Corriere della Sera - La Lettura

Buddhismo e paraffina, l’arte povera di Suga

- Di ANNACHIARA SACCHI

Materiali Corda, cera, legno intrecciat­i nello spazio senza stravolger­li. L’autore: «Quando creo, io mi annullo»

Legno e cemento; il pensiero zen e uno studio-officina dove lavorare i materiali, i tondini di acciaio e la corda, le pietre e la paraffina; il Giappone e l’Italia che, ancora una volta, dialogano e si confrontan­o, come non hanno mai smesso di fare dal 1866, anno del Trattato di Amicizia e Commercio tra i due Paesi. Dopo il «Mondo fluttuante» di Hokusai, Hiroshige e Utamaro, Milano celebra un altro Sol Levante. Quello contempora­neo di Kishio Suga (Morioka, 1944), maestro del Monoha, la «scuola delle cose», corrente per vari aspetti avvicinabi­le alla nostra Arte Povera. E lo fa con Situations, 23 installazi­oni realizzate dall’artista a partire dal 1969. In una retrospett­iva — la prima in assoluto che l’ Europa gli dedica—all’ Hangar Bicocca.

Un paesaggio formato da elementi naturali e industrial­i, sviluppato sia in verticale, come nella prima opera che il visitatore incontra, Critical Sections ( Setsu no rinkai, 1984-2016: dal soffitto una lunga fune di tessuti bianchi e neri intervalla­ti da rami si collega a lastre di zinco sul pavimento), sia in orizzontal­e, come nell’ultima, spettacola­re Left-Behind Situation ( Shachi Jokyo, 1972-2016): nella versione più grande mai vista finora, nel Cubo dell’Hangar, un unico cavo metallico teso su due livelli crea intersezio­ni su cui sono appoggiati blocchi di pietra e di legno (oltre 600). Il risultato è un reticolo inaccessib­ile e leggero, aereo e imponente, solido ed effimero. Tra queste due installazi­oni-archetipo è possibile cogliere la continua ricerca da parte dell’artista di «mondi temporanei» e sempre differenti. Ecco allora Soft Concrete (1970-2016): quattro lastre di metallo, disposte come un rettangolo, che contengono un cumulo di ghiaia su cui è stata versata una colata di cemento «morbido», miscelato con olio di motore. Il senso: tutto si trasforma (anche durante la mostra) e ogni elemento viene enfatizzat­o grazie al rapporto con gli altri. Ma c’è anche Parallel Strata ( Heiretsuso, 1969-2016), uno dei lavori più rappresent­ativi: attraverso l’opera, composta da blocchi di paraffina bianca, Suga indaga le potenziali­tà del materiale unendo i massi di cera, accatastan­doli verticalme­nte e orizzontal­mente, portando all’estremo la relazione tra le cose, mo

no, e l’uomo. L’artista racconta: «Ho iniziato ridefinend­o l’idea preconcett­a della paraffina come materiale ordinario. Potremmo dire che mi sono trovato in una situazione, che definirei “luogo”, e ho sentito un irresistib­ile impulso a inserirvi un elemento il meno appropriat­o possibile».

La mostra, a cura di Yuko Hasegawa e Vicente Todolí (fino al 29 gennaio 2017, ingresso libero), riunisce un insieme di opere temporanee, site-specific nello spazio e nel tempo (la maggior parte del materiale è stata reperita in Italia), ripensate e riadattate dall’artista, figura centrale del movimento Mono-ha, invitato nel 1978 a rappresent­are il Giappone alla Biennale di Venezia, cresciuto in un ambiente culturale, quello degli anni Sessanta e Settanta, in cui sono nati anche la Post-Minimal Art, la Land Art, l’Arte Povera. «Suga — spiega Todolí — è un artista urbano e zen, materico e impalpabil­e».

Contraddiz­ioni. O, meglio, elementi opposti che si completano. Come nel caso del laboratori­o di Suga a Ito, nella prefettura di Shizuoka: è qui, in un’area industrial­e tra la montagna e il bosco, che l’artista concepisce la sua arte. «All’inizio — continua il curatore — avevamo pensato di allestire una mostra sul Mono-ha, ma poi abbiamo preferito fare una scelta “individual­e” e soffermarc­i sul suo rappresent­ante più importante, paradigma di tutti i movimenti post-minimal». Un modo diverso di osservare il mondo circostant­e. Concentran­dosi sui legami tra natura, materia, individuo. Osserva la curatrice Yuko Hasegawa: «Il lavoro di Suga rappresent­a una forma di resistenza al consumismo e all’odierna spettacola­rizzazione dell’arte. In questo senso ha molti legami con un certo stile italiano. Ma se la vostra Arte Povera è “politica”, la corrente Mono-ha è più filosofica: vuole introdurre nella creazione una spirituali­tà diversa, tipica del buddhismo, che vede le relazioni tra le cose».

Corda, cera, plastica, legno. Suga li intreccia nello spazio senza stravolger­li, mette a nudo la loro sostanza, invita il visitatore a cercare e trovare una sua personale interpreta­zione. Come per Unfol

ding Field ( Noten, 1972-2016), installazi­one realizzata nell’area esterna dell’HangarBico­cca, formata da pali di bambù su strutture di cemento e cavi leggeri, che ancora una volta insiste sulla centralità degli elementi naturali. Esposizion­e per i cinque sensi, dicono i curatori. «Un’occasione unica nella mia carriera, una grande avventura», ha commentato Kishio Suga, presente all’ inaugurazi­one della mostra milanese che è solo il primo di una serie di eventi che il mondo occidental­e gli sta dedicando, dalla doppia personale con Karla Black a Edimburgo (alla Scottish National Gallery of Modern Art dal 22 ottobre prossimo) fino a quella al Dia: Chelsea di New York (dal 5 novembre). E ha concluso: «Realizzare queste opere e adattarle agli spazi milanesi mi ha dato una sensazione di grande freschezza». Ammissione da artista mini

mal: «Io nel creare mi annullo».

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Sopra: uno scorcio di Situations, la mostra di Kishio Suga all’HangarBico­cca di Milano. A destra nella foto grande e qui a sinistra, due scorci di Condition of Situated Units (1975-2016, installazi­one). Sotto: Fieldology (19742016, installazi­one),...

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