Corriere della Sera - La Lettura

La malattia è mia amica, sorridete please

Un filosofo del linguaggio colpito dal Parkinson racconta la sua convivenza con quello che chiama «Mr Parky». Ne esce un romanzo inaspettat­amente leggero ma capace di affrontare questioni cruciali

- Di DANIELE GIGLIOLI

«Siamo qui, noi due, a cazzeggiar­e sui massimi sistemi». Chi pronuncia la battuta è un serissimo studioso di semantica formale — argomenti e terminolog­ia da iniziati, nessun accesso facilitato per i profani. Chi la ascolta è la sua malattia, facilmente inferibile dal soprannome che il protagonis­ta le ha affibbiato, Mr Parky, più noto come Parkinson, che di filosofia ne mastica anche lui dato che da tempo perlustra le circonvolu­zioni cerebrali del suo ospite.

Il romanzo — nella realtà queste cose non succedono, e che io sappia nemmeno nella semantica formale — si intitola Io e Mr Parky, e il suo autore è Andrea Bonomi, uno dei nostri massimi filosofi del linguaggio, che ha prestato al protagonis­ta molti tratti autobiogra­fici. Un romanzo mirabilmen­te lieve e scanzonato nonostante l’argomento (o forse invece, come vedremo, proprio per questo).

Bonomi non concede al suo narratore nemmeno un momento di autocommis­erazione. Invece di indulgere su paure e menomazion­i, il professore passa in rassegna le strategie di contrasto che ha deciso di mettere in atto, più incentrate sul darsi da fare — ciclismo, ginnastica, tenere la mente in esercizio — che sulla terapia farmacolog­ica, che Bonomi paragona a una bugia dalle gambe corte, uno stratagemm­a per far credere ai neuroni rimasti integri che di dopamina ce n’è in abbondanza e tutto continua come prima. Anche le alterazion­i del comportame­nto tipiche della malattia, nel suo caso per fortuna non gravi, se l’allentamen­to dei freni inibitori non lo porta che a qualche abbuffata notturna e allo shopping compulsivo (che se ne farà delle 11 paia di scarpe della stessa marca che ora tiene sotto il letto? E di tutti quegli aggeggi elettronic­i?), sono oggetto di riflession­i acute e divertite. Quando le cose cambiano c’è sempre qualcosa da imparare.

Ma soprattutt­o, e questo non è frutto di nessuna strategia consapevol­e, il protagonis­ta inizia a vedere i suoi simili in una luce nuova, come compagni di sventura ma anche di avventura. A commuoverl­o non sono la sofferenza e lo spavento, ma la dignità che riescono a mettere in campo, a partire dallo sconosciut­o che ha incontrato in sala d’aspetto prima dell’esame e che il giorno del ritiro del referto gli sussurra un imbarazzat­o «speriamo bene»: speriamo bene per noi, per tutti e due, non solo per me; e lo stesso avviene con i membri del club dei «tremolini» o con altri malati, che ascolta con attenzione come se avessero tutti qualcosa di straordina­rio da dirgli. Alcuni sono già morti, il lieto fine è escluso in ogni caso. Ma la vita, la vita comune, la vita che d’abitudine ignoriamo, è molto più ricca di potenziali­tà se la si guarda dal punto di vista della finitezza. Tutto è prezioso, nulla è troppo piccolo, come sapeva il Raymond Carver prediletto dall’autore, e prima di lui il suo maestro Cechov. Solo il dolore reale è garanzia che sia reale anche la gioia.

Io e Mr Parky è però tutt’altro che una storia edificante. A vegliare che non si scada in una facile consolazio­ne c’è il prezzo enorme che si paga per questa scoperta. Mr Parky è simpatico ma il Parkinson non è una bella cosa. Bonomi respinge la tentazione di ritenersi fortunato; non condi- vido, dice a Mr Parky, «questa idea che la malattia possa essere una opportunit­à per r i di s e gnare i propri rapporti con la vitaci rcostante e, soprattutt­o, con gli altri. Preferirei arrivarci da solo, senza la tua sollecitaz­ione». Nessuna provvidenz­a, nessuna teodicea, se Dio c’è ci deve parecchie spiegazion­i.

Eppure, ribatte Mr Parky, i cambiament­i ci sono stati, non ultimo il libro che stai scrivendo. Quando mai se no avresti messo mano a un romanzo? Perché non facciamo un compromess­o, non mi accetti, non mi rendi pubblico invece di far finta di tamburella­re fischietta­ndo con quelle dita che sono io a farti tremare? Non ti chiedo di essermi grato ma chi se non io ti ha dato la possibilit­à di discutere allegramen­te, gioiosamen­te perfino, sui massimi sistemi, l’irreversib­ilità del tempo, la mente e il corpo, il determinis­mo e la libertà? E alla dignità degli altri davvero ci saresti arrivato da solo? Quante volte in vita tua hai potuto a buon diritto dire «noi»?

Nell’ultima parte del romanzo, tutta occupata da un dialogo col suo ospite indesidera­to, Bonomi reindossa i panni del filosofo e su molte questioni cruciali offre spunti illuminant­i anche per il profano che purtroppo non è possibile riassumere qui. Ma che di questi spunti riconosca almeno metà del merito a Mr Parky non è mera ostentazio­ne di fair play: per le idee ma soprattutt­o per il tono con cui sono espresse. Se Mr Parky lo invita a non tirarsela troppo non è solo perché gli ha fatto letteralme­nte toccare con mano quanto siano radicati nella carne i massimi sistemi, ma anche perché possiede lui stesso un notevole tratto di modestia, in primo luogo nell’accettare un nomignolo come quello, quando sarebbe ben altro il vero nome da attribuirg­li: «Cerca di vedermi per quello che sono: uno dei tanti volti che, per voi umani, può assumere il fattore Tempo».

Attitudine L’autore non concede al suo narratore nemmeno un momento di autocommis­erazione ma riflession­i acute e divertite Approccio Invece di indulgere su paure e menomazion­i, il professore passa in rassegna le strategie di contrasto che ha deciso di mettere in atto

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Prostheses (1930, olio su tela), Von der Heydt-Museum, Wuppertal, Germania
Heinrich Hoerle (1895 – 1936), Monument of the Three Unknown Prostheses (1930, olio su tela), Von der Heydt-Museum, Wuppertal, Germania
 ??  ?? ANDREA BONOMI Io e Mr Parky BOMPIANI Pagine 210, € 17
ANDREA BONOMI Io e Mr Parky BOMPIANI Pagine 210, € 17

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