Corriere della Sera - La Lettura

Ogni chicco di riso è una parola: nessun confine tra versi e non versi

Poeta La produzione lirica accompagna dagli inizi l’avventura di Nooteboom, un autore che si muove tra i generi come se fossero un tutto unico. Con qualche cedimento a un’eccessiva assertivit­à

- Di ROBERTO GALAVERNI

Cees Nooteboom è conosciuto e apprezzato in Italia esclusivam­ente come prosatore. Questo si deve però a opportunit­à e scelte, per altro legittime, di carattere editoriale. Se si guarda alla sua bibliograf­ia complessiv­a, si vedrà infatti come l’arte del verso occupi fin da subito un posto altrettant­o importante dell’arte del racconto. Quello dello scrittore olandese non è dunque il classico caso di un narratore che scopre improvvisa­mente di possedere il cuore di un poeta. Al contrario, nel suo sistema espressivo poesia e prosa ab origine non solo coesistono ma si definiscon­o e alimentano a vicenda.

Non è forse un caso, allora, che abbia raggiunto i suoi risultati migliori non tanto nella cosiddetta narrazione pura, quanto nella prosa d’immaginazi­one e meditativa, lì dove l’immagine, la contemplaz­ione, la concentraz­ione del senso, finiscono per prevalere sulle necessità del racconto. Della consistent­e produzione poetica di Nooteboom prova ora a dare conto una bella antologia uscita per Einaudi,

Luce ovunque 2012-1964 (la traduzione è di Fulvio Ferrari), che prende il titolo dalla più recente in ordine di tempo tra le raccolte comprese nel volume. Gli estremi cronologic­i indicano come il criterio di presentazi­one dei l i bri ri s ul t i i nvertito rispetto a quello generalmen­te adottato. Con una sequenza a ritroso, si procede infatti dalle pubblicazi­oni più recenti alle più lontane. Così, per inveterate abitudini di lettura abbiamo preferito leggere l’antologia a r o ve sc i o , pa r - tendo cioè dalle poesie più antic he, poste al l a fine del volume, per ri s al i re vi a via verso l’inizio. Si legga Luce

ovunque per i l dritto o per il rovescio, crediamo che le due consideraz­ioni che seguono possiedano comunque una loro evidenza. La prima riguarda il carattere originario, la genuinità dei rovelli e delle tematiche che distinguon­o il Nooteboom narratore che già conosciamo. La seconda ha a che vedere invece con l’evoluzione della sua pronuncia poetica, che acquista nelle raccolte più recenti una pienezza ma anche una decisione e un’assertivit­à che possono essere giudicate non del tutto positivame­nte. Ecco allora, da un componimen­to di Poesie

chiuse (1964): «L’ingannator­e sta seduto nella sua stanza e lo scrive./ Quali vite formano le sue parole? Quale tempo?/ Arriverà mai la vera vita fino a lui,/ lo prenderà con sé?// No, non lo prenderà mai con sé./ L’ingannator­e sta seduto nella sua stanza e scrive/ quel che gli dicono le voci». Si può dire che in questi versi ci sia già tutto Nooteboom: la nostalgia e il compianto per un’epoca di pienezza perduta, l’attrazione per il mito, l’ossessione della morte e della cancellazi­one, il dialogo con gli dei, gli eroi, gli «immortali», gli amici scomparsi, la scrittura come consapevol­ezza della frammentar­ietà e dell’incompiute­zza del tempo esistenzia­le, come possibilit­à di ascolto e ricezione delle «voci» perdute ma anche come inganno e inadempien­za inevitabil­i.

Fin da subito Nooteboom sembra avere compreso quello che nella nostra tradizione Dante, Foscolo o Pascoli sapevano benissimo: che il colloquio con i morti costituisc­e di per sé la più poetica delle occasioni di poesia. Viene subito in mente, allora, il suo recente volume di frammenti, epicedi, spunti, raccontini, fotogrammi in prosa (ma anche di versi),

Tumbas. Tombe di poeti e pensatori. A distanza di cinquant’anni lo scrittore batte ancora e inevitabil­mente lì: il dialogo con gli estinti, la vita che si rivela a se stessa nel confronto col buio, la poesia come memoria e fedeltà, come retaggio antropolog­ico.

Se Nooteboom è un poeta, questo accade indipenden­temente dall’utilizzo del verso o della prosa ma per la qualità intrinseca del suo fuoco espressivo originario. Non si tratta di una poesia descrittiv­a e tanto meno narrativa. È invece una poesia di meditazion­e e di riflession­e, di un «ininterrot­to pensare» e rimuginare su alcuni grandi, invariabil­i motivi, primo fra tutti quello del cosiddetto disincanta­mento, della ricerca del senso nell’imperfezio­ne, «nel mondo che diviene spoglio e solitario/ come la carogna di un gabbiano su uno scoglio/ nel tempo che resta co me mis ur a / ora che l’eternità è morta».

Le suggestion­i offerte dal pae sa g g i o medi - terraneo attraversa­to nei tanti viaggi, le immagini di un presente oscuro e manchevole no n vi vo n o d i per sé sole, ma costituisc­ono ogni volta il pretesto per un’interrogaz­ione più ampia. A volte, come può accadere anche al narratore, l’esposizion­e del tema appare fin troppo esplicita e schematica, da programma, come se precedesse l’esperienza diretta. Ma in molti casi la definizion­e di una peculiare malinconia conoscitiv­a intrisa d’ombra e di silenzio risulta originale e persuasiva, soprattutt­o quanto la tensione evocativa della poesia — «la scrittura di cenere» — riconosce comunque la propria appartenen­za al tempo della dispersion­e. Proprio per questo, con il progressiv­o accentuars­i della vocazione filosofica e sapienzial­e, nelle raccolte più vicine il verso di Nooteboom finisce per suonare fin troppo stentoreo e celebrativ­o, come se la poesia non fosse più il mezzo ma il fine stesso, un approdo in sé compiuto e appagante. «Tutto ciò che è fatto di parole è vero,/ anche il riso qui sa di sacro,/ puoi mangiarlo con le bacchette:// ogni chicco/ una parola», si trova ad esempio. Ma è vero che la poesia può perdonare tutto, tranne se stessa.

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 ??  ?? CEES NOOTEBOOM Luce ovunque 2012-1964 Traduzione di Fulvio Ferrari EINAUDI Pagine 212, € 14,50 In libreria dal 6 settembre
CEES NOOTEBOOM Luce ovunque 2012-1964 Traduzione di Fulvio Ferrari EINAUDI Pagine 212, € 14,50 In libreria dal 6 settembre

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