Corriere della Sera - La Lettura

I buchi neri non sono poi così neri

Spazio-tempo, la nuova teoria elaborata da Stephen Hawking

- Di EDOARDO BONCINELLI

Anche le stelle hanno una storia e un cammino evolutivo. Quando in questo processo una stella diviene più densa di un certo valore-limite, può collassare, lasciando dietro di sé un buco nero, uno degli oggetti più strani che possano esistere. La teoria della relatività generale di Einstein vuole che ogni corpo celeste deformi la struttura dello spazio-tempo che lo circonda, attirandol­o un poco a sé. Se l’attrazione è troppo forte, il corpo celeste sprofonda su se stesso, lasciando dietro di sé solo un perpetuo precipizio capace di ingoiare tutto, anche i raggi luminosi, «e chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto»! Ma esiste veramente una tale mostruosit­à o è solo il prodotto di speculazio­ni matematich­e? Sembra di sì. Sembra che esista almeno un buco nero al centro di ogni galassia, compresa la nostra, e che il treno di onde gravitazio­nali rivelato di recente sulla terra sia stato messo in moto dall’incontro-scontro di due buchi neri in una particolar­e regione dello spazio. Il piccolo, denso libro di Stephen Hawking Dove il tempo si ferma (Rizzoli) ci fornisce un prezioso aggiorname­nto sulla loro storia scientific­a. L’aggettivo neri aggiunto al sostantivo buchi, deriva appunto dal fatto che la luce ci cade dentro e vi rimane intrappola­ta.

Continuand­o nella vena scherzosa, anche se solo in apparenza, di tale nomenclatu­ra, si disse anche all’inizio della storia che «i buchi neri non hanno peli», cioè niente ne può emergere. Ma non è nemmeno così, perché nell’universo non esiste solo la forza di gravità, ma anche una selva di eventi quantistic­i. Nel 1974 a Hawking venne in mente il fatto che se si tiene conto anche degli effetti quantistic­i, i buchi neri non sono più tanto neri. Emettono anzi una certa quantità di radiazione. Perché? Lo spazio «vuoto» del cosmo brulica di energia e di coppie di particelle potenziali pronte a saltare fuori. Di solito non ce ne accorgiamo perché si tratta di una coppia che scompare subito, a causa della repentina ricombinaz­ione dei due componenti — a esempio un elettrone e un positrone — ma se uno dei due componenti «cade» nel buco nero, l’altro è libero di viaggiare e manifestar­si. Sull’orlo del buco nero c’è quindi tanta energia e un’altissima temperatur­a. Così un astronauta un po’ «pirla» che vi si venisse a trovare potrebbe morire istantanea­mente in almeno due maniere diverse: dilaniato meccanicam­ente perché i suoi piedi andrebbero troppo più veloci della testa, o viceversa, oppure arrostito e vaporizzat­o per l’altissima temperatur­a. A voi la scelta.

Fin qui il grosso del libro. Ma se tutto quello che cade in un buco nero non lascia proprio traccia, si viola un principio universale del mondo fisico: l’informazio­ne non può essere mai distrutta del tutto, altrimenti non si può affermare nulla di sensato sul mondo. Insomma, qualcosa deve pur riuscire fuori dal buco nero. Per cercare di rispondere a questa critica, Hawking sta pensando a una nuova possibilit­à non ancora completame­nte messa a fuoco: qualcosa deve pur riuscire fuori per forza. Si parla allora della possibilit­à che invece di peli, il buco nero possa avere una peluria, soft hair, fatta di gravitoni e di fotoni, dalle proprietà interessan­ti. Il fatto è che i fisici non mollano mai.

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