Corriere della Sera - La Lettura
C’è stato un «medioevo» anche nel Seicento
Se si volesse scrivere un thriller ambientato nel passato, e infondergli il giusto tocco di oscurità, sarebbe arduo scegliere l’epoca storica più adatta. A prestare ascolto a certi appassionati del Medioevo, i più spaventosi flagelli si sarebbero abbattuti sul genere umano tra la fine del mondo antico e l’inizio dell’età moderna. L’apocalisse, in sostanza, sarebbe già avvenuta intorno all’anno Mille. Sca- vando a fondo, però, ci si rende conto che le cose andarono diversamente. L’evo di mezzo subì la sua buona dose di barbarie, è incontestabile, ma assistette anche alla fioritura delle università, dei comuni e degli scriptoria monastici. La peste nera, per cui è spesso citato, ne segna soltanto l’autunno. Se poi fossimo in vena di fare i pignoli, potremmo scovare dei clamorosi equivoci. Basti pensare ad alcuni fenomeni di lunga durata che incisero in negativo sull’evoluzione religiosa, antropologica e sociale dell’Occidente. Fenomeni giunti a maturazione all’inizio del Seicento, in pieno Barocco.
In molti, a questo punto, citeranno con sdegno il Cogito ergo sum e il teorema di Pascal, innalzando i vessilli della ragione e del progresso. E in una certa misura non avranno neppure torto. Il Secolo di Ferro apre le porte a un pensiero nuovo e a una nuova dinamica degli Stati e della politica. Tuttavia non brillò soltanto per i lumi dell’intelletto, ma anche per quelli dei roghi. I fenomeni di lunga durata a cui accennavo sono infatti l’inquisizione e la stregoneria. Spesso, a torto, releghiamo queste «macchie nere» della storia al Medioevo, dimentichi del fatto che stiamo riciclando un cliché mutuato dal Romanticismo. È da lì che proviene la formulazione dei cosiddetti «secoli bui», insieme a una fascinazione letteraria veicolata dal nascente romanzo storico, i cui più celebri esempi sono Ivanhoe e l’Adelchi manzoniano.
Ma se guardiamo oltre Notre-Dame di Victor Hugo, scopriremo che la paura delle streghe non appartiene all’epoca feudale, durante la quale si era più inclini a far strage di eretici e di saraceni. Catari, Valdesi, Dolciniani, questi sono i nomi attribuiti al Diavolo in quei tempi. Di contro, è l’età moderna a generare le fantasie più oscene e suggestive sulle adoratrici di Diana, rielaborando i concetti della strix dell’epoca classica, del Sabba, dei conciliaboli nelle foreste e delle confraternite di donne dedite a corrompere la purezza — e la noia — dell’ordinamento sociale moderno.
Delle «femmine malefiche» ci parlano numerosi teologi, demonologi e trattatisti del Seicento. Alcuni di questi sono inquisitori, come il milanese Francesco Maria Guaccio, che scrisse il Compendium maleficarum basandosi su fonti francesi e tedesche, ma anche su una persecuzione che lui stesso compì in Renania. In alcune illustrazioni del suo trattato compaiono donne tramutate in animali selvatici, altre intente ad arrostire bambini e apparizioni del Diavolo voltato di schiena, per farsi baciare l’ano dai suoi adepti. La lista tuttavia si prolunga all’inverosimile. Partendo dalla fine del Cinquecento con la Demonolatria di Nicolas Rémy, si continua con le disquisizioni del gesuita spagnolo Martín Del Rio, autore di un’enciclopedia di magia nera divenuta un autentico bestseller (fu ristampata una ventina di volte), e con il Tableau de l’inconstance di Pierre de Lancre, un giudice francese responsabile di un’estesa caccia alle streghe avvenuta nei paesi baschi. Si rammenti inoltre la diffusione del Formicarius del domenicano Johannes Nider, ripescato dal Quattrocento e dedicato, in parte, agli «inganni dei malefici».
Per farla breve, abbiamo superato di gran lunga le ossessioni degli inquisitori medievali Nicolas Eymerich e Bernardo Gui, e pure i delitti pseudo-apocalittici descritti da Umberto Eco nel Nome della rosa. Se il Sant’Uffizio nasce nel XIII secolo, è a cavallo del Concilio di Trento che giunge al suo massimo potere. Ed è proprio a partire da questo momento che intraprende, in modo tanto sistematico quanto spietato, una guerra intesa da un lato a uniformare la devozione cristiana e dall’altro a castrare ogni residuo folklorico (paganeggiante) sopravvissuto alle epoche precedenti.
Come effetto di ogni azione repressiva, anche in questo caso assistiamo a un rigurgito di fantasie deliranti degne della pittura tardogotica di Hieronymus Bosch. Fantasie che sembrano perseguitare più i cacciatori delle prede, dal momento che è proprio nei loro scritti che prendono forma. Del resto, malgrado lo sfarzo del Barocco, il Seicento non si può certo definire un secolo felice. Gravato dalla Guerra dei Trent’anni, dalla carestia e da una corrente artistica intrisa di sensibilità macabra, rappresenta un terreno più che adatto a coltivare incubi.
Paure Malgrado lo sfarzo del Barocco, il XVII secolo non si può certo definire felice: guerre, carestie e tendenze artistiche sono un terreno adatto a coltivare incubi