Corriere della Sera - La Lettura
Pesa sui popoli l’eredità negativa del colonialismo
Dopo le dittature e l’apartheid la libertà è cresciuta Ma la dipendenza economica rimane e il jihadismo avanza
L’Af r i ca o di e r na co mprende mondi distanti fra loro, con società e storie particolari tanto differenti che ha senso chiedersi se sia possibile leggerle come un insieme coerente. Tuttavia una dinamica unificante è stata quella del dominio europeo, che per alcuni decenni a partire dal tardo Ottocento ha interessato l’intero continente (sole eccezioni Liberia ed Etiopia). È nelle esperienze condivise del dominio coloniale e delle lotte per l’emancipazione che è emersa quella dimensione di identità continentale che ha oggi la sua massima espressione politicoistituzionale nell’UA.
Superata la Seconda guerra mondiale, il colonialismo si avvia al suo crepuscolo. A guidare i movimenti nazionalisti sono le piccole borghesie cresciute all’ombra del dominio europeo. Leader e gruppi influenzati dalle lotte di liberazione dell’Asia rivendicano apertamente la piena emancipazione. La decolonizzazione si sviluppa dagli anni Cinquanta ai Settanta: i decenni successivi vedono contestazioni violente della dimensione nazionale e territoriale di alcuni Stati, tuttavia il quadro territoriale del colonialismo esce puntigliosamente confermato. Del resto la stessa Carta dell ’ Or g a n i z z a z i o n e d e l l ’ Uni t à Af r i c a n a (l’odierna UA) menzionava i vecchi confini dirigista, anche se l’occupazione privatistica dello Stato da parte dei gruppi dirigenti («patrimonialismo»), la soggezione a interessi economici esterni e la corruzione sistemica sono realtà perduranti al di là di adesioni verbali al liberalismo economico.
Il nodo irrisolto del rapporto fra Stato, società e individuo nell’Africa odierna, riassume una serie di questioni cruciali su democrazia, diritti, mercato, controllo delle risorse fondamentali (terra, acqua, ricchezze minerarie, fonti energetiche, manodopera). Sono tutti capitoli di una più generale «questione dello Sviluppo» che sottende il discorso pubblico e vede in certi casi forme anche virulente di reazione ai modelli imposti dalle forme odierne del capitalismo avanzato, egemoniche a livello globale.
L’Africa, già componente importante della rete di rapporti che fondano il mondo moderno a partire dal XV secolo, si ritaglia nel sistema un ruolo nodale come contributrice di manodopera (si pensi alla tratta schiavista negriera) e materie prime a processi di sviluppo che hanno luogo altrove: specie in Europa e America. La conquista coloniale sancisce la piena inclusione nel sistema mondiale, che si rivela tuttavia svantaggiosa per l’Africa, costretta nel suo ruolo di produttrice ed esportatrice a prezzi decisi dall’esterno. La decolonizzazione scalfisce solo superficialmente il rapporto diseguale. La realtà della dipendenza perdura ancora oggi, profondamente interiorizzata dalle società africane stesse e dai loro gruppi dirigenti. La crescita della democrazia in molti Paesi è un dato assodato e apprezzato tanto dalla classe media urbana, oggi numerosa, come dalla popolazione rurale, che tende a sentirsi più inclusa.
Pur nella trionfante subcultura della corruzione, governi eletti e parlamenti che esprimono le istanze del territorio sono percepiti come un’acquisizione preziosa. Tuttavia la nuova classe politica spesso non è in grado di operare scelte indispensabili per superare il paradigma della dipendenza strutturale, si tratti di tassare il capitale, tutelare l’accesso dei coltivatori alla terra e proteggere la produzione agricola alimentare, ovvero di gestire con qualche autonomia reale gli investimenti di base, la cui logica è ancora oggi dominata da interessi esterni legati allo sfruttamento delle materie prime e delle fonti energetiche.
Dissolto ormai il quadro politico-ideologico dei primi decenni d’indipendenza, non si può dire che non si manifestino forme anche veementi di reazione a processi di emarginazione ed esclusione. Lo voglia o meno, l’islamismo radicale, per quanto sia impossibile sorvolare su inaccettabili risvolti di ferocia oscurantista, rappresenta al momento in Africa il filone movimentistico più attivo e gioca ruoli cruciali in molte aree di crisi, saldando vari livelli di conflittualità (locale, nazionale o regionale) alle grandi contrapposizioni di portata globale.
Tuttavia questo tipo di opposizione tanto radicale e alternativa su temi che attengono la posizione dell’individuo nella società e il ruolo dello Stato nel governo etico della società stessa, non dice molto, almeno per ora, in merito a direzione e finalità dei processi di crescita e sviluppo e tantomeno sembra formulare un proprio discorso strategico su come modificare le conseguenze della lunga storia di inclusione svantaggiata dell’Africa nel sistema mondiale.