Corriere della Sera - La Lettura
Il Guido Reni saltato fuori dal sottoscala
Maestri Il ritrovamento di un capolavoro inedito nel Palazzo Reale di Madrid e il restauro di una serie di opere dimenticate hanno reso possibile un evento che getta nuova luce sull’epoca di Caravaggio
Il progetto è partito nemmeno due anni fa ma l’impegno economico profuso e i risultati ottenuti fanno davvero onore alla Spagna. Grazie al successo di un’intuizione di Gonzalo Redín Michaus, che ha recuperato un inedito Guido Reni in un nascosto locale del Palazzo Reale di Madrid, lo Stato ha deciso di affidargli la curatela di un’intera mostra dedicata alle opere del Seicento italiano conservate nelle Collezioni reali.
La creazione nel 1819 del Museo Real, voluto da Ferdinando IV e poi denominato Museo del Prado, comprendeva cerca 200 opere italiane. Nel 1865, la regina Isabella II rinunciava a tutti i beni ereditati e li vincolava allo Stato spagnolo, dando vita a quello che oggi è il Patrimonio Nacional. Si trattava di proprietà immense, costituite non solo dalla Reggia della capitale ma anche dal Palazzo Reale di Segovia, daa mona-monasteri e conventi come San Lorenzonzo del-dell’Escorial o il Monasterio de las Descalzasescalzas Reales e di tutte le stupefacenti collezioniollezioni in esse contenute. Il criterio di selezione elezione dei lavori da esporre al Prado, in terminimini di numero e autori, è sempre rimasto a di-discrezione dei direttori dell’istituzioneone che hanno seguito il gusto e gli studidi coevi.
Se consideriamo che Filippo IV V aveva decorato il suo nuovo e ster- minato Palacio del Buen Retiro conon opere romane e napoletane; che il con-conte di Monterrey, ambasciatore a Romaoma e viceré di Napoli, aveva ordinato numerosiumerosi dipinti agli artisti più in voga nellaa prima metà del Seicento; che i rapporti diplomaiplomatici tra Roma e Madrid contemplavanoano do-do- ni di opere d’arte straordinarie, talvolta es p r e s s a me nt e c o mmi ss i o n a t e ; ch e Velázquez nei suoi due viaggi a Roma era stato sostanzialmente incaricato di fare acquisti per soddisfare i desideri artistici del suo Re e che anche Filippo V, Isabella Farnese e Carlo IV avevano continuato le acquisizioni, era logico supporre e credere che, al di fuori delle opere esposte al Prado, ci fosse ancora molto da studiare e da scoprire. Ecco perché Redín Michaus è riuscito in pochi mesi a radunare oltre 70 opere, delle quali una ventina totalmente inedite, ha ordinato il restauro della quasi totalità e le ha fatte tutte schedare da storici dell’arte internazionali. Il risultato lo ritroviamo non solo a Palazzo Reale ma anche in un importante catalogo scientifico che ripercorre la formidabile mappatura di secoli di scambi e di acquisti tra l’Italia e la Spagna.
Partendo dai sei capolavori che Niccolò Ludovisi, principe di Piombino, regalò a Filippo IV nel 1664 per ottenere favori dalla corte spagnola, si arriva a Lot e le figlie, una grande tela di Guercino già nota ma messa ora a fuoco con un sapiente restauro, e soprattutto ci si trova poi dinnanzi all’imponente Conversione di Saulo di Reni, un capolavoro dato per disperso dagli storici e fino a ora considerato incerto lavoro di Lu- ca Giordano. Il ritrovamento di questa tela, abbandonata sporca in un ambiente poco visibile, ha consentito di scrivere un importante passaggio del percorso artistico di Guido.
Realizzata a Roma attorno al 1620, ribadisce la contrapposizione del pittore al Merisi, autore del medesimo soggetto nella pala di Santa Maria del Popolo. Alla ricerca del suo ideale estetico, Guido annienta la realtà offrendoci un mastodontico cavallo simil taurino (senza scordarsi però la grazia dell’aulico manteau d’hermine tradotto dal sommo Parmigianino), per mettere l’accento sulla figura di un guerriero bellissimo, un Saulo in posa del tutto innaturale, più mitologico che estatico, più sconfitto che salvato.
Restando sempre nell’ambito delle riscoperte romane, troviamo un drammatico Cristo deposto, una delle rare opere dipinte dal giovane Le Brun durante la sua breve parentesi romana e arrivata nelle Collezioni reali grazie a un acquisto fatto da Carlo IV durante l’esilio a Marsiglia. Di rilevante interesse sono anche gli inediti Ritratti femminili, squisitamente eseguiti di profilo da Giovanni Baglione per i Gonzaga e quindi conservati nella Casita del Príncipe di Carlo IV, e il prezioso rame di Francesco Albani, ritrovato nel Monasterio delle Descalzas di Madrid.
Dalla ricca sezione napoletana, oltre ai Ribera già conosciuti ma, come nel caso di Giacobbe e le pecore di Labano, riportati agli antichi splendori, ai Luca Giordano, all’Andrea Vaccaro, a Giovanni Battista Beinaschi, ad Andrea Malinconico e ad altri ancora, si distingue una grandiosa tela dell’Escorial con precedenti attribuzioni a Stanzione e Vaccaro ma che in realtà è notevole opera del siciliano Pietro Novelli detto il Monrealese. Tra le sculture, ciascuna con affascinanti storie di committenze, passaggi di mano e cambi di residenza, meritano posto d’onore un altorilievo di Giovanni Battista Foggini in bronzo dorato su fondo di lapislazzuli, ritrovato e attribui- to dallo stesso Redín Michaus, e l’imponente bronzo con Cristo crocifisso di Bernini, voluto da Filippo IV per il Pantheon dell’Escorial. Si tratta dell’unica opera del maestro commissionata all’estero e della sola scultura in bronzo a sé stante conosciuta. Peccato abbia avuto la patina originale scorticata da un deleterio restauro ottocentesco.
Tra i capolavori più noti, che non hanno dunque più bisogno di presentazioni, troviamo esposti la Vocazione di San Pietro e Sant’Andrea di Federico Barocci, che con i suoi personaggi vaporosi e colorati anticipa il Barocco di Rubens, la Salomè con la testa del Battista di Caravaggio, resuscitata da un fenomenale restauro, e infine il maes to so , es a l t a n te , fe r mo- i mmagine d i Velázquez che, attraverso la menzogna dei figli di Giuseppe, ci racconta come a Roma, nel 1630, si poteva essere all’avanguardia facendo tesoro di Caravaggio e soprattutto dell’antico.