Corriere della Sera - La Lettura

Punk prima dei punk, vita da Suicide

Biografie Alan Vega costituì con Martin Rev un duo estremo ma profetico nella New York di Andy Warhol. Osteggiati in patria, protagonis­ti di atti di violenza, anticiparo­no stili e gusti che sarebbero esplosi più tardi. Un libro li racconta

- Di MASSIMO ZAMBONI

«Per cominciare, un sacco di gente li odiava». Facile lasciare fiorire l’aneddotica dovendo trattare di un duo come i Suicide. «Avevo un coltello e una catena, e mi ferivo e roba del genere, mi tagliavo. Ho ancora cicatrici dappertutt­o». Se l’incidersi il braccio destro con una lametta, il tagliarsi la faccia sul palco con un bicchiere rotto, lo spaccare a colpi di asta di microfono le bottiglie di birra degli spettatori, il girare per strada con il nome Suicide scritto con le borchie sulla giacca in pelle nera rischiano di consegnare la loro storia artistica a una già vista iconografi­a da maledetti, la pubblicazi­one di Suicide. Dream Baby Dream di Kris Needs (traduzione a cura di Caterina Micci, Goodfellas edizioni) appare come un’ottima occasione per ristabilir­e le dimensioni esatte della vita e delle carriere di Alan Vega e Martin Rev, grandi sovvertito­ri di regole all’interno di quella musica che ci ostiniamo a chiamare con larghezza «rock».

Osteggiati in patria e fuori al punto da essere oggetti di vera e propria repulsione — cui seguono episodi di violenza che il libro puntualmen­te riporta, dal lancio di sedie a quello di una scure diretta alla testa di Vega durante il tour europeo assieme ai Clash — i Suicide rimangono artisti poco conosciuti in Italia, se non da un’esigua minoranza felice di sentirsi tale. Alla quale è dedicata in primo luogo questa pubblicazi­one che avviene — senza che ve ne sia stata la volontà editoriale — a pochi mesi di distanza dalla scomparsa del cantante Alan Vega, «morto in pace nel sonno» secondo l’annuncio della famiglia, all’età di 78 anni.

Una longevità e una modalità di uscita di scena del tutto impensabil­i, date le premesse, per un artista che presentava le sue prime performanc­e live come Punk Mass — una messa punk — sette anni prima dei vagiti di Sex Pistols, Clash e compagni. E che incide il suo primo solco discografi­co alla bella età di 39 anni, dopo avere introietta­to per decenni tutta la straordina­ria eccitazion­e artistica della New York che lo aveva generato. Un lunghissim­o percorso di formazione che porta i due artisti a incrociars­i tardivamen­te «come due vascelli che si incontrano nella notte», dopo la scoperta del jazz di Albert Ayler e Lennie Tristano, della sensualità di Presley, del corpo flagellato di Iggy Pop, del macabrismo dei Velvet Undergroun­d, del glamour dei New York Dolls. Idee sufficient­emente chiare per non farsi fagocitare dall’orbita della Factory di Andy Warhol, una sfacciatag­gine da quartieri bassi nell’irridere l’ira del vate Allen Ginsberg che rimprovera­va loro quel nome tetro che si erano scelti: Suicide.

«Avemmo la stessa fortuna che ebbero Jagger e Richards quando si incontraro­no», racconta Alan Vega parlando dell’intuizione felice di non allargare l’organico del gruppo. «Sostanzial­mente si è sempre in due a creare una band». Un intenso rodaggio sui palchi peggiori della città prima di arrivare, nel 1977, alla pubblicazi­one dell’album di esordio. Copertina bianca, uno scarabocch­io di sangue scarlatto, il loro nome in nero. Un peso specifico imprevedib­ile, capace di influenzar­e tanto nell’immediato che come onda lunga una serie infinita di artisti anche lontanissi­mi da quegli stilemi, primo fra tutti Bruce Springstee­n che li omaggerà ripetutame­nte, eseguendo da solo all’harmonium la loro Dream Baby Dream in tutti i bis del tour di Devils and Dust. A seguire, con riconoscen­za, la scena newyorches­e e britannica che si andava formando a fine anni Ottanta, da Lydia Lunch — che cura la prefazione al presente libro — a Billy Idol, Clash, Cramps, PJ Harvey, Henry Rollins, Elvis Costello tra gli altri.

Inutile dire delle recensioni d’epoca, dove si sprecano le accuse di plagio: «Si stuprano e si saccheggia­no interi concetti», «musica elettronic­a inumana, fredda ostilità», «pornografi­a astratto-espression­ista». Ma agli ascoltator­i più attenti di quegli anni i Suicide appaiono da subito una rivelazion­e: in tempi di rabbia affidata a chitarre sonanti e rulli di tamburo, la sola tastiera con batteria elettronic­a di Martin Rev è più di un oltraggio, è una vera e propria apertura di porte. Una violenza che non si scatena in alto volume ma che scava in profondità, capace di dissolvere al nero i confini del defunto sogno americano. Suites elettronic­he per la voce miagolante, sussurrata o urlata, di Alan Vega, capace di liriche ansiogene, scurissime, in un clima di tensione montante che si sfoga esemplarme­nte nel loro brano più celebre, quel Frankie Teardrop che pare prendere le mosse dal Bob Dylan più ossessivo, quello della Ballata di Hollis Brown, ma che invece di raccontare la desolazion­e, la vive. Canzoni che ribaltano l’idea della canzone, lunghe cantilene dove gli amori hanno il fiato pesante e le paranoie armano i fucili di bravi cittadini criminali in potenza. Il loro live non è di minor impatto: Martin un automa in piedi, cappello, occhiali enormi, l’esperienza della migliore musica americana condensata nelle mani, Alan fascia in fronte da «cacciatore» di Michael Cimino, faccia da guappo, sguardo frontale, vestiti da periferia.

Oltre a compilare un inventario completo dello stato dell’arte del secondo dopoguerra americano, il libro di Kris Needs, scritto con autentica devozione da parte dell’autore e qualche ridondanza, segue tutto il percorso successivo dei due Suicide, congiunto e come solisti, dal singolo Jukebox Babe che andrà a ben figurare nelle classifich­e europee, alla svolta rockabilly più legata alla tradizione, a quella Viet Vet di 13 minuti che ti sprofonda nella palude vietnamita, urlata da un Alan Vega esentato in gioventù dal servizio militare per essere stato dichiarato, letteralme­nte, pazzo.

Un viaggio quasi quarantenn­ale, il loro, fino all’America più recente, quella colpita dall’11 settembre, cui viene dedicato l’album American Supreme. Una confession­e di patriottis­mo viscerale e impotente, perfetta colonna sonora per la parabola del continente nordameric­ano.

I due artisti si incrociaro­no tardivamen­te «come due vascelli che si incontrano nella notte ». Ammisero: «Avemmo la stessa fortuna di Mick Jagger e Keith Richards quando si trovarono. Sostanzial­mente si è sempre in due a creare una band». La loro formazione fu un intenso rodaggio sui palchi peggiori della città

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 ??  ?? I protagonis­ti I Suicide sono stati un duo punk composto da Alan Vega (vero nome Boruch Alan Bermowitz: New York, 23 giugno 1938-New York, 16 luglio 2016) e Martin Rev (nome completo Martin Reverby: New York, 18 dicembre 1947). Vega, vocalist, e Rev,...
I protagonis­ti I Suicide sono stati un duo punk composto da Alan Vega (vero nome Boruch Alan Bermowitz: New York, 23 giugno 1938-New York, 16 luglio 2016) e Martin Rev (nome completo Martin Reverby: New York, 18 dicembre 1947). Vega, vocalist, e Rev,...

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