Corriere della Sera - La Lettura
Fabio Volo Che fine hanno fatto i sogni dei ragazzi
Arrivato a 44 anni, l’attorescrittoreconduttore torna in libreria con «A cosa servono i desideri», un viaggio nella galassia di ambizioni, speranze e sfide della sua vita e di un’intera generazione: la frattura tra la provincia e le seduzioni della città,
Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza e nemmeno un «like», manco un cuoricino su Instagram a ricordarci quell’eroismo da cameretta dove l’adolescenza ci ha rinchiuso per giorni, settimane, anni, in ostaggio dei sogni. Non c’era nemmeno il sollievo della condivisione su Facebook, privilegio dei giovanissimi sognatori di oggi: le ambizioni postate assomigliano meno ad ambizioni sbagliate.
Però nello sguardo retrospettivo dei quarantenni c’è un vantaggio: proprio perché quei desideri non li abbiamo condivisi né sciolti in quel fiume di parole scritte che è la rete, proprio perché ne abbiamo vissuto le contraddizioni sulla nostra pelle, spesso in solitudine, oggi sembrano più vividi, quasi veri. Quasi seri. Da uomo intelligente e che (a differenza di molti critici) presta ascolto alla gente, Fabio Volo questo lo sa. E così, negli anni, ha creato un codice molto particolare, che cuce velleità e realtà, alto e basso, Khalil Gibran e la cotta di Serena da Parma per il biondino della Terza C.
Questo ascensore, che eleva i sentimenti più elementari (la gelosia, la mancanza, il rancore, l’affetto) a grandi tragedie narrative, ha una natura trasversale. Cioè seduce sia i giovanissimi, assuefatti all’aforisma, alla riduzione delle grandezze in 140 caratteri, sia i quarantenni, perché Volo insiste su un messaggio sublimi- nale e dirompente: la purezza dei sogni personali opposta alla torbidezza di una società che di mestiere i sogni li uccide. E i quarantenni, appunto, quei sogni li sentono ancora vivissimi e immacolati: ce li ricordiamo uno a uno, quasi stampigliati sui muri accanto ai poster di Madonna e di Simon Le Bon. Oppure tracciati con il pennarello sugli zaini, sui bagni delle scuole, incisi sotto al banco. Noi, quelle aspirazioni, che nel ricordo si fondono con qualche citazione tratta dai Doors (non a caso Jim Morrison ancora oggi è una miniera per Twitter) o dai Pink Floyd, potremmo chiamarle per nome.
Così, in questo nuovo libro, A cosa servono i desideri, sin dal titolo il quar ant(aquattr)en ne Volo,ri percorrendola sua vita e la sua carriera, elenca la costellazione di ambizioni nella quale si è allineata, crescendo, un’intera generazione: la provincia e l’aspirazione, che fa molto anni Ottanta-Novanta, di conquistare le grandi città; la paura di lasciare la famiglia e i compagni (all’epoca non c’erano Twitter e compagnia a farti sentire meno solo nelle partenze); il timore dell’insuccesso e del ridicolo, paure che oggi vengono stemperate da un continuo confronto mediatico con gli altri; il rapporto molto più stretto con gli amici, perché non mediato dai messaggi e dalle chat.
C’era la famiglia in quei desideri? Poca. Attraverso le canzoni, i film e la televisione, ci arrivava un mondo da conquistare con uno slancio individuale, come quello