Corriere della Sera - La Lettura

Pesa sui popoli l’eredità negativa del colonialis­mo

Dopo le dittature e l’apartheid la libertà è cresciuta Ma la dipendenza economica rimane e il jihadismo avanza

- Di PIERLUIGI VALSECCHI

L’Af r i ca o di e r na co mprende mondi distanti fra loro, con società e storie particolar­i tanto differenti che ha senso chiedersi se sia possibile leggerle come un insieme coerente. Tuttavia una dinamica unificante è stata quella del dominio europeo, che per alcuni decenni a partire dal tardo Ottocento ha interessat­o l’intero continente (sole eccezioni Liberia ed Etiopia). È nelle esperienze condivise del dominio coloniale e delle lotte per l’emancipazi­one che è emersa quella dimensione di identità continenta­le che ha oggi la sua massima espression­e politicois­tituzional­e nell’UA.

Superata la Seconda guerra mondiale, il colonialis­mo si avvia al suo crepuscolo. A guidare i movimenti nazionalis­ti sono le piccole borghesie cresciute all’ombra del dominio europeo. Leader e gruppi influenzat­i dalle lotte di liberazion­e dell’Asia rivendican­o apertament­e la piena emancipazi­one. La decolonizz­azione si sviluppa dagli anni Cinquanta ai Settanta: i decenni successivi vedono contestazi­oni violente della dimensione nazionale e territoria­le di alcuni Stati, tuttavia il quadro territoria­le del colonialis­mo esce puntiglios­amente confermato. Del resto la stessa Carta dell ’ Or g a n i z z a z i o n e d e l l ’ Uni t à Af r i c a n a (l’odierna UA) menzionava i vecchi confini dirigista, anche se l’occupazion­e privatisti­ca dello Stato da parte dei gruppi dirigenti («patrimonia­lismo»), la soggezione a interessi economici esterni e la corruzione sistemica sono realtà perduranti al di là di adesioni verbali al liberalism­o economico.

Il nodo irrisolto del rapporto fra Stato, società e individuo nell’Africa odierna, riassume una serie di questioni cruciali su democrazia, diritti, mercato, controllo delle risorse fondamenta­li (terra, acqua, ricchezze minerarie, fonti energetich­e, manodopera). Sono tutti capitoli di una più generale «questione dello Sviluppo» che sottende il discorso pubblico e vede in certi casi forme anche virulente di reazione ai modelli imposti dalle forme odierne del capitalism­o avanzato, egemoniche a livello globale.

L’Africa, già componente importante della rete di rapporti che fondano il mondo moderno a partire dal XV secolo, si ritaglia nel sistema un ruolo nodale come contributr­ice di manodopera (si pensi alla tratta schiavista negriera) e materie prime a processi di sviluppo che hanno luogo altrove: specie in Europa e America. La conquista coloniale sancisce la piena inclusione nel sistema mondiale, che si rivela tuttavia svantaggio­sa per l’Africa, costretta nel suo ruolo di produttric­e ed esportatri­ce a prezzi decisi dall’esterno. La decolonizz­azione scalfisce solo superficia­lmente il rapporto diseguale. La realtà della dipendenza perdura ancora oggi, profondame­nte interioriz­zata dalle società africane stesse e dai loro gruppi dirigenti. La crescita della democrazia in molti Paesi è un dato assodato e apprezzato tanto dalla classe media urbana, oggi numerosa, come dalla popolazion­e rurale, che tende a sentirsi più inclusa.

Pur nella trionfante subcultura della corruzione, governi eletti e parlamenti che esprimono le istanze del territorio sono percepiti come un’acquisizio­ne preziosa. Tuttavia la nuova classe politica spesso non è in grado di operare scelte indispensa­bili per superare il paradigma della dipendenza struttural­e, si tratti di tassare il capitale, tutelare l’accesso dei coltivator­i alla terra e proteggere la produzione agricola alimentare, ovvero di gestire con qualche autonomia reale gli investimen­ti di base, la cui logica è ancora oggi dominata da interessi esterni legati allo sfruttamen­to delle materie prime e delle fonti energetich­e.

Dissolto ormai il quadro politico-ideologico dei primi decenni d’indipenden­za, non si può dire che non si manifestin­o forme anche veementi di reazione a processi di emarginazi­one ed esclusione. Lo voglia o meno, l’islamismo radicale, per quanto sia impossibil­e sorvolare su inaccettab­ili risvolti di ferocia oscurantis­ta, rappresent­a al momento in Africa il filone movimentis­tico più attivo e gioca ruoli cruciali in molte aree di crisi, saldando vari livelli di conflittua­lità (locale, nazionale o regionale) alle grandi contrappos­izioni di portata globale.

Tuttavia questo tipo di opposizion­e tanto radicale e alternativ­a su temi che attengono la posizione dell’individuo nella società e il ruolo dello Stato nel governo etico della società stessa, non dice molto, almeno per ora, in merito a direzione e finalità dei processi di crescita e sviluppo e tantomeno sembra formulare un proprio discorso strategico su come modificare le conseguenz­e della lunga storia di inclusione svantaggia­ta dell’Africa nel sistema mondiale.

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