Corriere della Sera - La Lettura
Il mediatore tra mondo gotico e Rinascimento
Giovanni dal Ponte interpreta l’«arte nuova» ma poi le sue Annunciazioni tornano all’antico Ecco che cosa successe nella Toscana del ’400
Come è possibile che un pittore che ha dialogato con Masaccio, che ha studiato la prospettiva, che sa come drammatizzare il racconto coi gesti e le espressioni del volto, finisca per recuperare le proprie più lontane origini, finisca insomma per tornare alla pittura tardogotica, e ai suoi grandi attori sulla scena fiorentina fra primo e terzo decennio del Quattrocento, da Lorenzo Monaco a Gentile da Fabriano? Come è possibile che un artista che ha sperimentato Masaccio, ma anche Masolino, alla Cappella Brancacci nella chiesa del Carmine a Firenze (1424-28) e che ha visto probabilmente gli inizi di Masaccio stesso nel polittico di San Giovenale a Cascia di Reggello datato 1422, e magari il polittico di Pisa (1426) e altro ancora, pieghi, alla fine, verso il mondo tardogotico, dunque torni al passato, alle origini?
Giovanni di Marco (nato verso il 1385 e morto verso il 1437) teneva bottega nei primi decenni del Quattrocento in piazza Santo Stefano al Ponte Vecchio a Firenze, da cui il nome, Giovanni dal Ponte.
Ma perché, per noi, oggi, Giovanni dal Ponte (ora in mostra a Firenze) è tanto importante? Cominciamo da una Annunciazione, quella della Badia di Santa Maria a Poppiena a Pratovecchio (Arezzo) che si data agli inizi degli anni Trenta. Il trittico, ai lati il Battista e la Maddalena, a parte le aggiunte dei cherubini in alto e della cornice, mostra al centro una scena arcaica: prospettive diverse del pavimento e delle architetture, spazi compressi, l’Angelo e la Madonna che evocano una tradizione addirittura trecentesca, quella di Taddeo Gaddi, il pittore che fra 1313 e 1337 sta alla bottega di Giotto e poi continua fino alla morte, nel 1366, quella altissima tradizione. Proprio lui, nella Annunciazione di Fiesole (13401345), aveva proposto una composizione simile, ben dentro la tradizione giottesca e dove l’angelo col giglio sembra evocare Simone Martini e le sublimi, sospese forme della Annunciazione ora agli Uffizi.
Quali sono i punti di riferimento di Giovanni dal Ponte? Certo, a Firenze pesa la pittura di Lorenzo Monaco e la Annunciazione di New York che si data 1420-24 propone una struttura spaziata, sensibile ancora alla tradizione trecentesca, dove il giglio nel vaso al centro scandisce lo spazio chiuso a destra da una struttura che si dilata in alto staccando così la Madonna dall’Angelo e dal pavimento. Quasi dieci anni prima lo stesso Lorenzo
Monaco, nel suo grande Trittico di San Procolo ora a Firenze, Galleria dell’Accademia, sospende l’angelo nello spazio, sotto i piedi un pavimento di azzurre nubi, alla destra la Madonna che si ritrae e dietro, in tralice, contro il fondo oro, una architettura gotica: anche qui torna la memoria di Simone Martini e della sua Annunciazione (1333) ma con un gestualità, una raffinatezza di moti sottilmente «cortese».
Eppure c’è un altro intreccio, c’è un altro nodo di rapporti da tenere presente per capire le scelte della tarda Annunciazione di Giovanni dal Ponte: alludo al confronto che sconvolge la scena dell’arte a Firenze, il concorso del 1401 per la seconda porta del Battistero fiorentino: si doveva presentare una fusione col Sacrificio di Isacco. Vince Lorenzo Ghiberti su sette concorrenti di cui conosciamo i nomi ma sono perdute le formelle, salvo quella di Brunelleschi. Lorenzo Ghiberti, che chiama a lavorare nella sua officina molti giovani artisti, lavora all’opera dal 1403 al 1424 e la sua formella con l’Annunciazione diventa un paradigma: essa è concentrata su quattro figure, come appunto in Giovanni dal Ponte, dunque ecco l’Eterno, la colomba, l’Angelo e la Madonna ricurva dentro una architettura. Ghiberti compone due spazi diversi, quello in prospettiva del piano di posa retto da mensole e l’altro, diverso, scorciato, che chiude la Madonna in una struttura all’antica dentro la quale penetra il gesto dell’Angelo dal denso panneggio classico, diverso quindi dal panneggiare gotico delle figure di Giovanni dal Ponte nel dipinto di Pratovecchio.
Analizziamo adesso un’altra Annunciazione, sempre di Giovanni dal Ponte, conservata a Filadelfia, datata attorno al 1425 (dunque precedente a quella di Pratovecchio), frammento di un altarolo portatile: qui la scena è libera da ogni orpello, la Madonna sta dentro una architettura in prospettiva, i panneggi sono coerenti con le forme dei corpi, lo spazio è protagonista della scena e articola i gesti e le distanze.
(Qui occorre aprire una parentesi: Giovanni, in un grande trittico datato 1425-30, ora disperso tra vari musei, mostra un Sant’Antonio Abate imponente, i panneggi legati a quelli masacceschi della Brancacci mentre, nella Adorazione dei Magi della predella, le figure sono plastiche, dense di un sottile naturalismo, che si imparentano col Masaccio del Desco da parto di Berlino e ancora con il polittico di Pisa da dove viene, in mostra, il San Paolo. Appare legato ancora a Masaccio il polittico di San Pietro del 1430 circa con le grandi figure dei santi che echeggiano le sculture di Donatello e di Nanni di Banco a Orsammichele mentre, nella predella, la scena della Liberazione di Pietro è costruita nel segno della prospettiva brunelleschiana).
Il dibattito sulla pittura e la scultura a Firenze in questi anni è stato ridisegnato da Luciano Bellosi, Angelo Tartuferi, Miklos Boskovits: nessuna netta contrapposi- zione fra ricerca tardogotica e nuova idea dello spazio inteso come omogeneo, letto da un unico convenzionale punto, misurabile, quello che in architettura nasce da Brunelleschi e prosegue con Leon Battista Alberti, e ancora, in scultura, con Brunelleschi stesso (Bellosi) e Donatello; infine, in pittura, con Masaccio e i suoi «creati» a cominciare dal Beato Angelico. Mentre dunque Paolo Uccello, nella Annunciazione di Oxford (1425), costruisce una rigorosa struttura prospettica usando due punti di vista, quello delle schiere angeliche in alto e dell’Annunciante e della Madonna sotto, la stessa scena viene pensata in modi diversi da un artista che conosce la civile lingua gotica ma che si è convertito alla nuova pittura di Masaccio, parlo di Guido di Pietro detto Beato Angelico (1395-1455).
Già Giulio Carlo Argan sottolineava, nella Annunciazione del Museo del Prado (1425-1427), tre tempi e tre prospettive: a sinistra la causa del peccato, i progenitori cacciati dall’Eden, hortus conclusus medievale denso di fiori e frutti, alla destra un portico rinascimentale dalle colonne affilate e dentro le due sacre figure, infine, al fondo, uno spazio ancora diverso, quello della cella. Tre lustri dopo, siamo attorno al 1440, Angelico affresca a San Marco scene che dilatano la dimensione dei corridoi e delle celle, e qui l’Annunciazione accade nello spazio in prospettiva delle volte a crociera intonacate di chiaro. Così Angelo e Madonna dialogano fra loro, senza intermediari, senza Eterno o colomba; solo, a sinistra, un San Pietro orante testimonia il perso della Chiesa appena fuori dello spazio sublime, omogeneo, della contemplazione.
Nella storia dell’arte dei primi decenni del Quattrocento la figura finora lasciata troppo ai margini di Giovanni dal Ponte trova adesso una funzione importante, di mediatore fra le culture del mondo gotico e dell’altro, che chiamiamo rinascimentale, posizione confrontabile con quella di altre figure, da Cola di Antonio a Michele da Firenze a Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia, il longevo fratello di Masaccio.
Ma allora, perché Giovanni dal Ponte avrà mutato le sue scelte da masaccesche a tardogotiche? Forse, e sottolineo il forse, per venire incontro a una committenza più conservatrice, legata ai grandi, affascinanti modelli di Giotto e Simone Martini, ma ancora di Lorenzo Monaco, di Gentile da Fabriano, di Masolino da Panicale? Esistono diversi rinascimenti, come suggeriva Erwin Panofsky, spesso anche dialoganti? Queste Annunciazioni, a volte tanto distanti, ci raccontano dunque, oltre gli schemi di «gotico» e «rinascimento», la densa complessità della storia.