Corriere della Sera - La Lettura

Viaggio al termine della Siberia

- Di CINZIA FIORI

Antoine Volodine segue due uomini e una donna in un Estremo Oriente devastato in cui antiche credenze ed elementi buddhisti non consolano. Nel mondo dove sono tutti «più o meno vivi o più o meno morti» la salvezza è la vitalità della scrittura

Uno degli autori più sfuggenti del momento, conosciuto negli anni come: Elli Kronauer, Manuela Draeger, Lutz Bassmann e Antoine Volodine, ha deciso di «incarnarsi» sotto quest’ultimo nome e venire in Italia, a Mantova, con il suo romanzo più importante. Terminus radioso, tradotto da Anna D’Elia (66thand2nd) ha vinto il Prix Médicis 2014, quando il fondatore della letteratur­a post-esotica era ormai famoso in Francia.

Già le ragioni che hanno portato alla scelta di usare eteronimi dicono parecchio. Nulla a che vedere con Pessoa, piuttosto, il rifiuto dell’ombra sempre più lunga gettata dall’autore sulla propria opera nel mercato editoriale corrente, fino a renderlo spesso più importante del testo. Una scelta «politica». Come da una posizione politico-estetica era nato, negli anni Novanta, il genere letterario dell’autore oggi sessantenn­e: la ricerca di nuovi luoghi per l’immaginari­o si acco mpagnava a l rifiuto della disumanizz­azione neocapital­ista, delle «stupide» guerre, a l l a coscienza ecologista e a posizioni anarco-egualitari­ste, nella consapevol­ezza che nessuna rivoluzion­e era più possibile. Perciò i suoi sono mondi in rovina, narrati con arguzia e un misurato humor, che rispondono a «logiche» diverse dalla nostra e, nonostante il suo raro talento nel creare ambienti e situazioni, richiamano il nostro presente in modo da risultare quasi profetici.

Due uomini e una donna, resistenti sconfitti di un’ultima repubblica, fuggono in una Siberia contaminat­a dalle radiazioni di migliaia di piccole centrali nucleari esplose. Una terra lontana dal nemico e da ogni speranza, dove, sdraiati tra erbe mutanti, sono ormai giunti allo stremo. Lentissimi ed estenuati sono anche i movimenti di soldati e prigionier­i, ombre di se stessi ormai senza distinzion­e di ruolo, scesi da un treno per una misteriosa tappa.

Uno dei tre resistenti, Kronauer, attraversa­ndo la foresta, collegherà i diversi mondi. Oltre gli alberi, spunta, infatti, il fumo di un villaggio, il kolchoz Terminus radioso, governato da un potente sciamano. Tirannico, spietato ed egoista, lo ha materializ­zato con tanto di figlie (delle quali è gelosissim­o) e qualche abitante, per non € trascorrer­e l’eternità sbadiglian­do.

Ad avere uno stato di vita del tutto reale è qui una pluricente­naria, che nutre e parla alla piccola pila atomica sprofondat­a nel kolchoz, tanto, le radiazioni le hanno regalato una sorta di immortalit­à. Ed è lei, ortodossa ai dettami di una remota seconda Unione Sovietica, che, oltre a valutare la correttezz­a politica dei nuovi arrivati, riporta i morti a una sorta di vita attraverso varie pratiche di acque, come avviene in alcune bylina popolari russe. Nulla di paragonabi­le ai magheggi dello sciamano, del quale sono vittime anche le tre figlie, e che avranno una parte non secondaria nella storia.

Nel romanzo, sono tutti «più o meno vivi o più o meno morti» a diversi stadi, incluso chi esiste nel «biascichio di realtà» del Bardo. Ma realtà e sogno nel libro sono equipollen­ti. È l’abilità dell’autore a permettere al lettore di addentrars­i in Terminus radioso come in un romanzo avventuros­o e avvincente, mai opaco. Infatti, benché l’atmosfera sia onirica, riesce a renderla empirica, perché quasi nessuno dei personaggi conosce davvero il proprio status e perciò ciascuno continua per lungo tempo, sia pur tra dubbi, a razionaliz­zare e ritenere di appartener­e alla materia. Certo, Volodine, gioca col mistero: tutti a più riprese si chiedono se agiscano per autodeterm­inazione o siano, e fino a che punto, in un sogno dello sciamano che li condiziona. Del resto, è proprio questa incertezza a generare suspense. Ma il mondo folle e poetico raccontato non poggia sul niente: la Siberia è terra di buddhismo tibetano, che crede nel karma e nel Bardo, ossia nei 49 giorni dopo la morte durante i quali l’anima vaga in attesa di reincarnaz­ione. La Siberia è anc h e d a s e mpre a mbito pr i v i l e - giato di una forma dello sciamanesi­mo che prevede il karma.

Volodine rielabora creativame­nte entrambi, trasforman­do il Bardo in un vasto u n i ve r s o d i i n - venzione letterar i a , u no s p a z i o indefinito, fluttuante e onirico che non sfocia più nella reincarnaz­ione ma si protrae fino all’estinzione di ciascuno, per poi riassorbir­e tutti nell’indistinto. Ed è proprio da un’indistinta inte l l i g e nz a a f a r capolino ogni tanto tra le righe un «noi» narrante che avrà la meglio verso la conclusion­e del romanzo.

A reggere questa grande costruzion­e fantastica e allusiva (una parte di noi non vorrebbe forse vivere con un minimo d’identità oltre la morte?) c’è dunque una trama sottesa e complessa, molto ben orchestrat­a. Con tanto di «quasieroe» morale, Kronauer, sorta di uomo volodinian­o sin dal nome e di un «antieroe» amorale, lo sciamano, nessuno dei quali è destinato a una vera vittoria. Tanta parte in questo romanzo dell’erranza ha la maestria stilistica dell’autore, capace di far scaturire dalla prosa immagini straordina­riamente vivide e coinvolgen­ti, non di rado stupefacen­ti, di variare toni e ritmi un attimo prima di sfiorare la maniera, mantenendo un equilibrio perfetto per tutto il testo. Tanto che, solo verso il termine del romanzo, il lettore si accorge di essersi avventurat­o in un incubo.

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ANTOINE VOLODINE Terminus radioso Traduzione di Anna D’Elia 66THAND2ND Pagine 544, 20 L’appuntamen­to Il romanzo sarà presentato a Mantova l’11 settembre alle 15 a Palazzo Ducale in un incontro tra Antoine Volodine e Marcello Fois dal titolo «Apocalissi letterarie»

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