Corriere della Sera - La Lettura
Anche il museo ha il concorso di bellezza
La Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma chiede agli utenti online del sito di votare Miss e Mister Gnam. Un gioco (criticabile ma divertente) al quale non ci siamo sottratti
Deriva trash o tentativo intelligente per provare ad arrivare a un pubblico ampio, non sempre sensibile all’arte? Partiamo dall’inizio: sabato 19 novembre. Il solito pigro zapping. Mi imbatto in Tú sí que vales, talent show in prima serata su Canale 5. Tra i protagonisti di questo remake della Corrida, un personaggio bizzarro, vestito come un clown. Si chiama Paco Cao. Circondato da riproduzioni di tele di van Gogh e Modigliani, annuncia un progetto, già sperimentato nel 2014 per il museo Bellas Artes de Asturias di Oviedo: un concorso di bellezza per eleggere «Miss e Mister Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea 2017». Poi, interviene la direttrice del museo, Cristiana Collu. Che spiega i modi dell’iniziativa: sul sito del museo è stata da qualche tempo ordinata una gallery dove sono raccolti volti di figure maschili e femminili «tratti» da alcune opere della pinacoteca romana, che possono essere votati. Non si indicano i nomi degli artisti.
Chi preferisci tra la dea Minerva e Jane Morris, tra Hanka Zborowska e la Contessa Fini, tra Palma Bucarelli e Isabella Far? E tra Apollo e Alessandro Magno, tra Francesco d’Assisi e Benito Mussolini, tra Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi? Il gioco è proprio questo: 35 ritratti maschili e 35 ritratti femminili da votare entro la fine di gennaio (dunque ormai ci siamo). Da questa prima votazione online verranno selezionati 18 ritratti maschili e 18 femminili che andranno a comporre una mostra allestita alla Gnam dal 20 febbraio. Queste 36 opere saranno di nuovo «eleggibili» (online e nella sede del museo, in via delle Belle Arti, 131) sino a fine marzo, quando verranno proclamati vincitore e vincitrice.
Si tratta di un’esperienza che si iscrive nel percorso di radicale ripensamento di una tra le istituzioni museali più importanti d’Italia, portato avanti, non senza disinvoltura, da Collu, nei mesi scorsi autrice di un controverso, audace e paradossalmente anti-museale riallestimento della collezione permanente. Ulteriore tassello di questo restyling è rappresentato proprio dal concorso di bellezza. Che mira a far discutere e a suscitare polemiche. Trasmettendo un messaggio ambiguo e addirittura pericoloso.
Collu è sorretta dall’esigenza di svecchiare e di democratizzare l’identità del museo, che intende non come spazio chiuso né come approdo ma come piattaforma mobile. Un sistema smart che viene continuamente ri-locato su diversi territori: la produzione di mostre, il riattraversamento di momenti del proprio patrimonio storico-artistico ma anche il confronto con il web. Nella medesima direzione stanno andando molti musei europei. Che tuttavia, nella maggior parte dei casi, ricorrono a modalità didattico-divulgative più sofisticate e, insieme, più «controllate». Quasi contraddicendo l’elitarismo che caratterizza la recente risistemazione della Gnam da lei curata — segnata da accostamenti arbitrari e ingiustificati tra opere lontane — Collu si consegna a una strategia iper-pop, fondata sulla commistione tra alto e basso: sceglie il palcoscenico di un programma televisivo di massa di Canale 5 e si affida a un testimonial macchiettistico come Paco Cao. Il rischio: indebolire l’autorevolezza del museo da lei diretto.
Inoltre, per il concorso appena bandito, Collu recupera una tra le categorie estetiche più inflazionate della nostra epoca come quella di bellezza, ormai svuotata di senso e di spessore: tra le più demonizzate dagli artisti di oggi.
Dunque, un esperimento che va solo criticato? No. Il concorso della Gnam ha anche alcuni meriti. È un divertissement, che replica un meccanismo diffuso tra i visitatori dei musei. I quali, spesso, quando terminano la loro passeggiata, tendono a elaborare una playlist ideale. In una sorta di piccolo canone personale, includono i loro dipinti «del cuore». Li fotografano. E vanno a cercarli tra i poster e le cartoline nei bookshop. Non di rado, la loro attenzione si sofferma su opere dove vengono raffigurati individui. Chi sono? Qual è la loro biografia? Che rapporto hanno avuto con l’artista?
Forse è proprio questo il motivo che ha spinto Paco Cao a selezionare opere accomunate dal darsi come declinazioni diverse di uno tra i generi artistici più amati: il ritratto. Che, ha ricordato Pietro Citati, racchiude in sé l’essenza stessa della pittura, offrendosi come interrogazione intorno all’«essere umano, unico, inconfondibile», nella quale confluiscono estasi, orrore dell’altro, «desiderio di espansione e di illimitatezza». L’auspicio — l’illusione? — è che l’anonimo pubblico del web abbia voglia di andare oltre i like accanto ai di- pinti e alle sculture; di saperne di più; magari decidendo di «incontrare» dal vivo quei dipinti e quelle sculture.
È questa la filosofia sottesa al gioco della Gnam. Al quale anch’io, per «la Lettura», ho deciso di partecipare. Dapprima ho scelto un gruppo più ampio di candidati. Tra le donne, la sospesa Jane Morris di Rossetti, la raffinata fanciulla «fermata» da Corcos, l’austera madre di de Chirico, l’allusiva signora allo specchio di Cagnaccio di San Pietro; tra gli uomini, il materico e rabbioso giardiniere di van Gogh, l’incastro costruttivista di Archipenko, la stratificazione fisiognomica di Consagra, il groviglio anatomico di Chia. Infine, i miei vincitori: la donna attonita di Cagnaccio e la testa decostruita di Consagra.
Divertente. Come lo possono essere una sfida alla PlayStation, la puntata di una serie tv, un talent show. Eppure, non si deve mai confondere la banalizzazione della cultura con l’idea del docere delectando. Certo, bisogna provare a ridisegnare il profilo del museo del XXI secolo, anche imboccando strade inesplorate. Ma attenti al virus della superficialità. Occorre non dimenticare mai che l’arte «chiede» di essere raccontata, semplificata; non involgarita. Proprio nell’epoca dell’intrattenimento a oltranza, essa esige autentica comprensione, rigore, rispetto, serietà. Senza inciampare, però, nelle secche di noiosi approcci filologici.
In un illuminante saggio Theodor W. Adorno ha ricordato che le opere d’arte vanno prese sempre «ferocemente sul serio». Si difende dall’imbarbarimento culturale, aggiungeva il filosofo, «soltanto chi ha depositato all’ingresso del museo, con gli ombrelli e i bastoni da passeggio, i resti della sua ingenuità; chi sa esattamente ciò che vuole, chi si sceglie due o tre quadri e si trattiene dinanzi ad essi concentrandosi come se fossero realmente degli idoli».