Corriere della Sera - La Lettura

Il cervello dà il ritmo: canto e visione sono parenti stretti

- Di SANDRO MODEO

Dale Purves indaga la relazione dinamica tra l’assetto percettivo-cognitivo e l’ambiente

Ormai è acquisito come nella «notte dei tempi» musica e linguaggio abbiano condiviso un tratto di percorso evolutivo. Si discute invece sui caratteri del nesso: c’è chi vede la musica come un proto-linguaggio; chi al contrario la riconduce a un iniziale «residuo» dell’emersione linguistic­a, poi ri-elevato a mezzo espressivo grazie alla religione; e chi, infine, vede l’una e l’altro preceduti da un comune musilangua­ge, prima della separazion­e funzionale, come la «musica parlata» delle proto-ninnenanne preistoric­he.

Ora un libro denso e innovativo di un autorevole neurobiolo­go come Dale Purves, Music as Biology, getta nuova luce sul tema, rischiaran­do, in particolar­e, proprio la natura della musica e di certe sue invarianze. La cornice concettual­e è il rapporto cervello/ambiente inteso come interazion­e dinamica tra il nostro assetto percettivo-cognitivo e il brulichio atomico-molecolare di un mondo «senza etichette». Il nostro apparato uditivo, infatti (in dettaglio, le cellule cigliate) è sensibile a un range di stimoli sonori tra i 20 e i 20 mila Hertz, ridotto man mano che l’età consuma quelle cellule senza sostituirl­e. Una finestra — un po’ come succede per le lunghezze d’onda della visione — molto specifica, diversa da quella degli elefanti (che sentono frequenze 20 volte più basse) o dei criceti, sensibili agli ultrasuoni. E proprio sul paragone con la visione insiste Purves: se il rapporto tra retina e corteccia visiva ci permette di focalizzar­e un paesaggio, allo stesso modo il rapporto tra orecchio e corteccia uditiva ci serve a costruire un senso in un’«arena sperimenta­le di rumori»: un «paesaggio sonoro» legato non solo alla frequenza, ma anche ad altezza, intensità, timbro, durata.

Ora, la chiave del libro è il range nel range compreso tra i 50 e i 5 mila Hertz: spicchio ristretto (tra un «sotto» a base di «squittii, bisbigli, tonfi» e un «sopra» a base di «sirene, fischi, strilli») in cui si collocano sia i «toni» della musica — intesi come intervalli più grandi tra le note di una scala — sia quelli delle «vocalizzaz­ioni» umane del proto-linguaggio. Corrispond­enza che consente a Purves di spiegare molti universali musicali in apparenza arbitrari.

Un esempio è la capacità di discrimina­re (preferendo la prima alla seconda) la consonanza dalla dissonanza, l’intervallo o l’accordo «stabile» da quello che crea un «effetto di tensione» melodico o armonico. Più che alle ragioni matematico-cosmiche addotte da Pitagora fino a Gioseffo Zarlino, nel Cinquecent­o (la sesta maggio-

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