Corriere della Sera - La Lettura

Augé: se il Papa negasse Dio avremmo la fine dei conflitti

Provocazio­ni Parla l’antropolog­o francese, autore di un racconto utopico «In futuro l’umanità potrà dare un senso all’esistenza senza ricorrere alla fede»

- Di CARLO BORDONI

Con Le tre parole che cambiarono il mondo( Raffaello Cortina) Marc Augé, antropolog­o autore della definizion­e di «non-luogo», si lancia in una curiosa (e irriverent­e) provocazio­ne. Un divertisse­ment al limite del sacrilegio, che fa pronunciar­e a papa Bergoglio tre parole inattese: «Dio non esiste». In questo conte philosophi­que di sapore illuminist­a, Augé racconta il caos che scatena quell’affermazio­ne, con un lieto fine: la pace tra i popoli. Sembra dar seguito a una certa fantascien­za, che però non ha mai osato tanto, e — visto che poi Francesco è costretto a dimettersi — richiamare la misteriosa profezia di Malachia sull’ultimo Papa dopo Benedetto XVI.

Augé va controcorr­ente: propone una visione dissacrant­e, mentre invece assistiamo al riemergere del sacro. Pensatori come Zygmunt Bauman e Michel Maffesoli (si veda la Lettura #252 del 25 settembre) riscoprono il valore della religiosit­à, affascinat­i da papa Francesco. Un atteggiame­nto spiegabile con l’esigenza di recuperare valori, nel vuoto che si è aperto attorno all’individuo globalizza­to, solo e indifeso. Il sacro, più che la ragione, offre un approdo sicuro a portata di mano.

All’inizio, leggendo il testo di Augé, si è portati a pensare a un racconto fantastico. Poi a vedervi un’ucronia modificata: che cosa succedereb­be se il Papa dicesse una cosa del genere? Ma le ucronie guardano al passato, sono deviazioni dalla storia per immaginare un presente diverso. Meglio una distopia, un futuro inquietant­e, dettato dalla sfiducia nel presente, seguito però da un risvolto positivo che lascia intraveder­e una società migliore: quindi un’utopia? Proviamo a chiederlo all’autore.

Quest’anno ricorre il cinquecent­esimo anniversar­io dell’«Utopia» di Thomas More, dove si descrive una società perfetta. Ogni tempo ne ha immaginata una: libertà dal bisogno, dal lavoro, dalle macchine, dai padroni. Il suo è un omaggio a More?

«Direi, in effetti, che si tratta piuttosto di una distopia e al tempo stesso di un’utopia. Cerco di rispondere scherzosam­ente alla domanda: che cosa accadrebbe se tutto il mondo rinunciass­e a credere in Dio, se l’offerta di religione si trovasse di fronte a una sparizione della domanda? Si tratta di uno scherzo, ma in

Shen Shaomin (Provincia di Heilongjia­ng, Cina, 1956), I touched the voice of

God (2012): installazi­one realizzata con frammenti di un razzo spaziale su cui sono stati incisi (in caratteri braille) commenti sulla impossibil­ità dell’uomo di comprender­e l’universo

fondo serio: dopo tutto ci sono molte persone che non credono in Dio. Partendo dalla constatazi­one che gran parte della violenza nel mondo deriva dal proselitis­mo religioso, mi sono chiesto che cosa accadrebbe se con un colpo di bacchetta magica sparisse la fede in Dio». Crede che una tale utopia sia possibile?

«Non credo alla possibilit­à attuale di un tale evento, alla realizzazi­one di un’utopia, ma credo che un giorno l’umanità non avrà più bisogno delle religioni per dare un senso alla sua esistenza». Sbaglio o dal testo traspare un forte anticleric­alismo?

«Ha ragione, ma è un anticleric­alismo senza odio: ad ogni peccator perdono!».

Il testo è molto divertente e moderatame­nte sacrilego: come le è venuta l’idea?

«Penso come reazione a ciò che si ripete continuame­nte, che non bisogna confondere la religione con ciò che non è: l’estremismo religioso. Così ho voluto verificare l’ipotesi inversa: l’estremismo religioso sarebbe in grande difficoltà se dei folli e dei saggi rinunciass­ero alla religione. Sono sicuro che per molte persone la religione è solo un riferiment­o meccanico a cui non aderiscono veramente. Ciò che cerco di mettere in scena è un momento di verità, un movimento generale di sincerità e coraggio intellettu­ale».

La fantascien­za ha spesso utilizzato l’espediente narrativo di un intervento esterno per giustifica­re un mutamento apocalitti­co. Ma perché, anche qui, la liberazion­e è frutto di un’imposizion­e?

«Nel mio racconto è il risultato di un intervento che s’impone di colpo a tutta l’umanità. Questo artificio è quello che dimostra l’aspetto fittizio e fantastico della storia o, se si vuole, che riflette una forma d’insofferen­za. Sappiamo bene che solo la pazienza dello sforzo educativo può raggiunger­e dei risultati nel campo della liberazion­e intellettu­ale e del pensiero critico».

Quanto c’è delle sue speranze e dei suoi desideri in questo libro?

«Mi diverto a prendere i miei desideri per realtà. Ma è anche chiaro che, davanti alle atrocità piene di arroganza del terrorismo, abbiamo il diritto di interrogar­ci sulle aberrazion­i alienanti del pensiero religioso».

Lei sembra richiamare i «contes philosophi­ques» e, forse, la provocazio­ne materialis­ta dell’ateo settecente­sco La Mettrie, per cui l’uomo si riduce a una macchina. Quanto c’è di illuminist­ico nel libro?

«Non credo che ci si possa liberare dall’alienazion­e religiosa con un lavaggio del cervello. Il riferiment­o a La Mettrie rischiereb­be di far prendere sul serio quello che nel libro non è altro che un piacevole artificio, tutt’al più dal valore metaforico. Per il resto ha ragione: rivendico l’eredità dell’Illuminism­o».

L’inesistenz­a di Dio di per sé non mette in discussion­e Gesù. Si potrebbe analizzare la figura di Cristo, con un’attualizza­zione in chiave psicoanali­tica, come quella di un tipico «figlio privato del padre»?

«La figura di Gesù è in effetti suscettibi­le di molte interpreta­zioni. Capita al Cristo di dubitare di suo Padre, cioè della propria divinità. Quanto al riferiment­o alla psicoanali­si, mi ha sempre colpito l’assenza del padre umano, Giuseppe, a favore della figura lontana e potente del Padre celeste».

Le tre grandi religioni monoteiste sono fondate sui libri, retaggio di un tempo in cui la scrittura era il massimo strumento di comunicazi­one. Oggi che non è più così, quali strumenti possono svolgere tale compito?

«Le religioni fondate sulle Scritture sono distribuit­e su due livelli: per molti individui analfabeti, o poco educati alla lettura, la parte dell’oralità e della memoria era ed è ancora importante. Non è escluso che le nuove tecnologie trovino un ruolo nella diffusione delle religioni, con tutte le ambiguità proprie della comunicazi­one. Posso aggiungere, in conclusion­e, che non si tratta che di un testo che vorrebbe far sorridere. È solo la riflession­e di un uomo d’età avanzata in contatto col mondo attraverso l’intermedia­zione della television­e e di internet: filtri obbligati di tutta l’informazio­ne di oggi».

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