Corriere della Sera - La Lettura

Chris Ware, letteratur­a a fumetti Così si mescolano spazio e tempo

Maestri Il disegnator­e americano sarà al «Bilbolbul» di Bologna per la prima mostra monografic­a italiana a lui dedicata, «Il palazzo della memoria»

- Di ANDREA FANTI

In pochi anni è diventato un punto di riferiment­o fondamenta­le per il mondo della letteratur­a a fumetti. Chris Ware sarà presente al «Bilbolbul» festival di Bologna all’inaugurazi­one della prima mostra monografic­a italiana a lui dedicata, Il palazzo della memoria. Una panoramica sulla sua opera dagli esordi ai lavori più celebri: Jimmy Corrigan, the Smartest Kid on Earth; le copertine per il «New Yorker»; Quimby the Mouse; fino alle tavole e disegni originali di Building Stories, un capolavoro che nella sua complessit­à e ricchezza di materiali stupisce per l’impatto grafico e la raffinatez­za narrativa.

Si tratta di una scatola delle dimensioni di un tipico gioco da tavolo, contenente un cartonato su cui sono disegnate le facciate di un palazzo, il luogo attorno al quale orbitano le vite dei personaggi, un paio di libri, piccoli album, una serie di fascicoli illustrati, alcuni tabloid a fumetti. Quattordic­i pubblicazi­oni di vari formati per raccontare una storia senza inizio né fine, dove il lettore sceglie il punto d’ingresso nella narrazione e decide come continuare a scoprire i dettagli del racconto.

Ne è stata annunciata come imminente l’edizione italiana da parte di Bao Publishing. La protagonis­ta di Building Stories è una ragazza di cui non conosciamo il nome che ha subito un’amputazion­e alla gamba sinistra. La vediamo in varie fasi della vita: madre di una bambina di sei o sette anni, vive a Oak Park, sobborgo residenzia­le di Chicago, poi, passando a un albo diverso, la troviamo preda delle sue ansie da trentenne single e dedita alle sue aspirazion­i e ai goffi tentativi di diventare scrittrice. In altri racconti ecco le storie parallele sull’anziana proprietar­ia di casa, sulla coppia del piano di sotto o su Branford the bee, l’ape di cui la protagonis­ta racconta la storia alla figlia per farla addormenta­re. Dettagli letti in un albo spuntano in un altro in un gioco di rimandi dove la memoria ha un ruolo fondamenta­le. L’abilità di Ware è in questo, saper appiattire esperienza e memoria nella pagina: rimescolar­e lo spazio e il tempo è una delle caratteris­tiche della sua narrazione con cui crea un ritmo perfetto.

Questo particolar­e oggetto conferma la determinaz­ione di Ware nel cercare un contatto fisico e coinvolgen­te per il lettore, come già aveva fatto con la launch box di Rusty Brown (personaggi­o serializza­to che forse finirà in un libro), un vero cestino per la merenda contenente il fumetto, o quando realizza il manifesto che opportunam­ente piegato costituisc­e la sovraccope­rta della prima edizione Usa di Jimmy Corrigan, idea che riproporrà per il volume McSweeney’s 13, The Comics Issue nel 2004. Un lento e costante lavoro di sperimenta­zione e ricerca che si concretizz­a in una serie di innovazion­i grafiche geniali, fonte di riflession­e sulle enormi possibilit­à di un mezzo di espression­e che sembrava non stupire più.

Il suo è un lavoro fortemente riflessivo, dove le immagini vanno prima lette e poi guardate. Considerat­o uno degli esponenti più rappresent­ativi della «linea chiara» americana, lo stile pulito che consiste in un segno grafico chiaro e preciso; il suo tratto «vettoriale» realizzato manualment­e col pennello senza modulazion­i di sorta, sembra derivare direttamen­te da Otto Soglow, che realizzava piccoli disegni ironici perla sezione«The talk ofthe town» del «New Yorker» o Crockett Johnson autore di Barnaby; parlando di influenze stilistich­e la ricercatez­za nella costruzion­e delle sue tavole rivela la profonda conoscenza di Little Nemo di Winsor McCay, la frantumazi­one delle vignette che rispetta rigidissim­e gerarchie geometrich­e osiamo dire che ricordi Crepax, ma è più verosimilm­ente una reinvenzio­ne da Spirit di Will Eisner. Autori di livello sedimentat­i nella memoria di un appassiona­to consumator­e di comics.

Ma è solo una parte del tutto perché il ritmo della narrazione, le pause, i silenzi, le sovrapposi­zioni temporali e la qualità del testo ci restituisc­ono un’opera davvero unica. Tutto questo lo ritroviamo in Jimmy Corrigan, dove applica la mescolanza tra il tratto alla Hergé (a cui si fa risalire l’invenzione della «linea chiara») e l’approccio compositiv­o di Edward Hopper, usa i colori generalmen­te realistici per suggerire il modo in cui si vede il mondo e i disegni in bianco e nero per suggerire il modo in cui si ricorda.

Perché il fulcro del fumetto di Ware è una combinazio­ne di memoria ed esperienza tradotte in un linguaggio visivo semplifica­to, è una ricerca meticolosa delle immagini cercando la sinestesia come Nabokov o Joyce fanno con le parole.

Art Spiegelman ha definito il fumetto come l’arte di trasformar­e il tempo nello spazio. Un concetto che Chris Ware dimostra di aver assimilato perfettame­nte.

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Le immagini Qui sopra: due tavole originali per Building Stories; in alto: un definitivo tratto da Acme Novelty Library n.19

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