Corriere della Sera - La Lettura
Ma quale isolamento: millenni di strade
Al museo sulle arti primitive Jacques Chirac - Quai Branly di Parigi, il 31 gennaio si apre l’esposizione L’Afrique des routes, l’Africa delle strade o delle rotte, 300 pezzi tra sculture, pezzi d’artigianato e dipinti che testimoniano dei rapporti intensi tra il continente e le altre regioni del globo. Un luogo comune pretende che l’Africa sia rimasta isolata per secoli, e questa convinzione è sembrata essere alla base anche dell’intervento dell’allora presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy quando, anni fa a Dakar, pronunciò un discorso — rimasto celebre per le critiche e le polemiche — nel quale sosteneva che «l’Uomo africano non è entrato nella Storia». La mostra al museo del Quai Branly vuole dimostrare il contrario: da 5 millenni prima di Cristo a oggi, attraverso le rotte fluviali, terrestri o marittime, l’Africa è stata ed è al centro degli scambi con l’Europa e l’America. Dall’arte rupestre del Sahara alle porcellane cinesi del Madagascar, dai culti africani candomblé dell’America del Sud alle opere di arte contemporanea. La mostra è anche un percorso tra le varie città con le quali noi europei siamo venuti in contatto: da Cartagine a Leptis Magna, da Timbuctu a Benin City, dove i portoghesi entrarono nel 1486 e che nel Seicento divenne più grande di Lisbona. Gli africani hanno sempre avuto rapporti con il resto del mondo perché avevano bisogno di sale, che scambiavano per ferro e oro. L’avorio africano fu importato in Occidente fin dall’antichità ma le relazioni nei due sensi non furono ovviamente solo commerciali. Oltre alla tragedia dello schiavismo, praticato ai danni delle popolazioni subsahariane dagli europei ma anche dai nordafricani, la mostra indaga i rapporti religiosi e spirituali fino alla fioritura artistica contemporanea e alle rotte migratorie che, prima dei drammi degli ultimi anni, portarono in Europa la manodopera della quale le nostre fabbriche avevano bisogno.