Corriere della Sera - La Lettura

La sfinita tenerezza degli endecasill­abi

Raccolta tutta l’opera di Luciano Luisi, che ricorre alla metrica della tradizione

- Di DANIELE PICCINI

Ci sono in ogni poeta un dono e un limite che si contendono il campo, che nutrono e insidiano il canto. In Luciano Luisi (Livorno, 1924) si riconosce una suadente vena canora, incarnata nei prediletti versi della tradizione, specie l’endecasill­abo. E c’è da sempre, cioè dagli esordi lontani di Racconto e altri versi (1949), una tenace e quasi dolorante tenerezza: tenerezza per la vita e il suo fragile incanto che unifica da parte a parte una lunga storia poetica (ora raccolta in Tutta l’opera in versi 1944-2015, a cura e con un saggio di Dante Maffia, introduzio­ne di Giuseppe Lan- gella, per i tipi di Aragno).

Fino dal Racconto che intitola il primo libro si fa strada il tema della memoria e del tornare. È un ritorno sempre venato di struggimen­to. Allora era lo schermo doloroso della guerra a separare un prima e un dopo, un tempo colmo e uno di stupita sopravvive­nza («Sopra la nostra amarezza di vivi/ Gesù sei ritornato:/ ora cammini/ sulle macerie — scalzo»). Ma ben presto sono la fiumana del tempo e la morte (con cui il poeta maturo intreccia un umanissimo dialogo) a stendere un velo di distanza da ciò che è sembrato splendere. È così che il tema continuame­nte ritornante dell’addio si incarna in figure: dapprima (altre ne verranno) quella del padre, cantato nella presenza pura della parola («Solo ora lo so che m’hai lasciato:/ il tuo respiro m’aiutava a vivere./ Tu dilatavi questa mia caparbia/ intatta giovinezza col tuo fiato»).

In una celebre poesia, compresa in Dal fondo delle campagne (1965), Mario Luzi invita a «recidere/ il duro filamento d’elegia», per cercare una più ardua compresenz­a. Sembra invece che Luciano Luisi abbia avuto la vocazione di sostare proprio nella sospension­e elegiaca, ritentando il calore, l’abbraccio umano, il suono delle amate voci come erano. Il poeta è tutto nel voltarsi indietro a ricercare la trama perduta. Così accade spesso nella sua opera a proposito della Livorno dell’infanzia. Così accade anche negli ultimi testi inediti, intitolati per l’appunto Gli addii, dedicati alla moglie e alla figlia. Fra essi la Litania, titolo anche caproniano, non è tinnante di rime aperte e ventose, ma piegata sul ritornello di una pena che diventa, umilmente, preghiera.

La speranza prende semmai la forma di un ritrovamen­to, anche se insidiato, così che la statuaria certezza de La Madre di Ungaretti è declinata, in uno dei sonetti della maturità di Luisi, in una forma tanto più incerta e trepidante: «[…] Tu nella borsa// le caramelle affannata cercherai/ per il tuo bimbo, reggendoti i fianchi/ dolenti, ma guardandom­i vedrai// — povera mamma coi capelli bianchi —/ che è più vecchio di te tuo figlio, e avrai/ ferma una lacrima negli occhi stanchi». Il rischio, o se si vuole il limite, di una poesia così orientata, è quello della ripetizion­e, della scrittura occasional­e, quasi diaristica. Forse per questo potrebbe giovare una scelta, più che una raccolta completa; ma qui ha prevalso l’intento, anch’esso giustifica­to, di testimonia­re un intero percorso, tutto concluso nella sigla di «una sfinita tenerezza».

 ??  ?? LUCIANO LUISI Tutta l’opera in versi 1944-2015 A cura e con un saggio di Dante Maffia, introduzio­ne di Giuseppe Langella ARAGNO Pagine 800, € 35
LUCIANO LUISI Tutta l’opera in versi 1944-2015 A cura e con un saggio di Dante Maffia, introduzio­ne di Giuseppe Langella ARAGNO Pagine 800, € 35

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