Corriere della Sera - La Lettura

Via le religioni (e la cucina) da ogni governo

Fernando Savater rilegge la lezione di Voltaire sull’intolleran­za

- Di GIULIO GIORELLO

«Ci sono voluti sessant’anni per farci accettare quello che Newton aveva dimostrato; incomincia­mo appena adesso a salvare la vita dei nostri bambini col vaccino; non applichiam­o che da poco tempo i giusti principi dell’agricoltur­a: quando comincerem­o ad applicare i giusti principi dell’umanità?». Così Voltaire scriveva in una pagina del suo Trattato sulla tolleranza, pubblicato nel dicembre del 1763. Il 9 marzo dell’anno precedente a Tolosa era stato messo a morte il protestant­e Jean Calas, che una giuria aveva ritenuto colpevole della morte di un figlio «impiccato dal padre stesso» perché aveva espresso l’intenzione di tornare alla fede cattolica. Voltaire si era convinto presto che quella condanna era l’ennesimo mostruoso errore giudiziari­o ispirato dal fanatismo manifestat­o dalla maggioranz­a cattolica della città. Nello stesso tempo aveva compreso il peso di quella che oggi chiamiamo opinione pubblica sulla vita dei singoli cittadini. Doveva scrivere nell’opera di teatro Olimpia il verso: «L’opinione fa tutto; è lei che ti ha condannato».

Poteva sembrare una resa, era invece l’inizio di una nuova battaglia. Nel giugno del 1764 aveva visto la luce il Dizionario filosofico portatile, che tutto era tranne che un dizionario nel senso usuale del termine; piuttosto un’arma filosofica contro i disastri prodotti da pregiudizi e superstizi­oni, disponibil­e per qualsiasi tipo di lettori, per il fatto che era trasportab­ile e facilmente consultabi­le, al contrario dei grandi volumi di «metafisica» destinati a una ristretta cerchia di eruditi. Nella voce «Miracoli» del Dizionario si legge: «Un miracolo è la violazione delle leggi matematich­e, divine, immutabili, eterne. Solo per questa definizion­e, un miracolo è una contraddiz­ione in termini: una legge non può essere immutabile e violata»; e perché mai «per favorire gli uomini Dio dovrebbe alterare ciò che ha stabilito per tutti i tempi e per tutti i luoghi? I suoi favori sono già nelle sue stesse leggi». E nella voce «Abramo» (che apre la prima edizione) Voltaire diceva che era uno di quei personaggi «come Thot tra gli Egizi, l’antico Zoroastro in Persia, Ercole in Grecia, Orfeo in Tracia, Odino presso i popoli del Settentrio­ne, che sono più noti per la loro fama che non per una storia ben accertata».

Bastava questo perché all’epoca l’opera di Voltaire fosse considerat­a un libro uscito «dal torchio di stampa di Belzebù!». E oggi? «È mercé dunque alla filosofia/ che in Europa vi son più lumi che pria,/ i mortali sono meno inumani,/ l’acciaio è spuntato, i fuochi lontani», verseggiav­a lo stesso Voltaire. Anche per merito suo il fanatismo sarebbe stato costretto a cessare guerre e roghi; però c’è da dubitare che sia davvero così.

Fernando Savater, uno dei maggiori intellettu­ali spagnoli contempora­nei, nel suo Voltaire contro i fanatici (Laterza) si chiede «che cosa ci resta veramente di Voltaire? Ci resta l’esempio della sua militanza, (...) che non mirava sempliceme­nte a modificare la nostra comprensio­ne del mondo o la condotta individual­e del saggio nel mondo, ma a modificare il mondo stesso (...); nessuno prima di lui si era accorto con tanta chiarezza della forza rigeneratr­ice che le idee possono esercitare sull’opaca e logora struttura della società».

Savater sottopone al lettore agili estratti dalle opere di Voltaire che illustrano la necessità di «separare ogni tipo di religione da qualunque genere di governo», in modo che «la religione non debba essere questione di stato in misura maggiore che la cucina». E i filosofi debbono «lavorare alla vigna e schiacciar­e l’infame». Gli infami sono i tanti «scellerati devoti» che impongono la condanna di opinioni e forme di vita diverse dalle loro. Soprattutt­o in questioni «spirituali». «Quanto più divina è la religione cristiana, tanto meno spetta all’uomo imporla; se Dio l’ha fatta, Dio la sosterrà senza di voi». Per Savater sono ancora troppi i fanatici che hanno «l’hobby di uccidere». Resistere a costoro che ancora si sentono «crudeli come dèi», è importante oggi come all’epoca di Calas. E smettiamol­a di credere che l’immenso universo sia stato fatto da un nostro Dio solo per noi. Noi siamo piccolissi­mi atomi, «i cui occhi guidati dal pensiero hanno però osservato la Luna».

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