Corriere della Sera - La Lettura
I videogiochi escono dal video per costruire città (e società) migliori
Incontri e laboratori esplorano una dimensione di un’attività non più solo ludica. «È un mezzo molto potente per interrogarsi sui futuri possibili». E affrontare speculazione edilizia, vivibilità e convivenze
«Le descrizioni di città visitate da Marco Polo avevano questa dote: che ci si poteva girare in mezzo col pensiero, perdercisi». E ancora: «Adesso, da ogni città che Marco gli descriveva, la mente del Gran Khan partiva per suo conto, e smontata la città pezzo per pezzo, la ricostruiva in un altro modo, sostituendo ingredienti, spostandoli, invertendoli».
È il 1972 e Italo Calvino pubblica per Einaudi Le città invisibili. Grazie alla visionarietà del racconto che Marco Polo tesse per il malinconico imperatore dei Tartari Kublai Khan, la città diventa esplorabile da ogni angolo, anche in maniera non lineare. E grazie alla costruzione combinatoria dei capitoli — «un libro fatto a poliedro», con più di una conclusione, dice lo stesso Calvino — anche l’opera può essere percorsa in lungo e in largo. Quest’anno, al Festivaletteratura di Mantova, è stata allestita (Palazzo Ducale, Cantine di Vincenzo Gonzaga) una sala giochi in cui viene ripercorsa la storia dei videogame e una delle sezioni si intitola proprio Le città invisibili. Molto più di un omaggio a Calvino. Immergendosi tra i titoli che verranno presentati, infatti, si ha la sensazione che il grande intellettuale sia arrivato al massimo di quanto si potesse attraverso la scrittura e che oggi, invece, i videogiochi abbiano raggiunto le caratteristiche per far esplodere quell’originaria inchiesta sulla città. Fino al risultato ultimo di trascinarla fuori dal video e influenzare la realtà, la politica, la società.
Il centro urbano è infatti da sempre un possibile sfondo — o la metafora di altro — per i videogame, così come per gli altri media (è del 1989 ad esempio il celebre SimCity, videogioco di simulazione in cui bisognava creare la città). «Ma lo sviluppo tecnologico ha aumentato la ricchezza e la complessità con cui oggi può essere rappresentata. Decisivo, in termini di immersività, è stato il 3D, e nuove prospettive ha aperto la realtà virtuale», osserva Andrea Dresseno, curatore dell’archivio videoludico della Cineteca di Bologna e della sala giochi del Festivaletteratura. Si pensi ai titoli open world («mondo aperto»), quelli che mettono in scena mondi vir- tuali in cui il giocatore può muoversi liberamente, senza dover per forza seguire un ordine o una narrazione, potendo scegliere di affrontare delle prove ma anche solo di esplorare l’ambientazione. Un caso, per quanto spesso al centro di polemiche per la violenza rappresentata, è Grand Theft Auto (Rockstar Games). Per guadagnare soldi e reputazione il giocatore è protagonista di conflitti con criminali e gang rivali in una città di volta in volta diversa (il titolo ha raggiunto i sette capitoli). Nel quinto, ad esempio, ci si può muovere in una dettagliatissima Los Santos, che altro non è che Los Angeles, con tanto di Beverly Hills e Hollywood, Bel-Air e Venice Beach. Coinvolte invece nell’altrettanto famosa serie Assassin’s Creed (Ubisoft), le città italiane: nel secondo e terzo capitolo, il giocatore si sposta all’interno delle accurate ricostruzioni di Firenze e Monteriggioni (Siena), Forlì, Venezia e Roma, ritratte in epoca rinascimentale.
«I motori di visualizzazione usati nell’industria dei videogiochi sono molto avanzati», commenta l’architetto Carlo Ratti, tanto da «poter essere trasposti nella nostra disciplina,