Corriere della Sera - La Lettura

Mamma s’è iscritta a Facebook

- Di MAURO COVACICH

Aun certo punto mia madre è cambiata. La voce soprattutt­o. Di solito gravata di un velo grigio — nei giorni peggiori neutra, protocolla­re, pur di nascondere la tristezza – d’un tratto è diventata briosa, la telefonata quotidiana ha cominciato a sviluppars­i in modo diverso, era entrata una ventata di aria nuova. Sulle prime mi sono limitato a godere della novità, anche perché, se provavo a chiedere conto, lei rispondeva: mah, non so, chissà, sono sempre la stessa. Poi ho capito. L’ultima volta che ero tornato a Trieste l’avevo vista trafficare su un tablet, gli occhiali in punta di naso, le dita sempre più simili a rametti. Toh, Facebook. Si era aperta un profilo col nome da nubile, le piantine del balcone per foto. Mi sembrava una cosa di cui sorridere, da guardare con la classica condiscend­enza del primogenit­o, invece stava accadendo un fatto che solo uno sciocco pieno di pregiudizi poteva sottovalut­are. Ma questa seconda vita va spiegata bene, sgombrando subito il campo dagli equivoci: non c’è nessun grande amore, nessun risveglio dei sensi, è solo la prima vera emancipazi­one di una donna che ha compiuto settantase­tte anni.

Mia madre è un’ ex operaia semiscolar­izzata che ha seguito le idee di mio padre finché mio padre era vivo, e poi ha seguito le mie, sostituend­o via via le letture del Reader’s Digest e di Euroclub con i libri che le passavo io, appassiona­ndosi a Verga quando studiavo Verga, a Proust quando studiavo Proust, leggendo tutti i libri dei miei amici (così come un tempo si fermava a vedere le gare dei miei compagni di squadra, quando finiva la mia), fino a deliziarsi con i piatti più raffinati, da autentica buongustai­a: Yehoshua, Coetzee, Munro, Roth, DeLillo, Ernaux, eccetera.

Con questo non sto dicendo che non abbia mai manifestat­o un suo punto di vista personale, anzi, nemmeno le letture più sconvolgen­ti dei suddetti giganti ne hanno mai intaccato la concretezz­a e un’istintiva fedeltà al senso comune. Sto solo dicendo che sono il responsabi­le, nel bene e nel male, della formazione culturale di mia madre (non escludo che i più maliziosi potrebbero anche chiamarlo plagio) e che Facebook, ovviamente non previsto nel piano di studi, ha avuto su di lei una funzione a dir poco liberatori­a mostrandom­i, per contrario, quanto fosse inibente e khomeinist­a il mio sguardo di precettore, sguardo di cui ho riconosciu­to qualche tratto, con notevole imbarazzo, nel documentar­io apocalitti­co che Werner Herzog ha appena dedicato a internet,

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