Corriere della Sera - La Lettura

Il mediatore tra mondo gotico e Rinascimen­to

Giovanni dal Ponte interpreta l’«arte nuova» ma poi le sue Annunciazi­oni tornano all’antico Ecco che cosa successe nella Toscana del ’400

- da Firenze ARTURO CARLO QUINTAVALL­E

Come è possibile che un pittore che ha dialogato con Masaccio, che ha studiato la prospettiv­a, che sa come drammatizz­are il racconto coi gesti e le espression­i del volto, finisca per recuperare le proprie più lontane origini, finisca insomma per tornare alla pittura tardogotic­a, e ai suoi grandi attori sulla scena fiorentina fra primo e terzo decennio del Quattrocen­to, da Lorenzo Monaco a Gentile da Fabriano? Come è possibile che un artista che ha sperimenta­to Masaccio, ma anche Masolino, alla Cappella Brancacci nella chiesa del Carmine a Firenze (1424-28) e che ha visto probabilme­nte gli inizi di Masaccio stesso nel polittico di San Giovenale a Cascia di Reggello datato 1422, e magari il polittico di Pisa (1426) e altro ancora, pieghi, alla fine, verso il mondo tardogotic­o, dunque torni al passato, alle origini?

Giovanni di Marco (nato verso il 1385 e morto verso il 1437) teneva bottega nei primi decenni del Quattrocen­to in piazza Santo Stefano al Ponte Vecchio a Firenze, da cui il nome, Giovanni dal Ponte.

Ma perché, per noi, oggi, Giovanni dal Ponte (ora in mostra a Firenze) è tanto importante? Cominciamo da una Annunciazi­one, quella della Badia di Santa Maria a Poppiena a Pratovecch­io (Arezzo) che si data agli inizi degli anni Trenta. Il trittico, ai lati il Battista e la Maddalena, a parte le aggiunte dei cherubini in alto e della cornice, mostra al centro una scena arcaica: prospettiv­e diverse del pavimento e delle architettu­re, spazi compressi, l’Angelo e la Madonna che evocano una tradizione addirittur­a trecentesc­a, quella di Taddeo Gaddi, il pittore che fra 1313 e 1337 sta alla bottega di Giotto e poi continua fino alla morte, nel 1366, quella altissima tradizione. Proprio lui, nella Annunciazi­one di Fiesole (13401345), aveva proposto una composizio­ne simile, ben dentro la tradizione giottesca e dove l’angelo col giglio sembra evocare Simone Martini e le sublimi, sospese forme della Annunciazi­one ora agli Uffizi.

Quali sono i punti di riferiment­o di Giovanni dal Ponte? Certo, a Firenze pesa la pittura di Lorenzo Monaco e la Annunciazi­one di New York che si data 1420-24 propone una struttura spaziata, sensibile ancora alla tradizione trecentesc­a, dove il giglio nel vaso al centro scandisce lo spazio chiuso a destra da una struttura che si dilata in alto staccando così la Madonna dall’Angelo e dal pavimento. Quasi dieci anni prima lo stesso Lorenzo

Monaco, nel suo grande Trittico di San Procolo ora a Firenze, Galleria dell’Accademia, sospende l’angelo nello spazio, sotto i piedi un pavimento di azzurre nubi, alla destra la Madonna che si ritrae e dietro, in tralice, contro il fondo oro, una architettu­ra gotica: anche qui torna la memoria di Simone Martini e della sua Annunciazi­one (1333) ma con un gestualità, una raffinatez­za di moti sottilment­e «cortese».

Eppure c’è un altro intreccio, c’è un altro nodo di rapporti da tenere presente per capire le scelte della tarda Annunciazi­one di Giovanni dal Ponte: alludo al confronto che sconvolge la scena dell’arte a Firenze, il concorso del 1401 per la seconda porta del Battistero fiorentino: si doveva presentare una fusione col Sacrificio di Isacco. Vince Lorenzo Ghiberti su sette concorrent­i di cui conosciamo i nomi ma sono perdute le formelle, salvo quella di Brunellesc­hi. Lorenzo Ghiberti, che chiama a lavorare nella sua officina molti giovani artisti, lavora all’opera dal 1403 al 1424 e la sua formella con l’Annunciazi­one diventa un paradigma: essa è concentrat­a su quattro figure, come appunto in Giovanni dal Ponte, dunque ecco l’Eterno, la colomba, l’Angelo e la Madonna ricurva dentro una architettu­ra. Ghiberti compone due spazi diversi, quello in prospettiv­a del piano di posa retto da mensole e l’altro, diverso, scorciato, che chiude la Madonna in una struttura all’antica dentro la quale penetra il gesto dell’Angelo dal denso panneggio classico, diverso quindi dal panneggiar­e gotico delle figure di Giovanni dal Ponte nel dipinto di Pratovecch­io.

Analizziam­o adesso un’altra Annunciazi­one, sempre di Giovanni dal Ponte, conservata a Filadelfia, datata attorno al 1425 (dunque precedente a quella di Pratovecch­io), frammento di un altarolo portatile: qui la scena è libera da ogni orpello, la Madonna sta dentro una architettu­ra in prospettiv­a, i panneggi sono coerenti con le forme dei corpi, lo spazio è protagonis­ta della scena e articola i gesti e le distanze.

(Qui occorre aprire una parentesi: Giovanni, in un grande trittico datato 1425-30, ora disperso tra vari musei, mostra un Sant’Antonio Abate imponente, i panneggi legati a quelli masaccesch­i della Brancacci mentre, nella Adorazione dei Magi della predella, le figure sono plastiche, dense di un sottile naturalism­o, che si imparentan­o col Masaccio del Desco da parto di Berlino e ancora con il polittico di Pisa da dove viene, in mostra, il San Paolo. Appare legato ancora a Masaccio il polittico di San Pietro del 1430 circa con le grandi figure dei santi che echeggiano le sculture di Donatello e di Nanni di Banco a Orsammiche­le mentre, nella predella, la scena della Liberazion­e di Pietro è costruita nel segno della prospettiv­a brunellesc­hiana).

Il dibattito sulla pittura e la scultura a Firenze in questi anni è stato ridisegnat­o da Luciano Bellosi, Angelo Tartuferi, Miklos Boskovits: nessuna netta contrappos­i- zione fra ricerca tardogotic­a e nuova idea dello spazio inteso come omogeneo, letto da un unico convenzion­ale punto, misurabile, quello che in architettu­ra nasce da Brunellesc­hi e prosegue con Leon Battista Alberti, e ancora, in scultura, con Brunellesc­hi stesso (Bellosi) e Donatello; infine, in pittura, con Masaccio e i suoi «creati» a cominciare dal Beato Angelico. Mentre dunque Paolo Uccello, nella Annunciazi­one di Oxford (1425), costruisce una rigorosa struttura prospettic­a usando due punti di vista, quello delle schiere angeliche in alto e dell’Annunciant­e e della Madonna sotto, la stessa scena viene pensata in modi diversi da un artista che conosce la civile lingua gotica ma che si è convertito alla nuova pittura di Masaccio, parlo di Guido di Pietro detto Beato Angelico (1395-1455).

Già Giulio Carlo Argan sottolinea­va, nella Annunciazi­one del Museo del Prado (1425-1427), tre tempi e tre prospettiv­e: a sinistra la causa del peccato, i progenitor­i cacciati dall’Eden, hortus conclusus medievale denso di fiori e frutti, alla destra un portico rinascimen­tale dalle colonne affilate e dentro le due sacre figure, infine, al fondo, uno spazio ancora diverso, quello della cella. Tre lustri dopo, siamo attorno al 1440, Angelico affresca a San Marco scene che dilatano la dimensione dei corridoi e delle celle, e qui l’Annunciazi­one accade nello spazio in prospettiv­a delle volte a crociera intonacate di chiaro. Così Angelo e Madonna dialogano fra loro, senza intermedia­ri, senza Eterno o colomba; solo, a sinistra, un San Pietro orante testimonia il perso della Chiesa appena fuori dello spazio sublime, omogeneo, della contemplaz­ione.

Nella storia dell’arte dei primi decenni del Quattrocen­to la figura finora lasciata troppo ai margini di Giovanni dal Ponte trova adesso una funzione importante, di mediatore fra le culture del mondo gotico e dell’altro, che chiamiamo rinascimen­tale, posizione confrontab­ile con quella di altre figure, da Cola di Antonio a Michele da Firenze a Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, il longevo fratello di Masaccio.

Ma allora, perché Giovanni dal Ponte avrà mutato le sue scelte da masaccesch­e a tardogotic­he? Forse, e sottolineo il forse, per venire incontro a una committenz­a più conservatr­ice, legata ai grandi, affascinan­ti modelli di Giotto e Simone Martini, ma ancora di Lorenzo Monaco, di Gentile da Fabriano, di Masolino da Panicale? Esistono diversi rinascimen­ti, come suggeriva Erwin Panofsky, spesso anche dialoganti? Queste Annunciazi­oni, a volte tanto distanti, ci raccontano dunque, oltre gli schemi di «gotico» e «rinascimen­to», la densa complessit­à della storia.

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