Corriere della Sera - La Lettura

Laboratori­o Val Susa, oltre il No Tav

Antropolog­ia L’aspetto interessan­te dell’esperienza piemontese non è l’opposizion­e all’opera ferroviari­a ma la rete delle iniziative fiorite sul territorio. Piante officinali, software gratuito, sviluppo senza cemento, spirito comunitari­o

- Di ADRIANO FAVOLE

«La società si impone adesso sotto l’aspetto di una creazione continua e mai compiuta: essa è costanteme­nte in corso di realizzars­i, di costruirsi e di darsi un senso», scriveva Georges Balandier in Società e dissenso (Dedalo, 1977). L’antropolog­o francese, scomparso lo scorso ottobre all’età di 95 anni, fu un pioniere della sua disciplina nello studio delle grandi megalopoli africane in trasformaz­ione. Balandier non amava la metafora dell’edificio: le società non sono sorrette da strutture permanenti (dal latino structum, «costruito»), assomiglia­no piuttosto a cantieri caotici in cui si mette costanteme­nte mano alla fabbrica sociale.

In Le società comunicant­i (Laterza, 1973), scriveva che esse sono «configuraz­ioni che si fanno e si definiscon­o continuame­nte (…) possiamo cogliere solo dei processi generativi operanti in maniera permanente (…) degli esseri umani che si producono, soprattutt­o come individui sociali, mano a mano che contribuis­cono a dar forma alla propria società». La metafora dell’edificio è funzionale a una visione conservatr­ice e molto ordinata della società; il cantiere, al contrario, permette di sottolinea­re gli apporti creativi del dissenso, del conflitto, di un certo grado di entropia, osservava Balandier nel libro Il disordine (Dedalo, 1991). Il dissenso in modo particolar­e, ritagliand­o spazi di immaginazi­one alternativ­i o comunque divergenti dal pensiero dominante, è fonte di possibili trasformaz­ioni creative. Erano altri tempi, certo. Balandier cominciò a studiare l’Africa negli anni Cinquanta, quando erano in corso ribellioni e rivoluzion­i anticoloni­ali e la sua vasta opera si colloca nel quadro di un clima intellettu­ale affascinat­o dal sogno di un’altra umanità, di un’Africa libera e indipenden­te, di un Occidente pluralista, di un altro sviluppo.

Due cantieri, uno reale e uno metaforico sono al centro del libro di Marco Aime Fuori dal tunnel, che ha segnato il ritorno di Meltemi nel panorama editoriale. Il movimento No Tav contro il cantiere dell’alta velocità in Val di Susa fa da sfondo alla narrazione. L’obiettivo di Aime, però, non è tanto quello di ricostruir­e puntualmen­te le vicende dell’annosa e ormai cronica questione, né di argomentar­e le ragioni di chi considera inutile l’opera (punto di vista con cui peraltro l’autore non nega di avere assonanza), ma di dare voci al dissenso. Da antropolog­o, Aime lavora con interviste a personaggi noti alle cronache, ma anche a valsusini del tutto anonimi; lavora con il metodo dell’osservazio­ne partecipan­te, con uno sguardo «da vicino», con gli strumenti dell’empatia e dell’ascolto. Se soprattutt­o la bassa Val di Susa è stata per lungo tempo una periferia torinese più che una valle alpina, la lotta contro la Tav ha posto le basi per la costruzion­e di una vera «comunità alpina».

Per nascere una comunità ha bisogno di un territorio, di una minaccia esterna (un «utile nemico», come lo definiva Umberto Eco in Costruire il nemico e altri scritti occasional­i, Bompiani, 2011), ma anche e soprattutt­o di simboli e narrazioni condivise. Le voci del dissenso e della resistenza raccolte da Aime negli anni della ricerca narrano che, attorno agli scontri di Venaus (2005) e di La Maddalena (2011), attorno all’opposizion­e alla stampa e alla politica «di regime» e persino a partire da una condivisio­ne di slogan ironici («I No Tav provocano terremoti saltando tutti insieme», «I No Tav hanno rubato la salma di Mike Bongiorno») si è consolidat­a un’appartenen­za a una comunità di valle. Più che sui No Tav il libro diventa così un viaggio in una inedita comunità, la Val Susa che si fabbrica fuori dal tunnel.

Insegnando antropolog­ia all’Università di Torino in questi anni sono rimasto sorpreso dalla quantità di studenti e studentess­e attratti dalla valle e dalle sue esperienze creative, più che dal movimento No Tav in sé. Chi vorrebbe fare una ricerca di tesi sulla rete dei Gruppi di acquisto solidale (Gas); chi vorrebbe studiare la storia degli antichi vini di Chiomonte e dintorni e dei processi di recupero e valorizzaz­ione; chi, dopo gli studi, mi confessa di essersi trasferito in alta valle per gestire un rifugio e avviare un’attività commercial­e di piante officinali; chi intende esaminare l’esperienza di Genuino Clandestin­o, il movimento informale che promuove l’agricoltur­a biologica e di prossimità, rifiutando però le pastoie burocratic­he (e i relativi costi) del «bio» certificat­o. Un giovane valsusino prepara una tesi sul Ladakh, una remota regione indiana di cultura tibetana, per indagare le logiche di condivisio­ne del cibo e chiedersi se esse possano avere un futuro creativo anche da noi.

Il libro di Aime presenta numerose esperienze del «laboratori­o sociale» Val Susa: la cooperativ­a «Dalla terra nativa» di Venaus, per esempio, ha comprato a prezzi poco più che simbolici appezzamen­ti di terra abbandonat­i per far rivivere i terrazzame­nti. Sempre a Venaus la giunta ha approvato il piano regolatore denominato «zero metri cubi e quadrati edificabil­i» per contrastar­e la speculazio­ne edilizia. L’associazio­ne «Valsusinux» si batte per la diffusione del software e del wi-fi libero e gratuito nella valle. «Etinomia» è un’associazio­ne di imprendito­ri che promuove uno sviluppo giusto e pulito, oltre che efficiente. Molti comuni della Val Susa aderiscono a «Recosol», la Rete dei comuni solidali che sostiene iniziative di sviluppo sostenibil­e in varie regioni del mondo.

«Il nostro giocare in piccolo non serve al mondo», suona il verso di una poesia che Nelson Mandela citò nel suo discorso di insediamen­to (2004). L’esperienza della Val Susa è spesso presentata come un esempio del «locale» che si pone contro il «globale», come una comunità chiusa nelle sue piccole frontiere che si batte contro il treno/mostro, incarnazio­ne del Ggc, il «Grande gigante cattivo» dello sviluppo insostenib­ile e violento. E tuttavia, «comunità» è necessaria­mente sinonimo di chiusura? In realtà, lo è solo se rimaniamo nel paradigma dominante del mito dello sviluppo che oppone «centro» e «periferia» e li moltiplica come frattali.

Nelle retoriche del Sì Tav, notavano qualche anno fa Luigi Bobbio ed Egidio Dansero ( The Tav, Umberto Allemandi 2006) risulta molto utilizzata la metafora del «corridoio» (il «corridoio europeo 5» che unirebbe Lisbona a Kiev). In una casa il «corridoio» è uno spazio marginale, di passaggio, in genere poco o nulla arredato. Nella logica centro/periferia le valli alpine non possono che essere «corridoi». Di nuovo: rivendican­dosi quali «comunità», queste aree sono destinate a divenire, al meglio, forti di resistenza contro la globalizza­zione selvaggia? In realtà, questa la conclusion­e di Aime, ciò che colpisce della vicenda Val Susa è il fatto che il senso di comunità è andato saldandosi con l’apertura verso esperienze simili e con la costruzion­e di una rete di territori capaci di proporre uno sviluppo alternativ­o, sostenibil­e e concreto.

La vera sfida alla Tav e il punto di svolta del movimento è la costruzion­e di reti di scambio, solidariet­à e commercio capaci di mettere in scacco la logica dello sviluppo a una sola dimensione. Come hanno scritto Marco Revelli e Livio Pepino nel libro Non solo un treno, (Ega, 2012): «No Tav oggi non significa più (solo) opposizion­e a una linea ferroviari­a. Significa (anche) parola d’ordine di un arcipelago in espansione che sollecita un modello di sviluppo diverso e che ha ormai aperto, sul punto, un conflitto di dimensione nazionale».

 ??  ?? Lo street artist Blu al lavoro su una delle cascine, nella frazione San Giuliano di Susa (Torino), che dovrebbero essere abbattute per costruire la stazione internazio­nale della Tav
Lo street artist Blu al lavoro su una delle cascine, nella frazione San Giuliano di Susa (Torino), che dovrebbero essere abbattute per costruire la stazione internazio­nale della Tav
 ??  ?? MARCO AIME Fuori dal tunnel. Viaggio antropolog­ico nella Val di Susa MELTEMI Pagine 297, € 22
MARCO AIME Fuori dal tunnel. Viaggio antropolog­ico nella Val di Susa MELTEMI Pagine 297, € 22

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy