Corriere della Sera - La Lettura
L’evo di mezzo è associato (spesso a torto) a una buona dose di barbarie. A ben vedere fu il Secolo di Ferro a brillare sì per i lumi dell’intelletto, ma anche per quelli dei roghi
Così si mise a punto, per la prima volta nella storia, un efficentissimo sistema burocratico e di polizia volto a sopprimere i crimini più turpi riconosciuti dalla Chiesa. Le indagini si svolsero mediante la regola del sospetto, celebrata dalla bolla Licet ab initio di Paolo III (1542) e supportata dai non valori dell’intolleranza e della paura del diverso. Le vittime però non furono le sole, presunte streghe. Una delle categorie più a rischio fu quella di scrittori e tipografi, divulgatori di un libero pensiero che sfidava i dettami delle sfere ecclesiastiche. Anche gli illustratori, i gazzettieri, gli attori e persino i compositori di musica non ebbero vita facile.
Stanchi di bruciare gli uomini, si passò quindi ai libri. La Congregazione dell’Indice, nata in clima tridentino da una costola dell’Inquisizione, avviò una tale opera di controllo, emendazione e censura da lasciar basiti molti eruditi del tempo. Non furono soltanto i testi di Calvino e di Lutero a finire tra le fiamme, ma anche quelli di Guglielmo di Occam, Erasmo da Rotterdam, Boccaccio, il De monarchia di Dante e le Satire dell’Ariosto. In uno scambio epistolare tra il segretario cardinalizio Girolamo Aleandro e l’astronomo francese Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, si arrivò a lamentarsi: «In queste nostre parti (Roma) non si usa stampar libri curiosi, anzi il negotio va tanto restringendosi, che credo ci ridurremo solamente a stampar i messali, e breviari».
Parlavamo però di scrivere romanzi, e a ben vedere sarebbe scortese dilungarsi sul Secolo di Ferro senza spendere una parola sulle opere letterarie che contribuirono a dargli la fama di periodo terribile. Dumas prima di tutti, con I tre moschettieri, descrive un’epoca fatta di avvelenamenti, prelati ombrosi e donne più imprevedibili di qualsiasi fattucchiera. Si tratta di un mondo più complesso e tenebroso del Medioevo. Gli eroi che lo popolano non corrispondono al profilo del cavaliere senza macchia ma, D’Artagnan docet, a quello dell’impertinente con il «genio dell’intrigo». Dell’intrigo e della lingua tagliente, se tiriamo in ballo Cyrano de Bergerac, quello della commedia teatrale di Rostand e pure l’uomo in carne e ossa.
Se infatti il Seicento è un secolo pericoloso per sognare, dà voce al più grande sognatore di tutti i tempi. Nei suoi viaggi metafisici, Cyrano inseguì la luna più di qualsiasi alchimista o scienziato. Fu filosofo, libertino e narratore dell’immaginifico, l’unico capace di scoperchiare senza filtri il calderone visionario che risiede nel cuore dell’uomo del XVII secolo. E se incarnò l’ideale del linguaggio arguto declamato dalla poesia dell’epoca, nei momenti in cui la favella non gli bastò combatté duellando in punta di spada, o di naso, per opporsi alla grettezza del mondo.
Del resto ogni epoca ha il proprio eroe, o meglio il suo simbolo dell’eroismo. Se per il Medioevo fu il conte Orlando, «ucciso» da Cervantes, per il Secolo di Ferro serve qualcuno in grado di ribaltare la pesantezza della guerra, dell’inquisizione e della censura. In sostanza, un Perseo di calviniana leggerezza che tenderei a riconoscere proprio in Cyrano. In alternativa si dovrebbe cercare nell’ombra, regno incontrastato di un (anti)eroe nato sul chiudersi del Cinquecento per dominare le sale di teatro del secolo successivo. Mi riferisco al Faust di Marlowe, il doctor diaboli che vendette l’anima a Satana pur di accedere a una sapienza sconfinata. E con questa figura si va ben oltre il simbolo, permettendoci di accedere sia alla stregoneria sia all’alchimia, tanto amata durante tutta l’età moderna (basti pensare all’exploit dei Rosa Croce).
Non serve molta fantasia, a questo punto, per immaginarsi gabinetti alchemici celati in monasteri, cripte e palazzi cardinalizi. Anche a Roma, sotto un sole che tinge d’oro le cupole vaticane.
Regole È proprio a partire dal Concilio di Trento (1545-1563) che il Sant’Uffizio intraprende in modo tanto sistematico quanto spietato una guerra in difesa dell’ordine cattolico