Corriere della Sera - La Lettura
Automobilista al telefono, accuse a Apple
Due anni fa una bimba è rimasta uccisa in un incidente in Texas. Un guidatore stava parlando su FaceTime. L’azienda è stata querelata per non aver adottato la funzione (già brevettata) che disattiva la app per videochiamate su veicoli in movimento
La scorsa settimana Amazon ha registrato un brevetto per un enorme magazzino volante simile a un dirigibile in grado di distribuire merce usando i droni che l’azienda sta già testando nel Regno Unito. Un progetto ambizioso — e discusso — che potrebbe trasformarsi in realtà. D’altronde, Amazon è la stessa azienda che lo scorso dicembre ha annunciato l’apertura di un negozio in cui i clienti possono entrare, prendere quel che vogliono dagli scaffali e uscire. Senza passare dalla cassa: la transazione avviene ma è invisibile, gestita da un sofisticato sistema di telecamere e intelligenze artificiali. Il dirigibile-magazzino, però, potrebbe anche rimanere una strana fantasia capitalistica, nessuno costringe l’azienda di Seattle — né qualunque altra — a trasformare un brevetto in realtà. Oppure no? Una nuova causa legale negli Stati Uniti tocca proprio questa zona grigia. La vigilia di Natale del 2014, due anni fa, nei pressi di Dallas, James e Bethany Modisette erano in macchina con i loro due figli quando si sono scontrati con un’altra auto, guidata da un uomo impegnato in una videochiamata su FaceTime, l’applicazione di Apple. Nello schianto, una delle loro figlie, Moriah Modisette, 5 anni, ha perso la vita. Da allora la famiglia ha cercato vie legali per punire il guidatore e, adesso, è arrivata a denunciare Apple per non aver reso FaceTime più sicuro.
Nel 2008, infatti, il gigante di Cupertino aveva registrato un brevetto — accettato in seguito dall’Ufficio brevetti statunitense (codice: 8.706.143 del 22 aprile 2014) — che sarebbe stato in grado di «impedire agli automobilisti di usare l’applicazione FaceTime su iPhone durante la guida». Un’opzione che Apple non ha mai implementato e avrebbe potuto salvare la vita della bambina. L’atto d’accusa, pubblicato dal sito specializzato Courthouse News, parla chiaro: «Nonostante la tecnologia fosse disponibile dal 2008 e il brevetto garantisse lo sfruttamento esclusivo della funzionalità per 20 anni, l’accusato (Apple) non è riuscita a implementare un design alternativo e più sicuro che avrebbe bloccato e impedito l’utilizzo di FaceTime».
Siamo in un territorio poco esplorato, all’incrocio tra la sicurezza degli utenti e la ricerca tecnologica. Sono note le lotte legali tra Apple e Samsung, due aziende che registrano molti brevetti accusandosi di furto reciproco d’idee e progetti. Questa frenetica attività nel campo del diritto d’autore è ormai diventata una condizione essenziale per le aziende tecnologiche e digitali, un modo sicuro di bloccare la concorrenza dallo sviluppo di tecnologie che potrebbero cambiare la situazione del mercato.
Tempo fa Apple ha registrato un brevetto per un telefono pieghevole, uno smartphone dallo schermo grande e flessibile. Non è detto che l’iPhone del futuro sarà così ma quella «patente» serve da pedina nel campo dell’innovazione: se qualche altra azienda dovesse sviluppare davvero quella tecnologia e metterla sul mercato, ecco che Apple potrebbe usare il brevetto per fermarla.
Ma torniamo al caso in questione: come funzionerebbe un eventuale «blocco automobilistico» per un’applicazione come FaceTime? A descriverlo è stata Apple stessa nel suo brevetto: «Il meccanismo di blocco annulla l’abilità di un dispositivo manuale di fare certe azioni mentre l’utente è alla guida. In una incarnazione del prodotto, il dispositivo può farlo senza l’esigenza di modifiche o aggiunte all’automobile, utilizzando un analizzatore di moto, un analizzatore ambientale e un meccanismo di blocco. In altri casi, si possono prevedere aggiunte o modifiche al veicolo stesso, incluso l’uso di segnali trasmessi dal veicolo o dalla chiave d’accensione». Una tecnologia possibile, quindi. Ma per quanto interessante e sacrosanto, non è lo sviluppo di questa funzionalità a contare, quanto l’influenza della causa legale nel sordido meccanismo — simile a un gioco di scacchi — dei brevetti tecnologici. È questo a preoccupare le aziende del settore, poiché, in caso di vittoria, la sentenza creerebbe un precedente, rischiando di trasformare i brevetti in promesse quasi vincolanti fatte ai consumatori.
D’altra parte, fino a qualche anno fa, il rapporto tra telefono e distrazione alla guida era riassumibile in due attività: messaggi sms e chiamate. Oggi le possibilità sono illimitate quanto i social network disponibili a chiunque e i telefoni sono diventati smart: hanno la capacità di prevenire l’abuso del mezzo stesso. «Le persone guidano sempre più spesso usando Snapchat, Instagram, FaceTime e Facebook», ha scritto il consulente legale Mark Bello su «The Legal Examiner»: «Il telefono è costantemente al centro delle nostre vite». È inevitabile che abbia un peso anche nella giurisprudenza, basti pensare che il 40% dei divorzi in Italia si basa sui messaggi WhatsApp, secondo l’associazione degli avvocati matrimonialisti. E anche se la comunità legale è ancora divisa sulla vertenza in questione, secondo Kenneth A. Bamberger, professore dell’Università della California, si tratta di una «richiesta legale convincente che si basa sull’uso diffuso di un prodotto che sappiamo comportare un notevole rischio: cerca di capire chi debba contribuire alla diminuzione del rischio stesso», ha spiegato il docente al «New York Times». La discussione avrà ripercussioni diverse su piani differenti: da un lato, spingerà Apple e altre aziende a migliorare la sicurezza dei propri dispositivi e servizi, rimediando ai lunghi ritardi accumulati.
C’è poi una questione più imprevedibile, e riguarda la relazione ormai strettissima tra guida e tecnologia, un argomento di cui si parlerà sempre più spesso, visto il boom delle auto che si guidano da sole. Un nuovo mondo iniziato con gli esperimenti di Google e proseguito con i modelli di Tesla, che ora interessa molti grandi produttori e servizi come Uber.
«Che ruolo deve avere la tecnologia all’interno dei nostri veicoli?» è la domanda a cui questa causa proverà a rispondere. Parte della risposta è già davanti ai nostri occhi: l’automatizzazione renderà il guidatore sempre meno importante, permettendo ai veicoli di funzionare «da soli», comunicando tra di loro. «Chi scrive le regole e di quali nuove regole abbiamo bisogno?» sembra però essere una domanda più calzante. Il Massachusetts Institute of Technology di Boston sta provando a capirlo con un piccolo esperimento online chiamato «Moral Machine», il dilemma morale, in cui i partecipanti devono mettersi nei panni di una macchina auto-guidante e decidere che cosa fare davanti a un bivio o una situazione di pericolo. Per esempio, investire un cane o andare a sbattere contro un muro? Oppure: travolgere un bambino o un anziano?
Quello che è successo alla famiglia Modisette è terribile ma a ben vedere ha poco a che fare con la tecnologia: la colpa dell’incidente è stata dell’autista, un essere umano. L’era degli incidenti «causati» da un computer è appena iniziata, e non sembriamo preparati ad affrontarla.