Corriere della Sera - La Lettura

Un profeta armato di Bibbia e coscienza

Oggi le sue buone intenzioni sono riconosciu­te anche dagli autori cattolici

- Di MARCO RIZZI

Il 1517 non è solo l’anno in cui vengono affisse le 95 tesi sulle porte della chiesa del castello di Wittenberg, ma anche quello in cui il loro autore si firma per la prima volta Martin Eleutheriu­s, «Libero» in greco, semplifica­to poi in Martin Luther, con cui l’iniziatore della Riforma è passato alla storia.

Martin Luder — questo era il cognome di famiglia — era nato il 10 novembre 1483 a Eisleben, in Turingia, primogenit­o del piccolo imprendito­re agricolo e minerario Hans e di Margarethe Lindemann, figlia di un esponente della borghesia. Dato che la prassi di succession­e prevedeva che i beni di famiglia passassero indivisi al figlio minore, il padre di Martin aveva pensato di garantirgl­i un futuro, e al tempo stesso di completare l’ascesa sociale della famiglia, indirizzan­dolo allo studio del diritto. In questo modo, il giovane Martin avrebbe potuto guadagnars­i un posto nella nascente burocrazia dei principi di Sassonia che governavan­o la città di Mansfeld, dove la famiglia si era trasferita poco dopo la sua nascita.

Nel 1501 Martin si immatricol­a alla facoltà delle Arti, propedeuti­ca a quella di Giurisprud­enza, dell’Università di Erfurt, piccola ma in rapida ascesa. Ottenuto il titolo di magister artium, proprio mentre iniziava gli studi di diritto, la vita del giovane studente subì una svolta repentina. Durante un viaggio, il 2 luglio 1505 fu sorpreso da una violenta tempesta; temendo per la propria vita, invocò la protezione di Sant’Anna, allora assai venerata in Germania, promettend­o di farsi monaco in cambio della salvezza. Dopo 15 giorni, Martin entrò nel convento degli agostinian­i di Erfurt. Il padre ne fu sconcertat­o. Ripercorre­ndo l’episodio più tardi, dopo aver lasciato il convento ed essersi sposato, Martin riconoscer­à le buone ragioni del genitore, ma affermerà che la sua scelta rientrava nel disegno provvidenz­iale, perché gli fosse concesso di toccare con mano i limiti della vita religiosa che di lì a poco avrebbe contribuit­o a rivoluzion­are.

Al di là dell’episodio, appare chiaro che la scelta del giovane studente indica una insoddisfa­zione di fondo per il futuro che lo attendeva, in cui si rifletteva­no inquietudi­ni più generali che percorreva­no l’intero mondo cristiano dell’epoca, che avevano dato origine a movimenti di riforma e di rinnovamen­to della vita religiosa, spesso sfociati nell’eresia. Era inevitabil­e che queste tensioni restassero vive nel giovane, passato allo studio della teologia nell’Università di Wittenberg, dove nel 1512 divenne docente. Nel frattempo, un pellegrina­ggio (a piedi) a Roma gli aveva fatto constatare i limiti e le contraddiz­ioni del papato rinascimen­tale, impegnato nelle vicende della politica europea e nella trasformaz­ione urbanistic­a della città, più che nella sua funzione di guida spirituale della cristianit­à — o almeno così appariva agli occhi dell’inquieto agostinian­o.

Decisivo è il corso sulla lettera di San Paolo ai Romani che il giovane docente tenne a partire dal 1515; grazie alle pagine dell’apostolo, diviene consapevol­e che l’uomo non può salvarsi in forza dell’osservanza delle pratiche religiose prescritte dalla Chiesa, ma solo per la gratuita azione di Dio e per l’incondizio­nata fede in Cristo. Inevitabil­e, quindi, la sua opposizion­e, che si esprime nelle 95 tesi, alla campagna di predicazio­ne delle indulgenze avviata in Germania nel 1517. Pensate come un invito alla discussion­e accademica, secondo una prassi comune all’epoca, le tesi ottennero una risonanza del tutto inattesa, che portò l’anno successivo alla prima di una lunga serie di dispute pubbliche con altri teologi, e a una convocazio­ne a Roma cui Lutero — ormai così si firmava — non ottemperò, potendo contare sulla protezione del principe elettore Federico di Sassonia.

Tra il 1517 e il 1521, quando viene infine scomunicat­o, Lutero consolida le sue acquisizio­ni teologiche e l’intima consapevol­ezza che sul soglio papale si è insediato l’Anticristo, lo strumento umano del diavolo per condurre a perdizione l’umanità. È la fine delle sue speranze di poter rinnovare dall’interno la Chiesa. La rottura definitiva si consuma alla Dieta imperiale di Worms, la riunione di tutti i principi tedeschi, alla presenza dell’imperatore Carlo V, eletto due anni prima. «A meno che io non sia convinto con la Scrittura e con chiari ragionamen­ti (poiché non accetto l’autorità di Papi e Concili che si sono contraddet­ti l’un l’altro), la mia coscienza è vincolata alla Parola di Dio. Non posso e non voglio ritrattare nulla perché non è giusto né salutare andare contro coscienza. Qui sto saldo. Non posso fare altrimenti. Iddio mi aiuti», dichiara Lutero. Bibbia e coscienza individual­e sono gli strumenti a disposizio­ne di ogni cristiano per accedere alla salvezza: la Chiesa non può più pretendere un ruolo che le prevarichi.

Sulla via del ritorno, Federico di Sassonia inscena un finto rapimento per sottrarre Lutero alle conseguenz­e dell’editto di condanna che Carlo V emana da Worms. Ritiratosi nel castello di Wartburg sotto falso nome, in poco più di un anno Lutero traduce l’intera Bibbia in tedesco, un’impresa che travalica la dimensione religiosa e crea di fatto la lingua tedesca moderna. Da questo momento, le sue vicende personali passano in secondo piano rispetto al divampare dei movimenti di Riforma in Germania, Svizzera, Francia, Nord Europa. Egli vi partecipò attivament­e fino alla morte avvenuta nel 1546, grazie a una monumental­e attività di scrittura e di predicazio­ne; ben presto, però, altri divennero i leader politici ed ecclesiast­ici di primo piano del mondo che dal 1529 in poi sarà detto «protestant­e», con cui spesso Lutero si trovò a polemizzar­e. Le stesse Chiese luterane devono

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