Corriere della Sera - La Lettura
CONSULTAZIONI AL POLO SUD
Rapinare al Polo Sud, meglio di no: ma dove vuoi andare, quando devi scappare nelle sconfinate distese dell’Antartide grande 46 volte l’Italia? Ammazzare, men che meno: e difatti non è un caso che la morte per avvelenamento (da metanolo) di un australiano in una base al Polo Sud nel 2000 sia forse l’unico cold case (davvero cold) tuttora irrisolto tra quei ghiacci. Anche se per convenzione l’Antartide (da tutti appetita) non appartiene a nessuno, l’assenza di sovranità statuali non determina un’assenza di giurisdizioni. Il primo dicembre 1959, infatti, Usa, Urss, Francia, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Giappone, Argentina, Cile, Norvegia e Belgio convennero che giovasse all’interesse di tutta l’umanità riservare per sempre l’Antartide solo ad attività pacifiche, e non farla mai diventare scenario o ragione di vertenze internazionali. In questa chiave, sottoscrivendo il Trattato di Washington sull’Antartide entrato poi in vigore nel 1961, pensarono un modo per sterilizzare l’inevitabile portato, pur tra quelle poche migliaia di scienziati e tecnici impegnati nelle varie missioni di studio tra i ghiacci, dell’umana tendenza a litigare. E nel Trattato (al quale ora aderiscono oltre 50 nazioni, tra le quali l’Italia dal 1981) stabilirono che, «per qualsiasi atto o omissione commessi durante il soggiorno in Antartide nell’adempimento delle loro funzioni», tutti «dovessero rispondere unicamente alla giurisdizione del Paese di cui sono cittadini». E se insorge «una vertenza inerente l’esercizio della giurisdizione nell’Antartide»? Tutti a «consultarsi immediatamente per giungere a una soluzione reciprocamente accettabile».
lferrarella@corriere.it