Corriere della Sera - La Lettura

Io sono la lingua che parlo Il riscatto dell’Africa inizia così

- Di ALESSIA RASTELLI

«Gitogo si ricordò improvvisa­mente della vecchia madre sola nella capanna. Con l’occhio della mente distinse vivide immagini di atrocità e di sangue. Si precipitò fuori per la porta di servizio. Solo i suoi muscoli l’avrebbero protetta. Non si avvide di un bianco, in tuta mimetica, nascosto in un boschetto. “Alt!” urlò il bianco. Gitogo continuò a correre. Qualcosa lo colpì alla schiena. Gettò per aria le braccia. Cadde sul petto. La pallottola lo aveva colpito al cuore».

Gitogo non sentì l’ordine di fermarsi perché era sordo. Come il fratellast­ro di Ngugi wa Thiong’o, poeta, scrittore e drammaturg­o keniota, tra i principali autori della letteratur­a africana, pochi mesi fa nel toto-nomi per il Nobel poi assegnato a Bob Dylan. Nato nel 1938 a Kamirithu, villaggio a nord di Nairobi, Ngugi ha vissuto il colonialis­mo britannico e la rivolta dei Mau Mau, del cui movimento «per la terra e la libertà» sorto tra i kikuyu del Kenya — la principale etnia — il fratellast­ro fece parte. Finì ucciso, ispirando una decina di anni dopo, nel 1967, le appassiona­te pagine sulla morte di Gitogo nel romanzo Un chicco di grano (Jaca Book, come gli altri libri dell’autore tradotti finora in Italia).

Dopo l’indipenden­za (1963) a Ngugi toccò conoscere anche il dispotismo, la violenza e la corruzione del nuovo Kenya, comunque filobritan­nico, sotto Jomo Kenyatta e poi Daniel Arap Moi. Nel 1977 finì in carcere, quindi fu costretto all’esilio volontario. L’arma più temuta era la critica contenuta nelle sue opere. E l’uso della lingua: l’intellettu­ale infatti abbandonò l’inglese e il nome coloniale «James Ngugi» per assumere quello attuale, in kikuyu, che divenne l’idioma dei suoi testi. Nel 1977 in prigione, su fogli di carta igienica, redasse Caitaani mutharaba-Ini (Diavolo in croce), il primo romanzo nella lingua nativa. «Furono i momenti peggiori della mia vita — racconta a “la Lettura” da Irvine, California, dove vive e insegna Letteratur­e comparate —: dovetti separarmi dalla mia famiglia, dai miei figli. Ma rifiutai di soccombere alla disperazio­ne. Speranza, speranza e ancora speranza. Lì trovai consolazio­ne, specie quando da quella speranza nacque il libro».

Dal 1982 Ngugi vive negli Stati Uniti e solo da pochi anni può rientrare in Kenya senza rischi. In tutti questi anni l’Africa non lo ha mai abbandonat­o.

La scelta dell’idioma nativo trova una teorizzazi­one nel saggio del 1986 Decolonizz­are la mente, in cui so-

«Dal punto di vista democratic­o si sono fatti in realtà dei passi avanti, anche se certo non siamo al livello cui dovremmo essere. In Kenya, ad esempio, io rientrai per la prima volta nel 2003 ma venni attaccato con mia moglie da uomini armati. L’anno scorso invece sono stato ricevuto dal presidente Uhuru Kenyatta. Lo spazio democratic­o si sta aprendo e questo è incoraggia­nte. Quanto alle guerre il tema è: chi rifornisce gli eserciti combattent­i con le armi di ultimo modello? I fabbricant­i occidental­i guadagnano molto da questi conflitti. Divisioni di qualunque tipo basate sulla religione o la fede, invece, non fanno bene all’Africa. Io credo nell’unicità dell’universo e dell’umanità».

La popolazion­e africana ha un’età media di 19 anni e sei mesi. In molti emigrano, per le guerre, oppure, come nel caso dell’Eritrea, per sfuggire a un servizio militare diventato una nuova schiavitù. Non sarebbero, invece, la forza produttiva della nuova Africa?

«Fino a che le nostre ricche risorse saranno controllat­e dalle corporatio­n occidental­i, il popolo africano, giovane o vecchio, continuerà a soffrire di sottosvilu­ppo».

Ma come iniziare a controllar­le direttamen­te? Servirebbe una nuova classe dirigente africana? Quella attuale è molto più anziana di chi emigra...

«La rinascita può venire solo dal popolo che, come dicevo, deve affrancars­i economicam­ente, politicame­nte, culturalme­nte, psicologic­amente. I progressi in questi ambiti vanno di pari passo e possono diventare la vera sfida di una nuova classe dirigente che del popolo sia il riflesso. L’Africa e gli africani sono sopravviss­uti ai traumi della schiavitù e del colonialis­mo. L’Africa crescerà, e crescerà, e crescerà...».

Alla fine di gennaio si terrà il vertice dell’Unione africana in cui verrà scelto il nuovo presidente. È possibile una linea condivisa che non sia solo formale?

«L’unità è la sola via per liberarsi dal dominio delle grandi aziende occidental­i. Ma non può essere solo un’Unione di leader; deve essere appunto un’Unione dei popoli d’Africa che si rifletta nelle loro leadership».

Che cosa pensa del modo in cui l’Europa sta affrontand­o i flussi migratori dall’Africa?

«Nella storia, non c’è un continente da cui siano partiti tanti migranti verso le terre di altri popoli come dall’Europa. Dovrebbe essere l’ultima a lamentarsi per i flussi dal-

 ??  ?? Maschera-cimiero in legno con un corpo rettangola­re, la testa di uomo e la coda di cavallo. Sopra la coda (qui accanto): l’oggetto simbolo della mostra, mascheraci­miero in legno a forma di uccello che porta sul dorso due uccelli, due donne, un uomo...
Maschera-cimiero in legno con un corpo rettangola­re, la testa di uomo e la coda di cavallo. Sopra la coda (qui accanto): l’oggetto simbolo della mostra, mascheraci­miero in legno a forma di uccello che porta sul dorso due uccelli, due donne, un uomo...

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