Corriere della Sera - La Lettura
Tirate fuori Gurganus dalla nicchia
Esce «L’esca», ultimo dei romanzi brevi che compongono la trilogia «Local Souls» È un capolavoro. Che rende risibili le polemiche (di pochissimi) sulla decisione di pubblicarlo da solo
Il guaio della famosa «nicchia», nell’editoria italiana, è rappresentato dalla tendenza che hanno i suoi abitatori a frammentarsi indefinitamente, inventandosi tante posizioni differenziate l’una dall’altra per una miriade di ragioni soggettive che trasformano la nicchia in una sequela di lettini a una piazza. (Del resto, è il problema che ammorba anche le minoranze politiche). Così, il tanto strombazzato passaparola su cui gli editori dovrebbero contare per la diffusione delle opere pubblicate diventa un corto circuito di voci apparentemente equivalenti che comunicano tutto e il contrario di tutto, e fanno passare informazioni errate col corredo di giudizi a volte sprezzanti che non hanno la minima giustificazione.
È il caso, tra gli altri, del lavoro che Playground sta facendo con Allan Gurganus: scorporando le sue voluminose raccolte americane, offre da qualche anno l’occasione di apprezzare, un’opera alla volta, un anno dopo l’altro, il magistero di questo autore originalissimo, ormai un classico nel suo Paese e ancora quasi sconosciuto in Italia. Ma niente, nella nicchia dei lettori italiani che, bontà loro, si sono interessati a lui, una parte protesta contro questo scorporo, alludendo asininamente a motivi di venalità, senza comprendere che si tratta dell’unico modo per tentare di affermare questo autore per quello che è, e cioè uno dei massimi scrittori americani contemporanei.
Così, ora che esce in Italia il terzo e ultimo testo contenuto nel volume originale intitolato Local Souls del 2013, il dovere di lettore ed estimatore di Allan Gurganus mi impone di difendere la scelta dell’editore, benedirla addirittura, poiché concede tempo e prospettiva alla diffusione della sua opera. Inoltre, e questo taglia la testa al toro, ognuno di questi tre testi ( novellas, le chiama l’autore, che in inglese significa «romanzo breve», mentre in Italia la novella è intesa come uno scritto anche più breve di un racconto) in realtà è un romanzo fatto e finito, sia come consistenza, cioè come numero di pagine, sia come struttura, sviluppo del-
la narrazione, dei personaggi eccetera. L’esca, s ’intitola quest’ultimo libro, è lungo 238 pagine ed è, come i precedenti Non abbiate paura (2014) e Anche le sante hanno una madre (2015), un capolavo
ro.
La storia è ambientata nella cittadina immaginaria di Falls, in North Carolina, dove Gurganus ha collocato tutte le sue precedenti opere, ma questa volta l’ambientazione non fa più solo da sfondo e balza prepotentemente in primo piano. Falls (che in inglese significa «cascate» ma nei dintorni della città non ci sono cascate) diventa il vero protagonista della vicenda, oltre che per lo spazio molto più ampio che Gurganus le dedica, anche per una ragione drammaturgica di cui dirò più avanti. I protagonisti «umani», invece, sono tre maschi: il narratore, Bill Mabry, un placido assicuratore ormai settantenne, suo padre «Red», l’entusiasta autore del balzo sociale che dalle piantagioni di tabacco circostanti ha portato la sua famiglia nel quartiere più esclusivo della città, e Marion Roper, detto Doc, il mitico medico condotto della città che già compariva in Non abbiate paura.
La storia prende avvio da una data traumatica per la città, quella in cui Doc se ne va in pensione, lasciando a tutti i suoi pazienti una pesante sensazione di abbandono. E diventa molto interessante quando, di ritorno da una vacanza di sei settimane alle Bermuda, si ripresenta in città con un hobby nuovo di zecca: scolpire e decorare uccelli acquatici in legno, riproducendoli alla perfezione in scala naturale secondo l’antica tradizione americana risalente al Diciottesimo secolo, quando quelle meraviglie venivano utilizzate come esche nelle battute di caccia. Ormai oggetti d’arte da esporre nei musei o nei salotti, le esche diventano la ragione della seconda vita di Doc, che riversa su quella pratica difficilissima lo stesso talento con cui per quarant’anni aveva avuto cura della salute degli abitanti della città, e ne diventa un maestro riconosciuto.
Questo suo successo, però, sconvolge i suoi concittadini, suoi ex pazienti e com- pagni di golf, che dal senso di abbandono scivolano in una sorprendente gelosia collettiva, dovuta alla constatazione che Doc può imporsi nel mondo anche senza far del bene a loro — anzi, escludendoli. Di questa gelosia è intriso soprattutto Bill, il narratore, cui il medico ha dedicato per cinquant’anni un’attenzione particolare per via della grave malattia cardiaca che aveva ereditato dal padre, Red, morto sotto gli occhi di entrambi malgrado un eroico, erotico e inutile massaggio cardiaco durato venti minuti. Il tutto intramezzato dal racconto di come Red avesse coronato il proprio sogno giovanile di inurbarsi nel paradiso del lungofiume di Falls, andando a condividere quella bellezza e quel benessere con le famiglie che da ragazzo spiava attraverso le siepi, fantasticando sulla loro felicità americana.
Qui, quando la placida esistenza di Bill comincia a riempirsi di dolore a causa del «tradimento» di Doc, Falls diventa veramente protagonista; tutte le languide descrizioni della sua provinciale magnificenza, della vita noiosa ma rassicurante garantita dalla comunità che la abita, tutti i riti sociali precedentemente descritti come una liturgia del benessere, si rivelano per quello che effettivamente sono, e cioè una prigione micidiale, entro la quale Bill ha tenuto rinchiuso il proprio amore per Doc, e con esso la propria identità sessuale.
Parlando di un racconto di Gurganus comparso nella raccolta Piccoli eroi del 2011 e intitolato Uno di quelli, Stefano Moretti dice cose illuminanti — e si colga qui l’occasione per omaggiare quest’altro grande scrittore «di nicchia», morto nel settembre scorso nel disinteresse generale; dice Moretti: «Per questo il coming out di cui parlano gli scritti di Gurganus — e che resta certo uno dei temi più scottanti della cultura omosessuale — dev’essere visto come una sfida continua e universale, che accomuna tutti e non solo chi si batte per il rispetto delle diversità di genere». Ecco, L’esca mette in scena proprio l’accanita mancanza di coraggio con la quale tanta gente si ostina a fare un coming out al contrario — uno staying in, viene da dire, dove l’in è rappresentato per l’appunto dalla placenta accogliente e obnubilante di quella vita per bene cui non manca nulla se non la verità. Ciò che, in psicoanalisi, porta il nome di «destituzione soggettiva» e che diventa di colpo, spettacolarmente, il cuore palpitante del libro — e data l’unità di luogo — Falls — anche degli altri libri di Gurganus. Complice un evento biblico e catartico di cui non dirò, la magnificenza di Doc declina di colpo mentre il magma ribollente della verità si riversa sul povero Bill, e tramite lui sulle ultime pagine di questo romanzo perfetto, allagandole di una bellezza e di uno struggimento quasi insopportabili — come nel finale di Chiedi alla polvere di John Fante, per capirsi.
Perciò, se siete arrivati fin qui, datemi retta: cacciate i 17 euro e godetevi questo gioiello senza perder tempo a occuparvi di scorporo o non scorporo, e poi giudicate se meritava o no. Io tanto non scappo, resto qui, col cappello in mano.