Corriere della Sera - La Lettura
La sfinita tenerezza degli endecasillabi
Raccolta tutta l’opera di Luciano Luisi, che ricorre alla metrica della tradizione
Ci sono in ogni poeta un dono e un limite che si contendono il campo, che nutrono e insidiano il canto. In Luciano Luisi (Livorno, 1924) si riconosce una suadente vena canora, incarnata nei prediletti versi della tradizione, specie l’endecasillabo. E c’è da sempre, cioè dagli esordi lontani di Racconto e altri versi (1949), una tenace e quasi dolorante tenerezza: tenerezza per la vita e il suo fragile incanto che unifica da parte a parte una lunga storia poetica (ora raccolta in Tutta l’opera in versi 1944-2015, a cura e con un saggio di Dante Maffia, introduzione di Giuseppe Lan- gella, per i tipi di Aragno).
Fino dal Racconto che intitola il primo libro si fa strada il tema della memoria e del tornare. È un ritorno sempre venato di struggimento. Allora era lo schermo doloroso della guerra a separare un prima e un dopo, un tempo colmo e uno di stupita sopravvivenza («Sopra la nostra amarezza di vivi/ Gesù sei ritornato:/ ora cammini/ sulle macerie — scalzo»). Ma ben presto sono la fiumana del tempo e la morte (con cui il poeta maturo intreccia un umanissimo dialogo) a stendere un velo di distanza da ciò che è sembrato splendere. È così che il tema continuamente ritornante dell’addio si incarna in figure: dapprima (altre ne verranno) quella del padre, cantato nella presenza pura della parola («Solo ora lo so che m’hai lasciato:/ il tuo respiro m’aiutava a vivere./ Tu dilatavi questa mia caparbia/ intatta giovinezza col tuo fiato»).
In una celebre poesia, compresa in Dal fondo delle campagne (1965), Mario Luzi invita a «recidere/ il duro filamento d’elegia», per cercare una più ardua compresenza. Sembra invece che Luciano Luisi abbia avuto la vocazione di sostare proprio nella sospensione elegiaca, ritentando il calore, l’abbraccio umano, il suono delle amate voci come erano. Il poeta è tutto nel voltarsi indietro a ricercare la trama perduta. Così accade spesso nella sua opera a proposito della Livorno dell’infanzia. Così accade anche negli ultimi testi inediti, intitolati per l’appunto Gli addii, dedicati alla moglie e alla figlia. Fra essi la Litania, titolo anche caproniano, non è tinnante di rime aperte e ventose, ma piegata sul ritornello di una pena che diventa, umilmente, preghiera.
La speranza prende semmai la forma di un ritrovamento, anche se insidiato, così che la statuaria certezza de La Madre di Ungaretti è declinata, in uno dei sonetti della maturità di Luisi, in una forma tanto più incerta e trepidante: «[…] Tu nella borsa// le caramelle affannata cercherai/ per il tuo bimbo, reggendoti i fianchi/ dolenti, ma guardandomi vedrai// — povera mamma coi capelli bianchi —/ che è più vecchio di te tuo figlio, e avrai/ ferma una lacrima negli occhi stanchi». Il rischio, o se si vuole il limite, di una poesia così orientata, è quello della ripetizione, della scrittura occasionale, quasi diaristica. Forse per questo potrebbe giovare una scelta, più che una raccolta completa; ma qui ha prevalso l’intento, anch’esso giustificato, di testimoniare un intero percorso, tutto concluso nella sigla di «una sfinita tenerezza».