Corriere della Sera - La Lettura
L’ultimo scatto del mito
Il regista Bruno Bigoni ha costruito un film immaginando una foto di Arthur malato, con in mano alcuni versi inediti. Un’indagine sulla finzione
Se esiste un identikit dell’acquirente ideale della foto qui a sinistra, di sicuro assomiglia molto a Bruno Bigoni, filmmaker milanese con la vocazione del cinema della realtà, autore di Chi mi ha incontrato non mi ha visto (L’ultima fotografia di Arthur Rimbaud) che sarà al Festival del cinema di Torino il 25 novembre e al milanese Filmmaker festival il 4 dicembre. «Ognuno ha il suo Rimbaud» scriveva Jean-Baptiste Baronian nell’introduzione al suo Dictionnaire Rimbaud, summa del corpus di testi e analisi sul poeta-bambino. Ognuno ha il suo Rimbaud, quello del regista ha avuto il potere di trascinarlo in una detective story in forma di film. Il giorno in cui Bigoni riceve la telefonata di una misteriosa francese in possesso dell’ultima immagine che ritrae il poeta all’ospedale de la Conception, la gamba destra amputata, tra le mani un foglio che riporta versi inediti (dunque non aveva smesso di scrivere a vent’anni!?), coincide con il giorno in cui accende la macchina da presa. Ogni fase del giallo, ma anche dell’intimo tormento dell’autore (credere o non credere?), è documentata. Le trattative con la donna, riprese con una camera nascosta, il peregrinare del regista tra esperti, esegeti e amici, elemosinando certezze. Il critico letterario Renato Minore lo mette in guardia: «Il mondo degli inediti fotografici è pericoloso». Il critico cinematografico Steve Della Casa getta il cuore oltre l’ostacolo: «Hai per le mani una bomba, buttati!». Bigoni parte per Charleville, città natale del poeta e sede del museo a lui dedicato, in cerca di risposte. L’unica davvero rivelatoria sarà infine quella della pronipote del poeta: «Se lei vuole credere che quest’uomo sia Rimbaud, va bene, ci creda». E lo spettatore a che cosa crederà? Che quella foto sia un sublime falso creato in studio, che quei versi «inediti» siano stati vergati da un regista innamorato di Rimbaud? Valga la definizione di mockumentary: «Film di finzione che ricalca i moduli stilistici e narrativi propri del documentario».«Per anni — spiega Bigoni — avevo seguito la pista del film classico, interpretato da un attore. Finché mi sono detto che un “film di finzione” come questo avrei potuto girarlo solo se fosse stato vero, se si fosse nutrito della verità del sentimento dietro la storia. Il protagonista potevo essere solo io».