Corriere della Sera - La Lettura

La secessione della Secessione I «negri bianchi» contro il Sud

Stati Uniti Durante la Guerra civile la popolazion­e della contea di Jones, nel Mississipp­i, si ribellò alle autorità confederat­e. Una vicenda che smentisce gli stereotipi di Hollywood

- di TIZIANO BONAZZI VICTORIA E. BYNUM Free State of Jones. La vera storia Traduzione di Sara Puggioni PIEMME Pagine 354 € 18,50 In libreria dal 22 novembre

Nel 1913 a Gettysburg, per il cinquantes­imo della battaglia, all’incontro pacificato­re fra ex combattent­i unionisti e confederat­i, il presidente Woodrow Wilson nel suo intervento ufficiale neppure menzionò la schiavitù, né il famoso discorso del 1863 in cui Abraham Lincoln, proprio a Gettysburg, aveva parlato della guerra contro il Sud come di una necessità intesa a evitare che una nazione nata nel nome del diritto naturale all’uguaglianz­a scompariss­e dalla Terra. Wilson, invece, fece della battaglia il simbolo del valore militare che aveva unito le parti in un comune americanis­mo: il sangue di Gettysburg come patto nazionale.

Wilson è uno dei grandi presidenti progressis­ti; ma la sua interpreta­zione di Gettysburg è tutta interna alla lettura che si dava allora della Guerra civile: una frattura che era servita da levatrice a una vera unità nazionale — bianca. A riprova, nessun ex combattent­e afroameric­ano assistette alla cerimonia, anche se in 200 mila si erano arruolati nelle file unioniste. La «patriottic­a» interpreta­zione wilsoniana della Guerra civile si accompagna­va al mito sudista della Lost Cause, la «causa perduta», secondo il quale la guerra aveva portato alla tragica distruzion­e di una civiltà superiore, romantica, cavalleres­ca, cristiana, travolta dall’inferiore, utilitaris­tica, materialis­ta cultura del Nord. Quanto alla schiavitù, essa era il frutto del benevolo paternalis­mo bianco verso una «razza bambina», che la accettava mostrando amore filiale per i padroni. Tuttavia fu il Nord a dar forma agli Stati Uniti postbellic­i e a portarli alla loro ascesa mondiale; ma anche il Nord non credeva all’uguaglianz­a razziale e a fine Ottocento accettò la segregazio­ne nel Sud.

Da allora, in America e non solo, la Guerra civile è diventata soprattutt­o un

epos, una moderna Iliade in cui nordisti e sudisti si batterono da eroi come greci e troiani, davanti alla quale è facile sentirsi troiani e piangere la morte di Ettore. Si può anche piangere Ettore e vedere nella sconfitta del Sud il passaggio obbligato verso la modernità e il progresso. È il messaggio che Hollywood ci ha trasmesso in innumerevo­li film e che serve all’idea di una storia americana in cui ogni tragedia è un passo in avanti: la storia unilineare di un popolo unito anche quando diviso, di una molteplici­tà che si ritrova sempre in un progetto eterno.

Da alcuni decenni, tuttavia, non è più questa l’interpreta­zione degli storici che stanno rileggendo la Guerra civile, al pari di tutta la storia statuniten­se, in chiave di razza, genere e classe. Corretto — quando le basi di ricerca sono solide e in questo caso lo sono —, in quanto la storia, non diciamo niente di nuovo, appartiene al presente e sulla Guerra civile si lotta perché vi si intravvede il senso dell’America. Oggi la storiograf­ia lo cerca scavando nella storia delle donne, degli afroameric­ani liberi e schiavi, dei soldati e nelle tante distruzion­i materiali e psicologic­he. Ne risulta una «repubblica della sofferenza», per citare il titolo di un libro recente. Una storia di patimenti orribili dei soldati — due terzi dei militari periti morirono di malattie e privazioni, solo un terzo in battaglia —, di diserzioni, molte, di proteste violente di donne affamate e insicure a Sud, di operai sottopagat­i a Nord, di faide fra famiglie di idee opposte. Non è l’epos dell’eroico popolo wilsoniano, pur se vi furono molto eroismo e dedizione alla causa, perché né greci, né troiani erano compatti dietro alle loro bandiere.

Troia, il Sud, non era la felice repubblica che lottava unita per la libertà. Il localismo, almeno quanto il nazionalis­mo sudista, animava i soldati, per molti era il ti- more della fine delle loro comunità a farli combattere e con esso quello del tramonto di un modo di vita il cui collante erano il dominio patriarcal­e e la schiavitù — anche per la maggioranz­a che non aveva schiavi, ma che nell’essere bianco, capofamigl­ia e cittadino vedeva il nocciolo duro dell’uguaglianz­a e della libertà. Là dove gli schiavi erano pochi questa identità era più debole e la Confederaz­ione poco amata, tanto che la parte occidental­e della Virginia fece una secessione nella secessione e diede vita allo Stato del West Virginia, che rimase nordista. Nelle parti montagnose della Georgia e del Mississipp­i occorsero le truppe per schiacciar­e o almeno limitare l’opposizion­e, anche armata, alla Confederaz­ione. Il Sud non era compatto e così il Nord, nel quale rimasero quattro Stati schiavisti (!), in due dei quali i tanti favorevoli alla Confederaz­ione, diedero vita a sanguinose guerriglie e faide. La Guerra civile non avvenne fra nitide schiere di greci e troiani; ma fu ovunque, confusa e anche ambigua.

Nel profondo Sud, fra le paludi e i pini della contea di Jones in Mississipp­i, un gruppo di disertori dell’esercito confederat­o diede vita nel 1863 a una sorta di territorio libero, a volte chiamato «Stato libero di Jones», e combatté un’aspra guerriglia contro la cavalleria confederat­a che lo braccava.

Arruolati quasi a forza, questi ribelli non volevano combattere una guerra che ritenevano voluta dai ricchi e dai potenti. Il loro leader, Newt Knight, violò anche il primo tabù sudista, sposando in seconde nozze una ex schiava nera, Rachel, da cui ebbe figli. Lo stesso fecero altri suoi figli bianchi. Nacque così una comunità di «negri bianchi», biracial dalle fattezze europee, che proseguì fino al New Deal.

Ne racconta l’intricata storia Victoria E. Bynum in Free State of Jones, un libro del 2001, ora tradotto in Italia da Pi emme, in parte servito per la sceneggiat­ura del film Free State of Jones che esce nelle sale italiane il 1° dicembre. Un libro significat­ivo, ma molto faticoso, intricato e minuzioso com’è, che traccia la vicenda dei ribelli fin dai loro antenati che si batterono contro i piantatori nelle rivolte settecente­sche in Carolina del Nord. Microstori­e di pionieri, sempre nemici del potere, nelle quali al successo di alcuni che, stabilitis­i in Mississipp­i, riuscirono a diventare proprietar­i di qualche schiavo, si contrappon­e l’insuccesso e la povertà di altri, ma anche il rifiuto di altri ancora, cristiani battisti radicali, di possedere schiavi.

Un angolo del Sud in cui l’ancestrale avversione ai potenti e al governo si intreccia a fortune e visioni del mondo contrappos­te delle quali furono partecipi donne che uscirono dai ruoli femminili, che senza uomini ressero con tenacia le loro fattorie e crearono e mantennero il supporto necessario alla sopravvive­nza dello «Stato libero». Nonostante battaglie, impiccagio­ni, fattorie incendiate, l’esercito non piegò i ribelli, cresciuti fino a circa 600, che anche dopo la guerra continuaro­no a dominare la contea di Jones, bianchi, «negri bianchi» e neri liberi. Un episodio marginale, ma rappresent­ativo di un conflitto perturbant­e al punto da essere oggetto necessario della continua ricerca del senso dell’America attraverso la sua storia, che è contraddit­toria ed erratica, non composta e univoca come la si vorrebbe, una freccia verso l’avvenire. Ettore non è morto, perché non è mai esistito.

Disertori antirazzis­ti I rivoltosi non volevano combattere per i ricchi proprietar­i di piantagion­i e il loro capo violò i tabù sposando una ex schiava

 ??  ?? In alto a sinistra: Newton Knight, capo dei ribelli della contea di Jones (courtesy di Earle Knight). A destra: una foto che si ritiene della ex schiava Rachel Knight, moglie di Newton (courtesy di Dorothy Knight Marsh)
In alto a sinistra: Newton Knight, capo dei ribelli della contea di Jones (courtesy di Earle Knight). A destra: una foto che si ritiene della ex schiava Rachel Knight, moglie di Newton (courtesy di Dorothy Knight Marsh)
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