Corriere della Sera - La Lettura
Stavolta Piperno va nella città delle donne
«Dove la storia finisce» offre un campionario intenso e variegato di figure femminili, a differenza degli altri romanzi. Su tutte spicca Federica, alla quale l’autore dà qualcosa di sé
Il protagonista è, come sempre nei romanzi di Alessandro Piperno, un uomo. Ma non è un caso che Dove la storia finisce, il libro più recente dello scrittore romano, inizi con un ritratto di donna così convincente da suggerire al lettore che la vera protagonista sarà lei. Certo, Matteo Zevi, irresponsabile cialtrone distruttore di famiglie e di patrimoni (pur con un fondo di autenticità che lo rende vero e quasi simpatico al lettore), costretto a fuggire in America per sottrarsi alla vendetta di un usuraio a cui si è incautamente affidato, è il vero motore del libro.
È da lui, dal suo ritorno a Roma dopo 16 anni di esilio californiano, dopo aver deluso tutti senza per questo esserne odiato, dopo aver sposato altre due donne e dopo che lo strozzino è morto («Ho vissuto più di un terzo della vita lontano da tutto quello che amo. Ci sono assassini che hanno avuto condanne più lievi»), che si irradia l’azione, come se le vite degli altri fossero fino a quel momento cristallizzate in una routine stabilita e immodificabile. E tuttavia è Federica, la seconda moglie, con il suo desiderio di conservare ogni cosa offrendo a tutti un’altra possibilità, la regista di tutto, anche se il film che ne verrà fuori non è quello che lei ha in testa.
In generale, l’impressione è che in questo romanzo in cui si intuisce un grande lavoro sullo stile, Piperno abbia cercato di mettere il suo talento narrativo, la sua capacità di affondare nelle psicologie dei personaggi che ha dimostrato fin dal romanzo d’esordio Con le peg
giori intenzioni, al servizio di figure femminili più di quanto abbia fatto nei romanzi precedenti, dove le donne, soprattutto mogli e amanti, facevano da contorno a uomini campioni di debolezza, quando non di meschinità, esaltandola, talvolta favorendola. È come se rinunciando a quello che gli piace di più e che già sapeva di poter fare al massimo livello — raccontare con disincanto e ferocia il carattere (o la mancanza di carattere) di maschi piccoli alle prese con conflitti grandi — gli si fosse aperto un nuovo campo di possibilità.
È forse grazie alle figure femminili, soprattutto Federica, se lo sguardo di Piperno si fa più indulgente, empatico verrebbe da dire, anche se non rinuncia mai a quel tratto caustico che lo caratterizza. Le donne giocano la loro parte nel respiro corale del romanzo, dove le voci non sono più soltanto quelle dell’«ambiente», cioè la borghesia ebraica romana, laica nei comportamenti e tuttavia intransigente nelle forme, che inconsapevole corre verso il bagno di realtà imposto dal finale drammatico e inaspettato, quasi un memento mori contro la frivolezza e l’inutilità dei riti sociali. Piperno presenta Federica subito e per sempre nelle prime pagine: una quasi cinquantenne, capace di guardarsi allo specchio e vedersi come ripiego appetibile per vedovi o separati, mortificata in abiti che la fanno passare inosservata, lettrice di grandi classici come Pamela di Richardson o I Buddenbrook di Mann. È una Penelope moderna e consapevole, affatto ingenua, capace di esercitare fino in fondo la sua libertà, anche quella di aspetta- re da un marito inaffidabile a cui non ha mai chiesto il divorzio (benché lui in America si sia risposato due volte) qualcosa di vero che possa essere miracolosamente rimasto nascosto dentro un packaging impresentabile.
Portata all’autoironia più che all’autostima, votata alla subalternità per un’attitudine alla tolleranza che pone al di sopra di qualsiasi cosa, nella sua bilancia morale il peso specifico dei doveri sovrasta abbondantemente quella dei diritti. È lei il personaggio a cui Piperno sembra prestare qualcosa di se stesso, certamente il suo distacco, l’indulgenza verso l’inevitabile fatica di vivere che tutti affrontano e che porta alla luce bassezze e compromessi. È lei la prima di una galleria di figure femminili che Piperno ritrae in prospettiva, rivisitando in chiave alta certi movimenti narrativi della letteratura di genere.
Alcune sono in primo piano, come Martina («apparteneva alla generazione di ragazze le cui sorelle maggiori avevano elaborato una Weltanschauung sulle sceneggiature di Nora Ephron e Darren Star» la scolpisce Piperno), la figlia di Fe- derica e Matteo, imprigionata in un matrimonio molto borghese con il figlio di un noto penalista cattolico e abitata da un segreto inconfessabile che sembra più una posa che una realtà: un bacio con la sua migliore amica, nonché cognata, Benni. Un rapporto che Piperno racconta con maestria cogliendo le due amiche di liceo nella cameretta a leggere lo stesso libro di Mishima e a scambiarsi dialoghi con quel tic generazionale e progressista che condisce «il cazzeggio con le spezie della forbitezza» («Sei ricca, annoiata, ami il cinema turco, i manga, i libri di Foster Wallace. Sei l’emblema di una classe dirigente di un Paese corrotto e decadente», Martina prende in giro l’amica). Altre sono figure che restano nelle retrovie, come la stessa Benni, anche lei in qualche modo in fuga (in Germania) da quella tentazione lesbica e vagamente incestuosa; o come la suocera di Martina, la cui abilità, come per tante signore della buona borghesia, consiste nell’usare i quattrini del marito «per rendere la vita di entrambi, e quella dei due amatissimi figli, degna di essere vissuta in eterno». O come Ada, moglie di Tati, l’amico a casa del quale Matteo trova riparo, occupando la stanza creata per un figlio mai arrivato («la vita senza figli ti priva di una tappa fondamentale: una sera vai a letto giovane e pieno di speranze, per svegliarti la mattina dopo vecchio e inutile come un registratore Vhs»).
È come se, con questo romanzo meno corposo dei precedenti (soprattutto del dittico Il fuoco amico dei ricordi), essenziale e dal ritmo perfetto, Alessandro Piperno avesse voluto allargare la sguardo e nello stesso tempo affinare i particolari. Un’attitudine che, c’è da scommettere, darà i suoi frutti più maturi nel prossimo libro.
Sguardo L’atteggiamento dello scrittore si fa indulgente, empatico, anche se non rinuncia mai al tratto caustico che lo caratterizza Ragazze e signore Alcune sono in primo piano, altre sullo sfondo, da Martina formatasi sulle sceneggiature Usa ad Ada rimasta senza figli