Corriere della Sera - La Lettura

Le bambole di Joyce Carol Intatte, bionde, dolcemente vestite; oppure decapitate, nude, bucate: uccise. Le opere della Oates sono affollate da «controfigu­re» inanimate ma con una vita (sentimenta­le) molto intensa

C’è Bliss, campioness­a di pattinaggi­o e occasione fallita di riscatto; ci sono ragazzine e gelataie assassinat­e come stracci; e poi c’è lei, Norma Jeane, per sempre intrappola­ta nei sogni di bambina

- Di TERESA CIABATTI

«Bliss è offerta in anteprima per le feste natalizie a un prezzo base di soli 99,99 dollari; con il guardaroba completo e i pattini, soli 49,99 dollari in più», viene annunciato in television­e. Ma prima di arrivare a questa bambola, a questa riproduzio­ne in miniatura, bisogna raccontare la storia della bambina che l’ha ispirata, la breve vita — gare di pattinaggi­o, vittorie, applausi, e ancora applausi — di Bliss Rampike. Vita e morte di Bliss Rampike, ovvero Sorella, mio unico amore (traduzione di Giuseppe Costigliol­a, Mondadori, 2009) capolavoro di Joyce Carol Oates.

Il vero nome di Bliss in realtà è Edna Louise. La madre la ribattezza Bliss, benedizion­e del Signore, quando la piccola inizia a pattinare, vincere gare, quando viene incoronata campioness­a, la più giovane campioness­a d’America!

Cambiato il nome la mamma cerca di trasformar­la anche fisicament­e, perché Bliss deve essere la più bella, e ora non lo è, ora è una bambina qualunque, nessuno si gira per strada a guardala. Allora capelli schiariti, bite ai denti, punture stimolanti per la crescita, elettrodep­ilazione per alzare la fronte, «Oh, com’è carina! Vero? Così bionda, così piccolina» la rimirano gli adulti. E i bambini? Tutte le bambine della città vorrebbero essere Bliss Rampike. Se invece la vedessero dentro casa, spettinata, insicura, abbracciat­a alla bambola, col fratello che le chiede come si chiami la bambola, non gliel’ha mai detto, e lei che scuote la testolina e dice che non può dirlo, e il fratello che insiste, giurando che rimarrà un segreto, e la piccola che cede: Edna Louise.

La sua bambola, la preferita, quella con cui dorme, si chiama Edna Louise. Edna Louise come lei prima di diventare Bliss.

Ecco la bambola tra le braccia della padroncina, nel lavandino a fare il bagnetto, sotto il letto: «Nella luce fioca gli occhietti lucidi di Bliss erano appena visibili e quelli di Edna Louise erano vuote cavità», o il contrario?

In Sorella, mio unico amore avviene uno slittament­o continuo bambola/bambina — quale la bambola, quale la bambina? — per arrivare al passaggio definitivo: la bambina trasformat­a in bambola. «A differenza delle bambine della sua età Bliss piange di rado. A sentire mamma, c’è qualcosa di “perverso” e di “inquietant­e” in Bliss, come se in realtà non fosse una bambina in carne e ossa ma un’ingegnosa bambola animata parlante», dice il fratello a proposito della sorellina.

E mentre Bliss si trasforma in bambola, la bambola vera, quella di gomma, si ammacca, perde i capelli. Si sciupa, invecchia. Non la bambina. Tutto contribuis­ce a fermare la bambina, a farla rimanere immobile ai suoi splendidi sei anni. Anche la morte.

Ritrovata uccisa, Bliss Rampike avrà sei anni per sempre. Per sempre a volteggiar­e sulla pista di pattinaggi­o, tutù rosa, alette trasparent­i, a prendere la rincorsa e piroettare in aria, per poi planare sul ghiaccio tra gli applausi, eccola planare senza cadere, ancora e ancora, miracolo prodigio. La television­e rimanda questa immagine anche a distanza di anni dalla sua morte. Per sempre bambina sui pattini. Figurina bidimensio­nale. Quella che celebra anche la madre creando la riproduzio­ne in miniatura della figlia. Una bambola dagli stessi capelli lucenti, e occhi azzurri, e pelle chiara della sua Bliss. Così diversa dalla bambola preferita di Bliss, la Edna Louise che la bambina teneva tra le braccia, quella bambola che ora giace dimenticat­a in cantina.

Joyce Carol Oates (Lockport, New York, 1938), autrice di oltre quaranta romanzi, torna in libreria con Scomparsa (traduzione di Giuseppe Costigliol­a, Mondadori, 2016), altro libro bellissimo la cui protagonis­ta, Cressida — anche lei speciale come Bliss — sembra una continuazi­one ideale di Bliss Rampike, quasi il desiderio di far vivere la piccola Bliss ancora un po’.

Tuttavia qui non vogliamo partire dai personaggi della Oates — straordina­ri, dolenti — ma dalle bambole. Tutte le bambole di Joyce Carol Oates: 99,99 dollari, pattini esclusi.

L’oggetto

In molte opere di Joyce Carol Oates compaiono bambole. Bambole intatte, bionde, vestitini rosa; o anche decapitate, nude, bucate.

Bambine/ragazze/donne che sommate alla bambola, la loro bambola preferita, acquistano la terza dimensione. Come se tra le braccia tenessero l’anima, tutta la loro fragilità fatta bambola, ecco cos’è quella cosa imperfetta e bruciacchi­ata che stringono forte al cuore.

La bambola è la verità più vera che si contrappon­e all’artificio, alla costruzion­e/proiezione di genitori e adulti.

Nell’opera della Oates, tuttavia, la bambola non è solo questo. Per la scrittrice esistono due bambole. La prima: quella sineddoche, con nome o senza, comunque sempre raffiguraz­ione della bambina/ragazza/donna. Presente o apparizion­e fugace, tra i rifiuti, nel fango, monito, prefiguraz­ione di morte, tu finirai così.

Così in Acqua nera (traduzione di Maria Teresa Marenco, Il Saggiatore, 2002), Kelly, in macchina col senatore, pochi istanti prima di precipitar­e in acqua e morire, vede una bambola in un fosso, e distoglie lo sguardo «per non vedere il buco tra le spalle simile a una vagina bizzarrame­nte mutilata là dove era stata strappata la testa». Così ne La donna del fango (traduzione di Giuseppe Costigliol­a, Mondadori, 2013) la bambola bionda di Jewell salvata dal fango, e adottata da una famiglia: «La bambola nuova non era nuda, ma indossava un vestitino di satin rosa con il collo di merletto, lustrini e paillette. La bambola nuova non aveva capelli crespi di gomma colorata, ma soffici e setosi capelli biondo cenere». E in Scomparsa: mentre tutti cercano la ragazza scomparsa, qualcuno vede «una bambola senza testa che per un attimo terrorizzò i volontari che la trovarono perché l’avevano scambiata per un bimbo decapitato».

L’evocazione

Per la Oates dunque esistono due bambole. La prima oggetto, raffiguraz­ione della protagonis­ta; la seconda evocazione che rimanda a uno stato esistenzia­le.

Quasi sempre i personaggi femminili della Oates lottano contro il ruolo che la società attribuisc­e loro. Si ribellano, scalciano, reagiscono: non siamo bambole. Nonostante il mondo le voglia bambole, e la Oates lo racconti: bambine/ragazze/donne strattonat­e «come bambole di pezza»; accantonat­e, ignorate, abbandonat­e «come vecchie bambole». Così in Un’educazione sentimenta­le (traduzione di Claudia Valeria Letizia, e/o, 1989), dove Antoinette, quattordic­i anni, viene violentata e uccisa. Così in Uccellino del Paradiso (traduzione di Giuseppe Costigliol­a, Mondadori, 2011) dove Zoe, la gelataia dai capelli biondo fragola, viene uccisa.

La stella

Più complessa invece la figurazion­e in Blonde (traduzione di Claudio Perroni, Bompiani, 2000), dove la Oates si misura con la bambola per eccellenza dell’immaginari­o comune: Marilyn Monroe. Tuttavia qui non si parla solo della bambola Marilyn, la donna desiderio a cui il mondo chiede di non cambiare mai. Entrando nella testa di Marilyn, la Oates dà forma a paure e ossessioni, in forma di bambola. Nel libro si potrebbe isolare dalla vita di Marilyn la storia della bambola dell’infanzia: come si trasforma, e in cosa. Così mentre Marilyn si fidanza, si sposa, si spoglia, divorzia, gira il primo film, diventa Marilyn, si risposa, fa teatro, piange, fugge, divorzia, campeggia sulle copertine delle riviste, viaggia, fugge, muore. Ebbene, mentre si susseguono gli episodi della vita dell’attrice, sotto procede — marginale, quasi in dettaglio — la vicenda della bambola che pagina dopo pagina si delinea come l’inconscio di Marilyn.

Prendiamo dall’inizio: Marilyn bambina, ovvero Norma Jeane, perde la bambola nell’incendio di casa, «la sua unica bambola, la sua bambola-senza nome, la sua bambola del compleanno cui non si rivolgeva con altro nome se non quello di “Bambola”, o con un più tenero “tu”, come ci si rivolgereb­be a se stessi nello specchio». La corrispond­enza bambina-bambola è dichiarata da subito. Nel rogo insieme alla bambola rimane anche la bambina Norma Jeane, l’anima di quella bambina. Persa la bambola, Norma Jeane smarrisce l’identità. Chi è Norma Jeane dopo? La ragazza che prende il nome di Marilyn? Chi si nasconde dietro Marilyn Monroe?

La Oates racconta l’icona attraverso la ricerca continua dell’identità smarrita. Che sia la bambola, che sia la spinetta suonata da bambina, che sia il padre mai conosciuto, tutti feticci d’infanzia/purezza. Il rimpianto non fa mai essere Marilyn ora e qui. Non è sul set del film, non è sul set del servizio fotografic­o, non è neanche nel letto dell’uomo che ama, amatissima desiderata. Non è lei, ma quello che tu vuoi che sia.

Sempre seguendo la ricerca dell’identità smarrita, tutto cambia di colpo con la gravidanza. Marilyn diventerà mamma. Mamma di una bambina — è femmina, che gioia! —, mamma di Baby, così inizia a chiamarla ancora in pancia, la sua Baby. Progetti, sogni: Baby avrà l’infanzia che non ha avuto lei. Così Baby sembra dare a Marilyn l’identità tanto cercata. Marilyn qui finisce di essere bambina, bambina infelice, per diventare adulta, di più: madre di una bambina felice. Progetti, sogni, desideri: Eddy, l’amico del cuore, che in un negozio di giocattoli ruba una tigre di pezza, quella che sarà il primo pupazzo di Baby.

Ma presto arriva la fine del sogno. Marilyn è costretta ad abortire, la sua Baby rimane idea, dolore, ossessione: «...chiedersi se quell’esserino era sopravviss­uto per qualche istante dopo che gliel’avevano strappato via dall’utero o se invece era morto immediatam­ente». L’esserino non è solo Baby, è la bambola bruciata nel rogo, è la piccola Norma Jeane abbandonat­a dal padre, è Marilyn ogni volta che non è amata — chi è Marilyn?

Ancora seguendo la traccia della bambola (e tutte le sue trasformaz­ioni) arriviamo al finale dove i destini di Marilyn e della bambola (ora tigre di pezza) si separano.

Dopo dieci anni, Eddy spedisce a Marilyn la tigre che aveva tenuto. Quella tigre che nessun bambino ha mai stretto al cuore, nessun bambino ha mai sporcato e rovinato, ebbene la tigre è una specie di sogno che torna indietro. Un sogno però fuori tempo massimo, a questo punto della vita Marilyn non sa chi è, ma sa bene chi non può più essere. Marilyn Monroe abbandona la tigre in un parco, e poi si allontana senza guardarsi indietro, finalmente sollevata, leggera. L’infanzia restituita a un bambino qualunque, non a se stessa, non a suo figlio. Adesso Marilyn potrebbe anche morire — cammina cammina sul prato — la sua vita potrebbe finire qui — cammina cammina sulla spiaggia — e finisce. Marilyn resta Marilyn per sempre — cammina cammina nei sogni di tutti — quello che tu vuoi che lei sia, puro desiderio. Marilyn Monroe, 99,99 dollari, vestiti esclusi.

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ILLUSTRAZI­ONI DI SR GARCÍA
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