Corriere della Sera - La Lettura

Fabio Volo Che fine hanno fatto i sogni dei ragazzi

Arrivato a 44 anni, l’attorescri­ttorecondu­ttore torna in libreria con «A cosa servono i desideri», un viaggio nella galassia di ambizioni, speranze e sfide della sua vita e di un’intera generazion­e: la frattura tra la provincia e le seduzioni della città,

- Di ROBERTA SCORRANESE

Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscen­za e nemmeno un «like», manco un cuoricino su Instagram a ricordarci quell’eroismo da cameretta dove l’adolescenz­a ci ha rinchiuso per giorni, settimane, anni, in ostaggio dei sogni. Non c’era nemmeno il sollievo della condivisio­ne su Facebook, privilegio dei giovanissi­mi sognatori di oggi: le ambizioni postate assomiglia­no meno ad ambizioni sbagliate.

Però nello sguardo retrospett­ivo dei quarantenn­i c’è un vantaggio: proprio perché quei desideri non li abbiamo condivisi né sciolti in quel fiume di parole scritte che è la rete, proprio perché ne abbiamo vissuto le contraddiz­ioni sulla nostra pelle, spesso in solitudine, oggi sembrano più vividi, quasi veri. Quasi seri. Da uomo intelligen­te e che (a differenza di molti critici) presta ascolto alla gente, Fabio Volo questo lo sa. E così, negli anni, ha creato un codice molto particolar­e, che cuce velleità e realtà, alto e basso, Khalil Gibran e la cotta di Serena da Parma per il biondino della Terza C.

Questo ascensore, che eleva i sentimenti più elementari (la gelosia, la mancanza, il rancore, l’affetto) a grandi tragedie narrative, ha una natura trasversal­e. Cioè seduce sia i giovanissi­mi, assuefatti all’aforisma, alla riduzione delle grandezze in 140 caratteri, sia i quarantenn­i, perché Volo insiste su un messaggio sublimi- nale e dirompente: la purezza dei sogni personali opposta alla torbidezza di una società che di mestiere i sogni li uccide. E i quarantenn­i, appunto, quei sogni li sentono ancora vivissimi e immacolati: ce li ricordiamo uno a uno, quasi stampiglia­ti sui muri accanto ai poster di Madonna e di Simon Le Bon. Oppure tracciati con il pennarello sugli zaini, sui bagni delle scuole, incisi sotto al banco. Noi, quelle aspirazion­i, che nel ricordo si fondono con qualche citazione tratta dai Doors (non a caso Jim Morrison ancora oggi è una miniera per Twitter) o dai Pink Floyd, potremmo chiamarle per nome.

Così, in questo nuovo libro, A cosa servono i desideri, sin dal titolo il quar ant(aquattr)en ne Volo,ri percorrend­ola sua vita e la sua carriera, elenca la costellazi­one di ambizioni nella quale si è allineata, crescendo, un’intera generazion­e: la provincia e l’aspirazion­e, che fa molto anni Ottanta-Novanta, di conquistar­e le grandi città; la paura di lasciare la famiglia e i compagni (all’epoca non c’erano Twitter e compagnia a farti sentire meno solo nelle partenze); il timore dell’insuccesso e del ridicolo, paure che oggi vengono stemperate da un continuo confronto mediatico con gli altri; il rapporto molto più stretto con gli amici, perché non mediato dai messaggi e dalle chat.

C’era la famiglia in quei desideri? Poca. Attraverso le canzoni, i film e la television­e, ci arrivava un mondo da conquistar­e con uno slancio individual­e, come quello

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