Corriere della Sera - La Lettura
Lotta di classe nel Medioevo
Fra’ Vicente Ferrer aizzava la Spagna cristiana contro gli ebrei Con parole e metodi non molto diversi dai populismi di oggi
Ildefonso Falcones pubblica il seguito de «La cattedrale del mare». Ma quello che oggi gli sta a cuore è soprattutto una riflessione sulla democrazia e sul suo futuro in Europa e in America
Barcellona, 1409 …il frate giungeva a Barcellona insieme a papa Benedetto XIII e accompagnato da centinaia di discepoli di ogni lingua e provenienza, molti dei quali erano una turba di poveri straccioni che lo seguivano ovunque andasse per assistere ai miracoli e ascoltare le spaventose prediche apocalittiche di un frate ormai avvezzo a entrare in ogni città circondato da un esercito di flagellanti che si laceravano la schiena a frustate. In onore di fra’ Vicente i consiglieri di Barcellona decretarono una donazione di trecento fiorini d’oro per rivestire e nutrire tutti quei diseredati, i quali trovarono rifugio sui pagliericci della grande navata dell’ospedale e della vasta corte dove si stava costruendo il magnifico chiostro destinato a circondarla. («Gli eredi della terra»)
Fra’ Vicente Ferrer, asceso alla santità pochi anni dopo, aveva saputo utilizzare alcuni degli espedienti che secondo i politologi definiscono il populismo, movimento che, con sorpresa e indignazione di tanti, ha attraversato l’oceano per contaminare la vecchia Europa con manifestazioni tradizionalmente ritenute tipiche di società meno colte, meno
progredite, i cui cittadini, proprio per questo più esposti a manipolazioni, cadono preda di messaggi semplicistici, superficiali e pericolosi. È bene ricordare che oggi tale movimento ha varcato anche la frontiera messicana, quello stesso confine sul quale si vorrebbe costruire una muraglia come se si trattasse della Cina imperiale, per impedire ai messicani di assediare la politica statunitense.
Mettere a nudo le idee o i principi alla base del populismo è un’impresa difficile. La sua terrificante e trionfante incursione nei parlamenti e in altri organi di governo delle nazioni è oggetto di una vastissima gamma di studi, il centro di infiniti e dotti salotti e il nutrimento di editoriali di ogni tipo. La presenza di criteri diversi, talvolta opposti, nelle opinioni di molti intellettuali è palese. Ma è pur vero che la ricerca di caratteristiche comuni in movimenti che possono essere definiti di volta in volta di estrema destra come di estrema sinistra, secessionisti o centralisti, xenofobi, religiosi o laici, porta gli studiosi a dichiarare (fondatamente) che il populismo è privo di un’ideologia: è soltanto uno strumento per arrivare a certi risultati.
Tale strumento politico si manifesta fondamentalmente attraverso l’istigazione alla lotta di classe tra umili, davanti ai quali i leader populisti si presentano al pari di moderni messia. I populisti creano tensione nella società, fomentano il rancore e l’invidia e snaturano il linguaggio per arrivare a uno scontro sociale in cui si muovono con disinvoltura. Uno scontro nel quale, è bene ricordarlo, trascinano una folla che li premia sull’onda del disincanto e delle ripetute delusioni propinate da una politica indifferente ai problemi delle classi deboli e silenziose.
Fra’ Vicente Ferrer era accompagnato da un esercito di sventurati che si flagellavano e dichiaravano di aver assistito ai miracoli attribuiti al domenicano: l’apparizione di un angelo su una delle porte di Barcellona, l’aver fermato una piena del fiume Ebro che minacciava un ponte a Tortosa… Gli odierni messia del popolo sono celebrati e acclamati da folle di persone che subiscono impotenti la piaga della disoccupazione, hanno visto ri-
dursi le loro pensioni o volatilizzarsi i risparmi di una vita, mentre i soldi delle loro tasse venivano impiegati per insabbiare scandali finanziari a beneficio di banche e banchieri, in uno spregiudicato e inverecondo rovesciamento dei principi del capitalismo.
La casta. Ecco l’obiettivo dei populisti. Gli appartenenti alla casta sono ricchi, pertinaci, traditori, ambiziosi ed egoisti. Sono gli stessi epiteti che il frate domenicano aveva riservato agli ebrei durante i suoi discorsi apocalittici mediante i quali perseguiva la discriminazione e la conversione di un popolo che fino a quel momento, vigente la dottrina di Sant’Agostino, aveva convissuto con i cristiani.
Si dice di San Vicente Ferrer che un giorno riuscì a entrare in una sinagoga durante una festa religiosa brandendo una croce per predicare agli ebrei. Davanti alla reticenza dei congregati, Dio sarebbe accorso in suo ausilio e un fuoco sacro avrebbe bruciato le vesti degli eretici lasciandovi una croce bianca. Si convertirono tutti. Le meraviglie del frate sono equiparabili alle promesse dei messia populisti, perché con esse condividono una caratteristica: nessuno le ha mai viste ma tutti ci credono. E qualora tali promesse non vengano mantenute, se ad esempio i governi delle nazioni non sospendono il pagamento del debito estero come tra fervidi applausi avevano promesso di fare i nuovi leader in campagna elettorale, il mancato impegno non sarà addebitabile al carattere utopico della promessa fatta, bensì alla malvagità della casta. Il risultato? Ancora più rancore e inimicizia tra i cittadini.
Proprio questo fra’ Vicente Ferrer era riuscito a ottenere, servendosi di tattiche del tutto simili a quelle utilizzate oggi: la nascita di un odio viscerale e incontenibile da parte dei cristiani verso gli ebrei. Nel 1391 — sulla scia dei pogrom che avevano devastato la geografia spagnola — il popolo infervorato rase al suolo il quartiere ebraico di Barcellona. Oltre cinquecento abitanti, per la maggioranza donne che si erano distinte nella difesa a oltranza della propria fede, vennero massacrate visto il loro rifiuto di convertirsi al cristianesimo. Il re aveva poi cercato di ricostruire il quartiere ebraico offrendo vantaggi ai pochi ebrei sfuggiti alla morte o alla conversione, ma proprio questi ultimi si opposero. A partire da quel momento, per mano di fra Vicente Ferrer, fu un susseguirsi di leggi tese a violare i diritti degli ebrei, arrivando a estremi come il divieto ai cristiani di parlare o commerciare con loro, oltre a una selva di altre proibizioni. La separazione dai cristiani divenne fisica, commerciale e spirituale. Gli uomini non potevano tagliarsi i capelli o la barba e le donne non potevano indossare capi di pregio. Più tardi sarebbe arrivata la Disputa di Tortosa che avrebbe convertito migliaia di ebrei mentre si inasprivano le leggi che avrebbero portato alla demolizione delle sinagoghe.
All’inizio della seconda metà del XIV secolo ebbe inizio il calvario di una comunità perseguitata con accanimento e cr u d e l t à d a pa r te de l d o meni ca n o ; un’agonia il cui culmine sarebbe arrivato un secolo più tardi con l’espulsione degli ebrei dalla Spagna.
Era il Medioevo... Possiamo guardare indietro con una certa tranquillità: parliamo di qualcosa successo oltre seicento anni fa. Da allora i popoli civilizzati si sono dotati di istituzioni e soprattutto di sistemi politici garanti dei diritti dei cittadini. La democrazia. È forse questa la grande differenza sociale tra l’epoca in cui imperversava il domenicano antisemita e quella in cui viviamo oggi. Tuttavia, chi nel Medioevo osava mettere in dubbio i miracoli di fra’ Vicente Ferrer? Non è questa la sede per parlare della Scolastica quale dottrina imperante dell’epoca, o della semplice credulità della gente. Il problema per noi oggi si pone quando uno di questi populisti arriva al potere e le illusioni che ha creato nelle persone che l’hanno votato si sbriciolano di fronte alla realtà, le promesse da favola si arenano nella mancanza di risorse finanziarie. È questo il caso ad esempio della sindaca di Barcellona, ora costretta se non a difendere quanto meno ad accettare l’intervento della polizia sotto la propria autorità, dopo aver conquistato l’amministrazione municipale vendendo la propria immagine di combattente pronta a sfidare le forze dell’ordine. Gli sfratti degli umili che aveva cercato di sospendere, a volte mascherata in modo grottesco, non si sono fermati; questa è la triste realtà dei fatti.
Nessuno di questi messia dei giorni nostri ammetterà mai il proprio errore, né l’aver fatto ricorso a giochi poco puliti per conquistare il potere. Certo non dobbiamo peccare di ingenuità: nemmeno gli altri politici lo fanno, protetti da una struttura inamovibile che padroneggiano alla perfezione e che consente loro di rimanere in sella anche contro la volontà dei cittadini che finiscono per accettarli come un male minore.
I populisti non hanno alle spalle questa massa rassegnata. Sono quindi il raggiro, il controllo dei mezzi di informazione, la censura, la prontezza nell’addossare ogni responsabilità a terzi (istit uz i o n i , ba n c h e , po l i t i c h e …) e la distrazione…, a fare parte nel repertorio delle risorse di cui servirsi per nascondere i più che prevedibili fallimenti che li attendono.
Non siamo quindi così lontani dall’esacerbato populismo religioso di fra’ Vicente. La sola strategia su cui possono contare questi movimenti per restare al potere una volta conquistato, e una volta infrante le promesse fatte, consiste nell’abbattere lo stato di diritto e il sistema democratico, individuando nello statalismo il modello più idoneo a rappresentare quella maggioranza sociale che asseriscono di guidare. Sono diversi i Paesi caduti in tale trappola: uno su tutti il Venezuela, dove la democrazia è stata trasformata in una farsa e i cittadini vivono impantanati nel rancore e nella violenza sul cui fuoco è lo stesso governo a soffiare.
Le nostre democrazie sono minacciate da movimenti come il populismo. E commetteremmo un errore nel ritenerci tanto diversi dai cittadini di quei Paesi le cui libertà sono state amputate sull’altare di un sempre sbandierato bene comune, per essere impugnato dai messia dei giorni nostri come faceva fra’ Vicente Ferrer contro gli ebrei.