Corriere della Sera - La Lettura

Il suo segreto era ridere di ogni cosa

- di MAURIZIO PORRO

Prima che si creino altre confusioni in rete, riveliamo subito che Luciano Salce non partì per il Brasile perché era un ex nazista: l’amico Adolfo che gli telegrafav­a pressante era soltanto il suo collega di Accademia d’arte drammatica Adolfo Celi, che a San Paolo gli fece fare la regìa della Si

gnora dalle camelie. Questo per iniziare come piaceva a lui con un understa

tement, l’umorismo del Carnet de Notes, quel suo famoso teatrino dei Gobbi, con la Valeri e Caprioli (possiamo pensare che Franca Norsa, nascostasi per ragioni razziali, avrebbe scelto un partner fascista?). Salce è stato un colto umorista non sempre riconosciu­to perché adorava uscire dai canoni, amava la sintesi fulminante e cinica come in uno sketch memorabile sulla guerra. E fu l’unico a girare il remake della Corazzata Potëmkin per la scena cult del primo film di Fantozzi, ma nessuno se ne accorse, e oggi qualcuno dice che la fine del comunismo reale inizia proprio da quella storica battuta anti cinefila che il film di Eisenstein è una «cagata pazzesca» anche se Paolo Villaggio sa che non è vero.

Salce veniva dal teatro, come tutti i grandi della commedia, aveva lavorato con Albertazzi, la Pagnani, la Masiero, scoprì Morricone per le musiche di scena e col Federale (rivedetelo, poteva averlo fatto un fascista?) e subito dopo con La

voglia matta lanciò Tognazzi come attore serio e da lì iniziò il secondo tempo di una grande carriera (e c’era anche la primissima Sandrelli). Il segreto era ridere di tutto, ma soprattutt­o delle cose tragiche: del fascismo, della borghesia, dello scontro generazion­ale, del destino da travet del ragionier Ugo, della sanità corrotta, finendo con la satira politica del Belpaese a 360 gradi.

Faceva tutto, era scrittore, autore, attore, regista, talent scout, popolare entertaine­r di Studio Uno con Luttazzi. Ma leggeva Proust e amava la vita e il mare. Conosceva bene il suo ambiente dietro le quinte, l’amico del cuore d’Accademia era Vittorio Gassman, con cui sviluppò un raro intarsio familiar-profession­ale. Amò lo spettacolo in ogni genere, partendo dall’avanspetta­colo (pure Banfi) omaggiato con un magnifico film su quel mondo passato inosservat­o, Basta guardarla, in cui c’erano le ragazze coccodè, la Valeri imitava la Wandissima, la Melato faceva la ballerina finto spagnola e Pippo Franco faceva la checca senza protezione, pronta all’insulto omofobo.

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