrebbero li-