Corriere della Sera - La Lettura

« In salvo a stento quando è esplosa la crisi dei mutui»

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«Non ho mai incontrato Josh Kline prima di questa esperienza. Sapevo che lavorava a un progetto artistico proprio qui a Baltimora. L’ho conosciuto attraverso un amico che fa il produttore televisivo. Un agente gli disse che Josh cercava modelli per le sue opere. Non classici modelli, più che altro persone disoccupat­e. E io all’epoca non avevo un lavoro. Credo che Josh cercasse un cassiere, almeno inizialmen­te, qualcuno che lavorasse in quel settore. Il mio nome è Matthew Dickinson. Ho 39 anni. Sono sposato e ho una bambina di cinque anni, Nola. Viviamo a Baltimora, Maryland. La mia famiglia è originaria di Charleston, South Carolina. Mio padre era nell’esercito. Per questo sono stato a lungo in giro. La mia è una famiglia religiosa. Io no. Il Sud è tecnicamen­te il posto da dove vengo, anche se non mi riconosco molto in questa parte di America. Sono nato in Colorado. Ho vissuto in Germania per tre anni negli anni Ottanta. Mio padre era stato trasferito lì. Ho frequentat­o scuole diverse per via dell’occupazion­e di mio padre. Ho un fratello più grande. Dal 2000 vivo a Baltimora. Mi considero la pecora nera della famiglia. Un outsider. Amo l’arte. Ho studiato fotografia alla University of Maryland, non lontana da Baltimora. Ho fatto il fotografo freelance per diverso tempo, passando da un lavoro all’altro. Vivevo quella che possiamo considerar­e una vita da bohémien. Fino a quando non ho incontrato la mia futura moglie. Da lì la vita è cambiata, ho cominciato a prendere le cose molto più seriamente. A un certo punto ho detto ok, è il momento di trovare un lavoro con uno stipendio fisso. Ho cominciato nell’ambito commercial­e. La mia prima posizione lavorativa è stata alla Wells Fargo, una compagnia di servizi finanziari. Avevo intenzione di sposarmi di lì a poco e quel genere di lavoro faceva al caso mio. Ho cominciato con una sostituzio­ne maternità, che negli Stati Uniti dura tre mesi. Era un’occasione per imparare un mestiere. Accettai. Era novembre 2007. Stava per esplodere la crisi dei mutui subprime e il mercato cominciava ad andare male. Sono sopravviss­uto a stento durante il primo periodo lavorativo. Ero poco preparato per quel mondo. Lo sa come funziona? Per i primi tre mesi ti danno uno stipendio di duemila dollari al mese, una sorta di incentivo. Dopo quel periodo le cose cambiano. Quei duemila dollari non sono più veramente soldi tuoi. È come se fosse un prestito del datore di lavoro. Se non chiudi nessun contratto con un cliente sei tu che devi quei soldi alla compagnia. Avevo trent’anni. Ho lavorato alla Wells Fargo per quattro anni e mezzo; poi un anno e mezzo alla Citybank e in seguito per altre piccole compagnie. Ho lavorato soprattutt­o nell’ambito dei mutui da novembre 2007 a giugno 2015. Sono stato disoccupat­o da giugno 2015 a febbraio 2016. Sono tornato a lavorare nel settore finanziari­o per un paio di mesi. Oggi lavoro ancora nell’ambito commercial­e, a tempo pieno. Guadagno 65 mila dollari, due terzi di quello che guadagnavo prima. La mia famiglia ha votato Trump. Io e i miei amici siamo devastati e anche molto arrabbiati. Tuttavia la mia vita è qui. Non c’è motivo di pensare a emigrare — dopo tutto amo dove sono nato — e tuttavia se dovesse capitarmi un’occasione credo proprio che non direi di no».

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