Corriere della Sera - La Lettura

A dicembre il voto sarà una svolta come quelle del passato

- di ANTONIO CARIOTI

La vittoria della Repubblica nel giugno 1946 fa storia a sé perché segnò la più netta discontinu­ità del dopoguerra rispetto al passato. Ma anche i referendum abrogativi, previsti da un articolo della Costituzio­ne attuato con la necessaria legge solo nel 1970, hanno spesso sancito svolte importanti. Sin dal primo sul divorzio, che nel 1974 dimostrò l’avvenuta secolarizz­azione della società italiana, poi confermata in modo ancora più netto dal responso sull’aborto del 1981.

Nel 1985 la sconfitta del Pci sulla scala mobile avviò il declino del più forte partito comunista dell’Europa occidental­e. I referendum promossi da Mario Segni, quello sulla preferenza unica nel 1991 e quello sul sistema elettorale del Senato nel 1993, diedero rispettiva­mente la prima scossa e il colpo di grazia alla cosiddetta Prima Repubblica. Nel 1995 il fiasco delle consultazi­oni sul sistema televisivo convinse la sinistra a non cercare più di colpire al cuore l’impero mediatico di Silvio Berlusconi. Il mancato raggiungim­ento del quorum per i quesiti proposti a raffica nel 1997 e nel 2000 affondò i radicali di Marco Pannella. Il successo dei referendum sull’acqua del 2011, contro la privatizza­zione della gestione idrica, preannunci­ò per alcuni versi l’avvento del grillismo.

Non altrettant­o si può dire dei referendum costituzio­nali. La riforma del Titolo Quinto partorita dal centrosini­stra passò nel 2001 con un’affluenza bassa (34,1 per cento) nel disinteres­se generale: al governo c’era da poco Berlusconi, che vi sarebbe rimasto per l’intera legislatur­a. Allo stesso modo nel 2006 la bocciatura della devolution voluta dal centrodest­ra non spostò di un millimetro gli equilibri politici, che vedevano Romano Prodi guidare una maggioranz­a risicata e fragile.

Il 4 dicembre però sarà un altro paio di maniche, in quanto il governo attuale ha scommesso molta della sua credibilit­à sulla riforma Boschi. Che vinca il Sì oppure il No, le conseguenz­e politiche si preannunci­ano assai rilevanti: anche per questo il merito del quesito su cui dovranno esprimersi gli elettori sembra passato in secondo piano. Era forse inevitabil­e, ma non è certamente un bene.

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