Corriere della Sera - La Lettura
Lauren Groff e il romanzo che piace a Barack Obama
Lotto è un marito privilegiato e sexy: il fato governa la sua vita Mathilde una moglie divenuta algida e coriacea: una furia
Storia di due ragazzi e del loro matrimonio (ma c’è molto altro) giovane, idealista, frettoloso. Lauren Groff parla del suo romanzo, acclamato anche da Obama, e delle ragioni di quelle strane parentesi quadre all’interno del testo: omaggio a Virginia Woolf e agli dèi greci
Fato e furia. Moire ed Erinni. Destino e vendetta. Sono le due parti che compongono il terzo romanzo di Lauren Groff [miracoloso], le due metà non perfettamente complementari della storia di un matrimonio, quello fra Lancelot Satterwhite, più comodamente «Lotto», e Mathilde Yoder.
Lotto è sensuale, magnetico, proviene da una delle famiglie più ricche della Florida ed è destinato a un avvenire eroico, come testimonia il suo nome eccentrico — il «fato» governa la sua vita dal principio. Il passato di Mathilde, al contrario, è avvolto nel silenzio, niente famiglia, niente origini. Ha imparato a dibattersi nella povertà [lo scopriremo] e le sofferenze protratte l’hanno resa algida e coriacea, una «furia».
Diversi come sono, Lotto e Mathilde si conoscono all’università. Si sposano con una fretta irragionevole, a ventidue anni. Dopotutto, «non era la ragione peggiore su cui costruire un matrimonio, quell’elettricità». Sulla spiaggia dove consumano la loro luna di miele clandestina e fugace sperimentano una comu- nione assoluta, nel corpo e nello spirito [«Abbiamo fatto qualcosa di più grande. Di nuovo»]. Quell’istante è l’apice delle loro esistenze. Groff ci racconta chi erano entrambi prima di arrivarci e chi sarebbero diventati dopo, con una partecipazione e un’inventiva inesauribili, travolgendo il lettore con lo stesso impeto che afferra i due amanti sulla spiaggia. E infatti, Fato e furia ha avuto un seguito imponente negli Stati Uniti: finalista al National Book Award, scelto da Amazon e da Barack Obama come il libro migliore del 2015, promosso spontaneamente da una schiera variegata di celebrità.
Un romanzo sul matrimonio [definizione superficiale, è «anche» un libro sul matrimonio, ma è davvero molto di più], eppure nei ringraziamenti ammetti di essere «ambivalente» al riguardo.
«Lo sono, e parecchio. Odio l’istituzione, con la sua inerente misoginia e i rapporti di potere impliciti, ma amo il mio personale matrimonio. Mi piace pensare che il libro riguardi il matrimonio tanto quanto una bomba riguarda l’involucro di una bomba. Ovvero: per nulla, in realtà».
Facendo il suo ingresso nella classe del giovane Lotto, il professore di teatro Denton Thrasher esordisce così: «Per cominciare, ditemi la differenza tra tragedia e commedia».
«Commedia e tragedia sono, almeno a mio parere, formulazioni differenti della stessa storia. La commedia riconosce il comico, la tragedia descrive una caduta attraverso tutta la vicenda. Le nostre vite sono piene di entrambe, e spesso esistono contemporaneamente. La distinzione risiede solo nel modo di narrare».
In «Fato e furia» c’è una grande li- bertà di stile [frammenti di commedie teatrali, il libro diviso severamente in due parti, il punto di vista affidato per lunghi tratti ai personaggi secondari]: si direbbe quasi che ti concedi del divertimento.
«Ho bisogno di provare una grande gioia mentre scrivo un romanzo. Ci sono periodi nei quali lavoro con un’urgenza più controllata, ma accade in genere con i racconti. Dopotutto, il romanzo è una forma d’arte che afferma la vitalità, a prescindere da ciò che accade nella trama. Il racconto invece è più acuminato, mortifero. Quanto alla struttura in due parti, nasce dal fatto che ho creduto per cinque anni di stare scrivendo due libri, finché il mio agente [Bill Clegg] mi ha fatto notare che in realtà no: stavo scrivendo un libro solo, composto da due parti autonome, nello stesso modo in cui un matrimonio è un’unità singola creata da due anime discrete».
E poi c’è il tono epico [le parentesi quadre usate per espandere la vicenda, inserire le intenzioni degli dèi e conferire un senso di predestinazione].
Confini «In quanto scrittori siamo dei serial killer. Serve molta cecità intenzionale per costruire personaggi che nascono da chi conosci»
«Amo la mitologia greca, l’ho studiata con un piacere e un entusiasmo straordinari mentre scrivevo. Mi sono affidata molto a Roberto Calasso, in particolare a
Le nozze di Cadmo e Armonia, dove presenta una visione così vasta di che cosa significhi raccontare una storia. Noi “moderni” tendiamo a considerare le storie come degli eventi terrestri che si dispiegano su un paesaggio; i greci vedevano la narrazione come se il lettore si trovasse dentro un acquario: sopra la sua testa nuotavano gli dèi potenti e pericolosi, mentre i miseri mortali si affannavano sul fondale. Ho rubato l’idea delle parentesi quadre a Gita al faro di Virginia Woolf. Volevo che ci fossero stili e strutture molteplici, che i miei personaggi vivessero dentro un tempo umano, punteggiato però da un tono solenne, epico e umoristico».
Il romanzo scivola lentamente dentro questo «tempo umano» e contemporaneo, ma prende il largo da un mondo quasi surreale, popolato di sirene e uomini pelosi, il mondo di un bambino che si chiama «Lancillotto».
«Il mondo surreale dell’inizio del libro dipende dalla vita surreale che vivo in Florida [a Gainesville], dov’è ambientata la prima parte. Lotto è un essere umano modellato s ul l e nar ra z i oni . M’interessava giocare con certe forme tradizionali maschili: la mitologia, l’epica, il romanzo cortese, l’opera, la tragedia greca, il romanzo di formazione, il
Künstlerroman. Ho costruito tutto questo molto attentamente, in modo da poterlo punzecchiare con lo stile affilato e diretto, da Nouveau Roman, della seconda parte».
Il matrimonio di Mathilde e Lotto si fonda su un’amicizia profonda [«Buon compleanno, amico del mio cuore», dice lei un giorno], ma anche su un’attività sessuale copiosa e lussureggiante [«Se cambiare voleva dire che sua moglie dalle ciglia bionde sarebbe tornata a sorridergli, che l’avrebbe montato alla maniera di una valorosa amazzone, sarebbe cambiato»].
«Il matrimonio riguarda entrambe le cose! Sono così stufa di libri sul matrimonio in cui non compare mai il sesso. Suona falso per me, e suona falso rispetto ai matrimoni che osservo: dal poco che riesco a spiare degli altri, almeno. A volte riesci a dire di più al tuo compagno attraverso il corpo che attraverso le parole. Altre volte l’importanza del corpo svanisce un po’, allora resti con quella persona perché ami il suo cervello. È un fluire continuo, e accettarlo significa amare con tutto ciò che hai».
Quando il libro finisce ci si domanda: qual è stato l’errore di Mathilde e Lotto? Erano troppo giovani, troppo idealisti? [Sulla spiaggia lui desiderava «ingoiarla», farla sua per intero, lei sognava di trovare un riparo perpetuo]. Oppure non c’era alcun errore?
«Io credo che non ci fosse alcun errore. Lotto e Mathilde sono esseri umani imperfetti, ma sono generosi ognuno con le imperfezioni dell’altro. C’è una specie di comprensione implicita e ineffabile tra di loro, autentica e solida».
Gli dèi che parlano nel libro possono essere visti come trascendenti oppure come decisamente umani [la madre di Lotto, Antoinette, che governa silenziosamente la vita del figlio; la zia Sallie che pone rimedio a tutti gli errori; Mathilde che modella la verità perché sia digeribile al marito; perfino gli amici cospirano sul destino di Lotto].
«Lotto è stato cresciuto con l’idea di essere speciale e preferito dagli dèi, amato da tutti, perciò non vede ciò che gli altri fanno per garantire la sua felicità. Mathilde, invece, è molto più pragmatica e autodeterminata: se ne sta in piedi, fredda e distaccata, sulla cima della sua montagna, e da lì il suo sguardo si spinge a leghe di distanza. È così brillante da essere in grado di manovrare gli altri con spintarelle leggere, senza che se ne accorgano».
C’è un’omosessualità latente in Lotto, della quale lui stesso non sembra cosciente.
«Era assolutamente nelle mie intenzioni che Lotto fosse bisessuale. Ama t ut to nel le al t re per s one, a nche gl i aspetti non immediatamente apprezzabili, e ama così tanto sentirsi amato dagli altri che è pronto a fare di tutto per impadronirsi del loro affetto. È anche immensamente erotico. Mi ci è voluto del tempo per comprenderlo, non perché lui è un uomo e io sono una donna, ma perché è nato con ogni privilegio del pianeta — un ricco americano bianco che tutti si fanno in quattro per rendere felice — e questo non suscitava automaticamente simpatia. Ho trovato la mia strada verso di lui quando ho realizzato quanto fosse dolce e sexy».
E sexy, lo è di sicuro [«Danica dovette trattenersi dal leccare la guancia di Lotto quando lo baciò. Salato, oh mio dio che delizia, come un brezel soffice e caldo»], ma il suo amore per tutte e per tutti sembra celare una misoginia strisciante. [Dopo anni di tentativi fallimentari come attore, Lotto diviene un drammaturgo di successo. Ha talento, ma Mathilde lavora nell’ombra per dare al suo lavoro una forma compiuta, oltre a correggergli gli errori di ortografia. È lei a confezionare la prima fulgida pièce, «Le fonti». Eppure, quando Lotto si trova a discutere della questione di genere nel teatro contemporaneo, incappa in una serie di stereotipi viscidi: l’uomo che crea, mentre la donna si occupa del focolare e della prole]. Nel tuo caso sembra vero il contrario: sei una scrittrice di successo con un marito e due figli.
«Volevo esplorare le idee tradizionali su che cosa rende un artista tale, e su chi abbia il diritto di proclamarsi un artista. Pensavo a Véra Nabokov che è stata, per me, un genio al pari di Vladimir, ma che ha passato tutta la vita di adulta a cercare di rendere la vita facile a lui. E poi, c’era una parte di me che voleva rendere omaggio a mio marito e ai nostri figli, che spesso si sentono come delle comparse nello “Show di Lauren”. Per esempio, nelle ultime tre settimane ho viaggiato per promuovere il libro e mio marito si è occupato dei bambini. Mi rifiuto di sentirmi in colpa, perché lui è un genitore migliore di me e perché gli scrittori maschi, nella storia della letteratura, non si sono quasi mai sentiti in colpa di delegare la cura dei figli alle mogli. Ma nemmeno voglio darlo per scontato. Sarebbe ugualmente ingiusto».
Per tutta la carriera Lotto continua a scrivere della propria vita, soprattutto dell’infanzia in Florida, della madre sirena, degli anni bui del liceo. Sembra una condanna. E la tua carriera di scrittrice è cominciata con «I mostri di Templeton», dove una ragazza indaga sulla propria cittadina d’origine.
«Non credo che siamo condannati a scrivere dei nostri ricordi — o almeno, spero che non lo siamo — ma è anche vero ciò che ha detto Flannery O’Connor: “Chiunque sia sopravvissuto alla propria infanzia possiede abbastanza informazioni sulla vita per il resto dei propri giorni” [ Nel territorio del diavolo, minimum fax]. Non possiamo sfuggire chi siamo, nemmeno con l’immaginazione. Ma attraverso l’immaginazione possiamo almeno spingerci ai confini di chi siamo».
Un giorno, al termine di una recita, la sorella di Lotto dice: «Sei così affascinante da farci dimenticare che devi avere un serial killer dentro di te, per fare quello che ci fai. Ci metti nelle tue commedie, ci esibisci come fenomeni da baraccone».
«In quanto scrittori siamo sicuramente dei serial killer. È necessaria una quantità enorme di cecità intenzionale per costruire dei personaggi, perché tutto ciò che hai a disposizione sono le persone che conosci, quindi finirai per metterle nel tuo lavoro, in un modo o nell’altro. La paura di ferirle può trattenerti dallo scrivere in assoluto. Quindi, per riuscirci, non puoi che fare del tuo meglio, lavorare con empatia e, se rimangono ferite, sperare che ti vogliano bene comunque».
Dal matrimonio tra Lotto e Mathilde non nascono dei figli. E l’arte non sembra infine salvare la vita di Lotto, garantirgli la felicità.
«L’arte non salva la vita di Lotto, e se salva la vita di qualcuno lo fa solo nel breve periodo. Nessuno è mai vissuto in eterno attraverso una produzione artistica costante. Lotto non ha figli, ma è troppo narcisista per soffrirne davvero».
Tommaso Pincio aveva già tradotto il tuo romanzo precedente, «Arcadia», e anche stavolta si adopera per restituire tutte le intenzioni e le sfumature dello stile.
«Amo molto Tommaso Pincio, non soltanto come traduttore, già Arcadia era reso così splendidamente che piansi un po’, ma anche come scrittore e come essere umano. Mi sento molto fortunata. “Tradurre”, in latino, significa “condurre al di là”, e io immagino i traduttori che portano a spalle il mio lavoro da una sponda del fiume a quella opposta, con una forza e un coraggio grandiosi».