Corriere della Sera - La Lettura
Nel castello di carte di Don Giovanni
Fornasetti, un (ex) rockettaro incontra il seduttore di Mozart «Costumi impalpabili, parrucche d’aria. E le mani del desiderio»
Lirica Atteso in dicembre a Milano e Firenze l’allestimento dell’opera curato dall’artista e designer con la direzione creativa di Romeo Gigli
La metafisica si addice al Don Giovanni di Mozart, modello per Kierkegaard o per chiunque intenda le pulsioni del seduttore come categorie dello spirito o tragedie dell’anima. Per questo sembra quasi un destino l’incontro fra il capolavoro del salisburghese e due maestri della più alta creatività italiana, Barnaba Fornasetti (figlio di Piero) e Romeo Gigli. Genio del décor e poesia della moda si intrecciano ora alle note di Mozart per dar vita a un Don Giovanni speciale, da dicembre in scena a Milano e a Firenze: edizione in cui Fornasetti firma progetto e scenografia, Gigli direzione creativa e costumi.
Una figurazione sovratemporale, celebre nel mondo con le sue icone dal tratteggio minuto, sposa, a sorpresa, una lettura musicale di taglio filologico: Simone Toni, alla guida dell’orchestra «Silete Venti!», ripropone la prima esecuzione dell’opera (Praga, 29 ottobre 1787), secondo l’autografo, in una ricerca di fedeltà che va dalla disposizione degli orchestrali (schierati ai due lati di un leggio unico) agli strumenti dell’epoca. A un artigiano praghese, Paul McNulty, Fornasetti ha infatti commissionato la ricostruzione esatta del fortepiano Walter 1782 usato da Mozart, e ha decorato la replica con un tripudio di icone fornasettiane, un intrico di foglie, un serpente che vi s’insinua, una teoria di mani lungo i bordi…
Allo specchio del presente, l’antico si intreccia all’universale, seguendo una fascina- zione improvvisa, scaturita dalla magia della musica: «Ho scoperto l’opera a sessant’anni. Da rockettaro — confessa Fornasetti a “la Lettura” — non avevo mai valutato la lirica, scansata per tutta la vita come un po’ noiosa; anche se mio nonno era un patito melomane, cantava da baritono e aveva il sogno che, dei suoi quattro figli, almeno due fossero musicisti, che un maschio diventasse compositore o direttore o scrivesse un’opera… Una delle figlie, invece, impazzì al momento del diploma in pianoforte. Un motivo familiare, questo, che forse ci ha tenuti lontani dall’opera».
Ora, la svolta. Per «decorare» le scene del suo Don Giovanni, Fornasetti ha attinto all’immenso archivio dell’illustre dinastia creativa: «Era da tempo che sognavo di portare l’immaginario fornasettiano al di là dell’oggetto d’uso e di realizzare qualcosa di fruibile anche da un pubblico diverso. Ci siamo chiesti: come rendere Don Giovanni contemporaneo? È stato rappresentato in tutti i modi possibili. Ebbene, tornando alle radici, alla versione originale, quest’opera ci è parsa ancora più contemporanea».
«Con le scene e i costumi — spiega a “la Lettura” Romeo Gigli — abbiamo voluto trasmettere un’idea di libertà creativa. I costumi occhieggiano il periodo in cui l’opera è stata immaginata ma se ne allontanano completamente: diventano pop e postmoderni, pur riconoscendo i tratti che riportano la visione dell’opera al suo tempo. Nulla manca di ciò che all’epoca era la costruzione fondamentale della rappresentazione, riletta però secondo una visione contemporanea».
Cosa vedremo? «Parrucche aeree, fatte d’aria, tutto impalpabile, all’insegna della leggerezza», continua Gigli. Leggerezza ed essenzialità domineranno una grande retroproiezione e, su pannelli mobili, trentaquaranta scene diverse, decorate con le icone di Fornasetti e mosse da elfi-servitori, «come creature sognate — continua Gigli — al di fuori del tempo, ectoplasmi che si muovono, però, in modo plastico».
Una levità carica di simboli: «Abiti femminili con grandi gonne, ma non di crinoline, bensì cerchi, nubi: il ricordo che il grande costume esiste, anche se sminuzzato e aereo». Qualche esempio? «Donna Anna, nella prima scena ha un’altissima parrucca rossa, un abito di chiffon infinito, che vola; ma nel momento in cui è in lutto, parrucca e abito si sporcano con pennellate di nero. Don Giovanni veste una sorta di frac o marsina in un materiale che contiene acciaio, gualcito, con sottili pennellate di bianco, come una gessatura inglese, ma “rotta”. Ha del sangue che cola sulle spalle, le code arricciate come un piccolo demonio. I suoi colori sono il verde-veleno sulla spalla e sul cache-col, il viola della gelosia sulla camicia. Masetto, Zerlina e i contadini saranno vestiti come paesani spagnoli d’un Settecento trasportato nel Duemila, tra un apparir di sole e i colori della terra, gilet di paglia, tacchi di bambù. I nobili al ballo avranno, come maschere, veli di ciré, tessuto che sembra laccato, nero, lucidissimo: un ricordo del Settecento, ma futuribile...».
Tra i décor fornasettiani, alcuni sono classici, altri meno. «Ogni scena — aggiunge Fornasetti — ha un significato. La statua del Commendatore, ad esempio, assai a rischio kitsch, non sarà una statua, ma uno schizzo a penna di mio padre, un putto che scolpisce una statua. Ci saranno poi metafisiche carte da gioco, nell’ouverture, castelli di carte che si trasformano in un’architettura fantastica, grattacieli di carte nel deserto, per dire che il mondo costruito da Don Giovanni è un mondo di carta e crolla su se stesso. Nell’aria del catalogo di Leporello, una fisarmonica di fogli che cadono dall’alto, al ritmo della musica, e sui fogli tante donne diverse. Don Giovanni, a torso nudo, visto di fronte, tiene in equilibrio aste e visi di donna, surreale giocoliere che gioca con le femmine. Volto maschile e volto femminile fin dall’inizio si fronteggiano, a simboleggiare uno scontro di generi, essenziale in quest’opera; un bouquet di fiori si apre e diventa come una capigliatura floreale, poi i fiori cadono, si rompono e si trasformano in profili umani, in un gioco surreale di scomposizione; mille mani, su una silhouette o sul fortepiano, sono le mani di lui, le mani del desiderio…».