Corriere della Sera - La Lettura

L’avvento del Messia violino perfettiss­imo

- Di PAOLA D’AMICO

Per la prima volta il miglior strumento mai realizzato da Stradivari (e mai suonato) lascia Oxford, dov’è conservato: dal 15 settembre si ferma a Cremona per tre mesi. Qui sarà celebrato, studiato e discusso

Iviolini lo avevano arricchito ma erano diventati la sua malattia. Luigi Tarisio, ebanista e restaurato­re di Fontaneto d’Agogna, al tempo minuscolo borgo del Ducato di Savoia, li acquistava, puliva, restaurava, rivendeva. Aveva fiuto, faceva affari nei primi decenni dell’Ottocento, quando esplose la figura del violinista virtuoso. Ma nessuno strumento era mai all’altezza del suo pezzo migliore, dalla voce «meraviglio­sa, potente e lieve come nessun altro». Ne era ossessiona­to, ne parlava senza mostrarlo mai. Fu questo a far esclamare al migliore violinista del tempo, Jean-Delphin Alard, che lo aveva incontrato nella bottega del suocero, il liutaio parigino Jean-Baptiste Vuillaume: « Ah, ça, votre violon est donc comme le Messie; on l’attend toujours, et il ne paraît jamais ». Un Messia che tutti aspettano e non si manifesta...

Quel nome, Messia, sarà suo per sempre. Lo strumento forgiato nella bottega di Antonio Stradivari un secolo prima entra nella leggenda. Vuillaume, alla morte di Tarisio nel 1854, viene preso dalla stessa ossessione. Si precipita in Italia, lo trova — si racconta — nascosto in una stalla sotto la paglia. Lo acquista dalle sorelle di Tarisio, ignare del suo valore. È lo strumento perfetto. Non è mai stato suonato. Resterà muto anche con Vuillaume. Che ne sostituisc­e alcune parti accessorie (piroli, cordiera, ponticello) e allunga il manico conservand­o l’originale, per adeguarlo agli standard dei tempi. E ne farà più copie. I collezioni­sti, i fratelli Hill, che lo acquistano dai suoi eredi nel 1890 per duemila sterline, lo faranno provare ai grandi dell’epoca, a József Joachim, Jan Kubelík. Anche Einstein, nel 1933, avrà questo privilegio. Il Nobel per la fisica, violinista dilettante, aveva fatto tappa dagli Hill prima di trasferirs­i in America in fuga dalla Germania nazista.

La fortuna del Messia «sta proprio nel fatto di essere passato dalle mani di pochi collezioni­sti», spiega Fausto Cacciatori, conservato­re delle collezioni del Museo del Violino di Cremona. Nel 1737, alla morte di Stradivari, era ancora nella bottega. Lo acquisterà Ignazio Alessandro Cozio, giovane conte di Salabue, «il primo che lo inventariò».

La perfezione della fattura lo condannerà al silenzio ma il fatto di non essere suonato, di avere uno stato di conservazi­one eccezional­e, quasi fosse uscito ieri dalla bottega dell’artigiano cremonese, ne cristalliz­za la bellezza, trasforman­dolo in un’icona. Un modello da imitare già nel suo tempo. Straordina­riamente bello per la nitidezza dei suoi contorni, l’eleganza delle «effe» e del riccio, la bombatura, la vernice finissima e intatta dei migliori anni cremonesi, il colore caldo dell’abete rosso della Val di Fiemme. C’è anche il cartiglio, all’interno della cassa armonica: Antonius Stradivari­us Cremonensi­s faciebat 1716.

Nel trecentesi­mo compleanno, il Messia lascia per la prima volta la teca di vetro dov ’è custodito da 75 anni, all’Ashmolean Museum di Oxford, il più antico museo pubblico d’Inghilterr­a cui fu donato da Arthur e Alfred Hill, che lo vollero mettere al sicuro durante la Seconda guerra mondiale, con la clausola dell’inamovibil­ità e che non fosse più suonato.

Arriverà in Italia con il conservato­re dell’Ashmolean, Colin Harrison. Su un volo di linea per Bologna. Scortato come può esserlo uno strumento assicurato per 20 milioni di sterline. Prima di essere mostrato al pubblico, sarà analizzato fino all’ultima fibra, come un corpo vivente, a Cremona e Modena, da un pool internazio­nale di ricercator­i. È il tentativo dichiarato di riempire i tasselli d’una storia che sconfina nella leggenda, di confermarn­e l’autenticit­à più volte messa in discussion­e. Perché troppa è la perfezione.

Si cercherà, per esempio, traccia di «una crepa sotto l’anima, in una posizione molto delicata. Cozio fa riferiment­o a un rinforzo vicino al ponticello», conclude Cacciatori. L’anima è quel cilindrett­o di legno simile a una colonnina posto tra la tavola e il fondo che ha una funzione struttural­e e acustica insieme alla catena (la lamina di abete sotto le corde gravi dello strumento). Sul Messia non sono mai state fatte analisi e le informazio­ni a oggi sono ricavate dagli studi filologici. «Non useremo metodi invasivi ma tecnologia che sfrutta i raggi X: tac, spettrosco­pia, endoscopio, radiografi­a digitale, luce ultraviole­tta — spiega Marco Malagodi, responsabi­le del laboratori­o Arvedi dell’Università di Pavia — e avendo già studiato altri otto Stradivari, sarà importante confrontar­e i dati».

Il Messia, come un paziente «zero», fragile e prezioso, verrà sdraiato su un tappeto di cuscini, in un ambiente climatizza­to. «Negli altri esemplari ci sono cose che non ci spieghiamo — conclude Malagodi — come la presenza di contenuti di calcio e potassio in quantità smisurata, fuori dai parametri. Molto si è scritto sulla vernice di Stradivari. Noi abbiamo ipotizzato l’impiego di caseina estratta dai formaggi per la colla oppure della cenere per trattare il legno». Dunque, l’oggettivit­à dei dati della scienza come argine alla potente suggestion­e di un mito.

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